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Ricordi randomici

Mi è venuto in mente un programma tv, di un tot di anni fa. Non ne ricordo il titolo, sorry, ma era una specie di Scherzi a parte in versione familiare. C’era il “concorrente” che fingeva di essersi fidanzato o fidanzata con un personaggio famoso. Poi invitavano tutta la famiglia a conoscere il nuovo amore perché-questa-volta-è-una-cosa-seria-anzi-serissima, e gli facevano incontrare la celebrità in questione. 

Tutti i familiari reagivano male. Mi è rimasto impresso come nessuno fosse mai contento, neanche un pochino, di avere il figlio o la figlia fidanzati con la Parietti o il Giletti di turno. 

Ecco, mi torna in mente questa cosa ogni volta che vedo una foto di Giletti.




 

Appunto dal passato

Dentro a un libro preso a caso dallo scaffale, ho ritrovato un appunto risalente a otto, forse nove anni fa che mi ha fatta sorridere.


Penso alla crisi economica mentre sul fuoco una palla di contorno tricolore Orogel si scongela nella padella antiaderente. David Bowie canta Changes e nel bicchiere a calice ho dell'ottimo Valmont vin de pays d'oc comprato a meno di due euri all'Esselunga, insieme a un tot di cose inutili, ma prendi due e paghi uno, a cui non ho saputo resistere. Dopo la giornata in ufficio dovrei sbrigare delle faccende in casa, ma non ho molta voglia, così sorseggio vino aspettando Un posto al sole.

Il nazista decontestualizzato




Un'unica volta, perciò non mi ricordo il nome. L'ho dimenticato all’istante, durante le presentazioni.

Succede.

Era un ragazzo sulla trentina, magro, trasandato, pareva un ex punk degli Anni Ottanta teletrasportato in un lampo alla fine dei Novanta.
Barba?
Baffi?
Gobbo?
Boh, ricordo poco di lui, tranne quella svastica nera che all’improvviso sbucò da sotto la manica.

Ci rimasi malissimo. E come ci dovevo rimanere? Una svastica del cazzo.

Erano tempi meno ambigui di quelli che viviamo oggi. I fascisti stavano nelle fogne, figuriamoci i nazisti.

In quel frangente, però, non feci alcun ragionamento politico. Rimasi attonita, un po’ affascinata, vergognandomi subito. Dalla mia posso dire che non avevo mai visto una cosa del genere. Un tatuaggio a forma di svastica sull’avambraccio era oltre qualsiasi manifestazione di ignoranza possibile. Non mi capacitavo.

L’emblema del Male! Con la emme maiuscola.

Senza scomodare la Hannah Arendt, ricordo che mi fece tutt’altra impressione. Mi sembrò più che altro emblema del disagio e dell’auto-emarginazione a tutti i costi. ‘Na tafaziata di somma demenza, per dire.

Il tizio sembrava tranquillo. Anche questo mi spiazzava. I nazisti li sapevo molesti. Che c’entrava questo tipo silenzioso?

Iniziai a guardarmi intorno, perché c’era un neonazista in quell’occasione? Ce n’erano altri?

No, era da solo, ci misi un po’ a capirlo e ne fui sollevata.

L’occasione era una cena per un’amica ritornata da Londra per trascorrere le ferie a Firenze. Era una reunion di persone che non si conoscevano tra loro, che erano lì solo per festeggiare un’amica comune. Che tra l’altro è stata la prima tra i miei amici a trasferirsi all’estero, forever.

Il nazista era finito nella compagnia chissà per quale strano giro perverso di conoscenze. Perverso perché chi può avere tra le proprie conoscenze un tizio con una svastica tatuata sull’avambraccio?

Ricordo che alla cena l’interesse per il tizio con la svastica si affievolì subito, collettivamente. Il tizio era sottotono e fece tappezzeria per tutta le sera, forse fu per questo che nessuno si interessò alla sua presenza più di tanto.

Di solito, infatti, questi soggetti stanno sempre in branco, si muovono tra di loro nei loro circuiti di marginalità e disagio, non si mischiano con la gente normale e quando lo fanno è solo per rompere i coglioni al prossimo. Mi si perdoni il francesismo, ma qui ci sta tutto.

Ricordo che quel tipo non disse una parola o quasi per tutta la sera, però fu tranquillo.

Nessuno degli invitati gli disse nulla sulla svastica tatuata, anche se la notarono tutti.

In effetti non c’era nulla da dire: che gli vuoi dire?

Sono passati tanti anni da quella sera e, dio solo sa perché, oggi ho ripensato a quella cena estiva e surreale tra i tetti di Firenze, col nazista decontestualizzato.
Chissà se il tizio ha ancora la svastica tatuata sul braccio, chissà se ha cambiato idea, chissà se non si sente un po’ stronzo.

L'amico frikkettone: sei anni dopo


Non è vero che non scrivo più.

Tutt'altro.
Scrivo altrove, di altre cose. Meno personali, meno divertenti per me.

Ma la verità è che sono stressata e incasinata.
Cerco di visualizzare la mia vita in un'immagine unica: un enorme, gigantesco Tetris sgargiante, coi pezzi che cadono sempre più veloci.
Ciascun pezzo un capitolo di un'esistenza come tante, da cui non riesco a sfuggire nemmeno durante una fantasia diurna come questa che è sbocciata così, dio solo sa perché.

Un gesticolare nervoso mi riporta al presente.
Lui mi fissa impaziente, sta aspettando una riposta e io oso distrarmi.
«Impossibile» sentenzio.
«Come impossibile?»
Adesso è seccato. Lo vedo da come tira i nervi del collo.
Annuisco gravemente.
«Perché dici così?» Chiede ancora, cercando il mio sguardo che invece vaga in alto, tentando di anticipare il pezzo di Tetris che mi sta piombando dritto sulla testa.
 «Vedi, non è una scelta che possono fare tutti. Ci vogliono dei pre-requisiti imprescindibili a mio avviso» dico lentamente, come se facessi fatica a scegliere le parole giuste. In realtà ho attivato solo il neurone-muletto, è più che sufficiente a portare avanti la conversazione.
Alzo la mano sorridendo.
La cameriera si avvicina.
«Che cosa le porto, signora?»
«Un Americano, per favore.»
«E un'altra birra» aggiunge lui.
Attende che la cameriera si allontani e poi sbotta offeso: «io non ti capisco, questa potrebbe essere una svolta per la mia vita e tu sei sempre così negativa. Perché dici che non è possibile? Io... io in questo paese di merda non ci resisto più.»
«Perché nessuno sano di mente può dire sul serio: mollo tutto e vado in Messico...»
«Ehm, Ecuador.»
«Giusto Ecuador, era l'altra volta il Messico, mi sono confusa. Comunque nessuno può dire così. Una base di sussistenza ci vuole, chiamala come ti pare: riserva di soldi, risparmi, gruzzoletto, eredità, rendita, un affitto... Robe così. E tu non ce l'hai, giusto?»
«No.»
«Ecco perché, secondo me non puoi partire di punto in bianco, senza soldi per la Thailandia...»
«Ecuador!»
«Sì scusa Ecuador,  ma il concetto non cambia: Ecuador, Thailandia, un trullo in Puglia. Tu ambisci a un'esistenza da nullafacente, pardon artista, ma anche se ti trasferissi dove la vita costa poco o pochissimo, non potresti campare d'aria per il resto dei tuoi giorni. Non credi? D'altronde l'accumulo significa scendere a patti con quel sistema che combatti da sempre, giusto? Insomma: un precario che ha sempre guadagnato 500 euro al mese, ce lo vedi ad andare a vivere in un posto dove avrà ancora meno possibilità di sussistenza? E tu che hai un reddito ancora più basso, sei sulla stessa barca del precario.»
Annuisce pensoso. Poi dice piccato: «Ho le mie risorse, comunque, posso sempre inventarmi un lavoro.»
Inventarmi un lavoro, diocristo.
«Ok, se lo dici tu» taglio corto.
Non sono in vena di polemiche, mi è stata chiesta l'opinione su una cosa che non avverrà mai, l'ho detta e mi sono già stancata della pesante compagnia.
Salutiamoci e facciamo passare altri cinque o sei anni.
Mi sembra la scelta più salutare.
Gli articoli sui blog di "wellness" che consigliano di tagliare i rami secchi ed eliminare le cosiddette amicizie tossiche, sembrano scritti proprio per noi.
Arriva la cameriera col mio Americano e la birra. Mette il conto sul tavolo: «Allora: con quella di prima sono due birre e un Americano, fanno 16 euro.»
«Eh, scusa, sono un po' a secco puoi anticipare?» dice lui.
Non ricordo una volta che abbia pagato qualcosa al bar, anche solo per sé stesso.
L'amico frikkettone è deluso, si vede che si aspettava un'altra reazione da me. Del resto una convocazione così, in un bar del centro, dopo anni che non ci vediamo mi ha messa sulla difensiva. Conosco i miei polli.
Tra l'altro, nel vecchio gruppo di amici, sono l'unica ad aver acconsentito a incontrarlo. Forse per masochismo, o per altri sentimenti auto distruttivi che adesso non ho voglia di esplorare.
«Non hai i soldi nemmeno per le tue due birre?» chiedo.
Non voglio fargliela facile.
«Ehm, no.» dice con un sorrisino odioso.
Senza aggiungere altro, pago tutto io.
La cameriera si allontana.
Lo guardo, è invecchiato.
Ed è pure ingrassato tanto da quando ha lasciato Firenze ed è tornato a vivere con la mamma.
Ma ora è felice anche se non lo ammetterebbe mai apertamente: non deve più preoccuparsi di far finta di cercare lavoro.
Nonostante i segni del tempo, infatti è rilassato, disteso, inspiegabilmente abbronzato.
È sparito dai radar di tutti noi, vecchi amici di sempre che non abbiamo fatto nemmeno poi tanto per trattenerlo; nell'ultimo periodo gli avevamo affibbiato il soprannome "la tassa", non c'è bisogno di aggiungere altro.
Ogni tanto su Facebook posta qualche sua foto con amici più giovani, parecchio più giovani. Lo vediamo a concerti semi-deserti, oppure seduto a improbabili tavolate e foto di gruppo ai giardinetti coi graffiti in sottofondo.
«Comunque potrei sbagliarmi» continuo senza sapere perché. «Potrebbe essere davvero una soluzione ideale andare via, abbandonare l'Italia.»
«Infatti» dice piccato. «Poi mi posso organizzare, non credo di aver problemi a cavarmela da solo in Ecuad...»
«Eh no. Scusa se ti interrompo: hai appena ordinato e bevuto due birre pur sapendo di non avere soldi» dico senza riuscire a trattenermi.
«Vabbè, ma che c'entra?»
«C'entra perché hai dato per scontato che io avrei pagato per te, e ti sei sentito libero di prenderne due di birre, tanto i soldi sono i miei.»
«Se è così te li rendo, non ti preoccupare» dice offeso.
«Non l'ho detto per questo, era solo per farti capire che non hai risorse e non ti interessa nemmeno averne. Non hai testa per gestirti i soldi da solo. Poi eh, se mi rendi i soldi li prendo.»
Fa finta di non capire.
Finiamo il drink in silenzio e ci salutiamo.
Non mi ha fatto piacere rivederlo.
E nemmeno a lui.




*L'amico frikkettone è stato un peronaggio ricorrente nel mio vecchio blog.

Una casa stregata



Quella vite, non riesco a togliermela dalla testa. Ho rimontato tutto il coso senza quella vite. Quattro viti minuscole, dopo un po' una è sparita. Volatilizzata.

Non ho il coraggio di testare la batteria appena sostituita. A occhio sembra tutto a posto.
Proviamo.
Dov’è la prolunga? Il carica batterie? L’adattatore?
Maledetto Zeitgeist, ci vogliono tre aggeggi per fare un'operazione così semplice, come mettere in carica il coso.

Allora: la prolunga è sull’asse da stiro. Poi devo trovare l’adattatore, quando è stata l’ultima volta che ne ho avuto bisogno? E il caricabatterie?
Eppure è stato su quel tavolo fino a ieri. Ma oggi non c'è. Sparito.

A volte penso di avere gli spiriti in casa. Lascio una cosa qui e il giorno dopo non la ritrovo più.
Perché io so bene com'è una casa stregata: la zia Bruna abitava in un appartamento infestato dai fantasmi.

Giardino d’inverno



«Un giardino d’inverno.»

«Cosa?»

«Sì, un giardino d’inverno.»

«Mmm... Interessante.»

Rimane perplessa fingendo di rifletterci su. In realtà sta pensando ai cavoli suoi. Lo vedo dallo sguardo vacuo e dal sorriso congelato.

Il taccuino


Ho l'abitudine di portare sempre con me un taccuino. Lo tengo in borsa, chiuso da un elastico, per evitare che si spampani nell'eterno marasma che c'è da quelle parti.
La consapevolezza di averlo lì mi regala un tot. di tranquillità. Le rare volte in cui me lo scordo, infatti, chiedo sempre un pezzo di carta, perché mi dà ansia sapere di non aver niente su cui poter scrivere alla bisogna.

Podismo e falsi vegani: un flusso anomalo dagli albori del web al giorno d'oggi



Verso la fine degli Anni Novanta mi ritrovai ad amministrare un forum online di podisti amatoriali. Fu una cosa provvisoria, sostituivo una persona per poche settimane. Su quel forum (purtroppo ho dimenticato il nome, non posso verificare se esista ancora) c'erano varie sezioni dedicate all'allenamento quotidiano, all'attrezzatura da corsa, alla motivazione mentale, alla preparazione in palestra, alla segnalazione delle gare in corso, ecc.
Ricordo che era uno spazio online molto partecipato, direi affollatissimo. Però erano decisamente altri tempi: Facebook sarebbe arrivato solo una decina di anni dopo, tanto per rendere l'idea.

L'Alba dei farabutti sul serio: non è stato un cavolo di sogno. Ma io sono innocente?

Mi sono svegliata di soprassalto, nel cuore della notte, con l'affanno, dominata da una sensazione sgradevole e le giunture del corpo doloranti. Era come se avessi fatto uno sforzo abnorme, tipo trascinare una carriola stracolma di terriccio umido lungo una salita.
Non riuscivo a ricordare l'incubo che mi aveva svegliata così male.
Perché doveva essere stato per forza un incubo, di quelli massici.

La Sam


Samantha si dà un'ultima occhiata allo specchio. Ha indossato il vestito mini, quello con lo spacco giropassera e gli inserti in oro. Ai piedi sandali alla schiava con tacchi altissimi. Anche quelli dorati. Avvicina la faccia allo specchio fa una smorfia lenta: niente residui di rossetto sui denti. Poi controlla i tatuaggi. La luna sulla spalla, il cuore col nome della figlia sulla tetta, il tribale maori intorno al bicipite. Tutto a posto. Guarda l'orologio per l'ennesima volta, gli ospiti stanno per arrivare.

E all'improvviso: 19 gennaio 2000


...quando comprai un personal computer per L. 2.598.048 (iva compresa). Un furto legalizzato per i parametri odierni, btw.

L'inizio di un amore frikkettone




Il tetto della casa sbucava dalle cime grigie degli alberi spogli. Sul tetto scuro, coperto di borraccina, un camino lasciava uscire un filo di fumo che si arricciava tutto dopo pochi metri di ascesa in cielo.


Palmira camminava con attenzione sul sentiero verso la casa. Stava facendo buio. Tra le mani teneva una teglia tiepida di lasagne vegetariane: carciofi, carote, patate e besciamella con latte di soia


In prossimità sentì la musica di Rino Gaetano.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...