Il cero


Ogni tanto entro in chiesa, anche se non sono credente. Di solito lo faccio per curiosità, altre volte per accendere un cero.
Lo faceva sempre mia nonna e io l'accompagnavo.
Si entrava nella chiesa, la nonna accendeva la candela; il tempo di un pater nostro e un segno della croce che si era già fuori, con la nonna che mi raccontava vita, morte e miracoli della persona per cui aveva acceso il cero.
Parenti sconosciuti, per lo più.
Mi affascinava questo rituale che ho fatto mio da sempre, anche se tra me e le faccende religiose non c'è proprio alcuna affinità.
Così ogni tanto mi fermo in una chiesa a caso per accendere una candela.
Ma, a differenza di quelle mirate della nonna, la mia è collettiva.
Vale per un tot di persone - di solito cinque - che non ci sono più, e a cui volevo bene.
Anzi, non è esattamente così: vale per un tot di persone che non ci sono più, e che mi mancano.
Così stamani sono entrata nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, all'angolo di via de' Cerretani.
Mi sono diretta verso uno dei candelieri in fondo, quelli coi ceri a 50 centesimi.
Ottimo, prezzo giusto.
A volte sono esosi 'sti preti, e ti chiedono 1 euro per una candela.
Inaccettabile.
Anche se, quando trovo i ceri così cari, mi faccio lo sconto da sola.
Cinquanta centesimi, però, mi è parso onesto.
L'ho acceso e ho pensato a cinque persone care, nominandole mentalmente una per una.
Mia nonna ha un posto fisso nella cinquina.
Si sono avvicinati due giovani turisti.
Una coppia di Roma.
Si guardavano intorno, parlottando tra loro a voce bassa. A un tratto lei si è bloccata, a bocca aperta, di fronte alla teca con la statua del Cristo.
- Amò
-...
- Amòòò... AMÒÒÒ
-Eh!
-Er Cristo... la faccia...
-...
- Nun ce posso crede
- Nooo!
- Uguale, eh? Gli devo mannà a foto subbito...
E la ragazza ha fatto la foto al Cristo, cercando di non farsi vedere da nessuno. Che poi sarebbe cercando di non farsi vedere da me, visto che c'èro solo io. Poi sono usciti riguardando la foto sul display e li ho sentiti ridere di gusto sul marciapiede, mentre si allontanavano.
Però a me è sembrato un Cristo come tanti altri.

La caccona di Piazza della Signoria


Mi ricorda una pila di deiezioni canine. Penso che la precedente copertura con l'enorme sacco della spazzatura facesse già parte dell'installazione, o comunque era molto in tema. Di positivo ci sono il posto per sedere sul piedistallo e la consueta indignazione cittadina che mi diverte sempre molto.

Poi scopro che Big Clay #4, questo è il nome dell'enorme scultura di Urs Fisher, rappresenta quel momento "pre-artistico" in cui lo scultore prepara i pezzi di argilla da cui ricaverà l'opera. Questa enorme, inquietante scultura di acciaio e alluminio, è una gigantografia di quanto una volta c'era sul tavolo da lavoro di Urs, con tanto di impronte digitali.

Mi piace di più dopo averlo saputo? Non so. Certo che adesso la guardo con occhi incuriositi, sperando che il prossimo artista che ospiteremo in Piazza della Signoria sia un po' meglio.

La Lucilla




In ufficio, trovai una tipa seduta alla mia scrivania. Era girata di spalle, magra, i capelli castani con colpi di sole biondi, lunghi fino quasi al sedere.
«Buongiorno» dissi. Guardai Carlotta con aria interrogativa, ma lei era impegnata al telefono e con la mano mi fece cenno di aspettare.
La tipa si voltò. Era una donna sulla cinquantina, molto abbronzata. Aveva un look giovanile: jeans attillati, una camicetta scollata e delle espadrilles con la zeppa altissima, legate alla caviglia e ricoperte di strass.
«Ciao, finalmente ci conosciamo. T'ho preso il posto, lo so che è tuo la mattina» disse sorridendomi.
«Figurati, non ti preoccupare.»
Mi presentai.
«Piacere mio. Io son la Lucilla, vengo a dare una mano a Walter il pomeriggio.»
Partì una bossa nova a tutto volume, Lucilla afferrò il cellulare. Le unghie squadrate, lunghissime e laccate di bianco picchiettarono sul touch screen.
«Pronto? Pronto! Non si sente nulla da qui dentro... e son io, sì... Borgo Soleluna... e capirai... Stasera? Quindici coperti spettacolo compreso? Sì, sì... Quanti vegetariani? Oddio non me lo dire: icchellè, un'epidemia? Ma scherzo, tesoro, non c'è problema...»
Si mise il telefono tra la spalla e l'orecchio, aprì un'agenda e scarabocchiò qualcosa. Poi continuò: «no, stamani Walter non c'è. Figurati, dopo i numeri di ieri sera sarà più di là che di qua, eh, eh... Eh? Un sento nulla aspetta...»
Afferrò un pacchetto di sigarette e uscì nel vicolo parlando a voce più bassa. Sentii che scoppiava a ridere.
Carlotta chiuse la telefonata e si girò verso di me.
«Allora, ne so poco anche io. Amica di Walter. Anzi no, è la compagna di un amico di Walter. Hanno un ristorante-dancing, discoteca, qualcosa del genere. Non so altro, solo che è comparsa all'improvviso.»
«Che ruolo ha?» domandai.
La tipa andava avanti e indietro nel vicolo, ridendo al telefono e fumando con gusto.
«Una cosa come “addetta alla qualità del Made in Italy”. Scusa, volevo dire: “Made in Italy quality manager”, lo sai com'è Walter» precisò Carlotta con voce incolore.
«Cosa? Ma che vuol dire?»
«Sì, qualcosa del genere, una specie di intermediario tra i produttori e noi.»
«Ma scusa Carlotta: hai un personaggio così al pomeriggio e non mi racconti nulla?»
«Veramente con oggi è la seconda volta che la vedo.»



La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

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