L'amico frikkettone: sei anni dopo


Non è vero che non scrivo più.

Tutt'altro.
Scrivo altrove, di altre cose. Meno personali, meno divertenti per me.

Ma la verità è che sono stressata e incasinata.
Cerco di visualizzare la mia vita in un'immagine unica: un enorme, gigantesco Tetris sgargiante, coi pezzi che cadono sempre più veloci.
Ciascun pezzo un capitolo di un'esistenza come tante, da cui non riesco a sfuggire nemmeno durante una fantasia diurna come questa che è sbocciata così, dio solo sa perché.

Un gesticolare nervoso mi riporta al presente.
Lui mi fissa impaziente, sta aspettando una riposta e io oso distrarmi.
«Impossibile» sentenzio.
«Come impossibile?»
Adesso è seccato. Lo vedo da come tira i nervi del collo.
Annuisco gravemente.
«Perché dici così?» Chiede ancora, cercando il mio sguardo che invece vaga in alto, tentando di anticipare il pezzo di Tetris che mi sta piombando dritto sulla testa.
 «Vedi, non è una scelta che possono fare tutti. Ci vogliono dei pre-requisiti imprescindibili a mio avviso» dico lentamente, come se facessi fatica a scegliere le parole giuste. In realtà ho attivato solo il neurone-muletto, è più che sufficiente a portare avanti la conversazione.
Alzo la mano sorridendo.
La cameriera si avvicina.
«Che cosa le porto, signora?»
«Un Americano, per favore.»
«E un'altra birra» aggiunge lui.
Attende che la cameriera si allontani e poi sbotta offeso: «io non ti capisco, questa potrebbe essere una svolta per la mia vita e tu sei sempre così negativa. Perché dici che non è possibile? Io... io in questo paese di merda non ci resisto più.»
«Perché nessuno sano di mente può dire sul serio: mollo tutto e vado in Messico...»
«Ehm, Ecuador.»
«Giusto Ecuador, era l'altra volta il Messico, mi sono confusa. Comunque nessuno può dire così. Una base di sussistenza ci vuole, chiamala come ti pare: riserva di soldi, risparmi, gruzzoletto, eredità, rendita, un affitto... Robe così. E tu non ce l'hai, giusto?»
«No.»
«Ecco perché, secondo me non puoi partire di punto in bianco, senza soldi per la Thailandia...»
«Ecuador!»
«Sì scusa Ecuador,  ma il concetto non cambia: Ecuador, Thailandia, un trullo in Puglia. Tu ambisci a un'esistenza da nullafacente, pardon artista, ma anche se ti trasferissi dove la vita costa poco o pochissimo, non potresti campare d'aria per il resto dei tuoi giorni. Non credi? D'altronde l'accumulo significa scendere a patti con quel sistema che combatti da sempre, giusto? Insomma: un precario che ha sempre guadagnato 500 euro al mese, ce lo vedi ad andare a vivere in un posto dove avrà ancora meno possibilità di sussistenza? E tu che hai un reddito ancora più basso, sei sulla stessa barca del precario.»
Annuisce pensoso. Poi dice piccato: «Ho le mie risorse, comunque, posso sempre inventarmi un lavoro.»
Inventarmi un lavoro, diocristo.
«Ok, se lo dici tu» taglio corto.
Non sono in vena di polemiche, mi è stata chiesta l'opinione su una cosa che non avverrà mai, l'ho detta e mi sono già stancata della pesante compagnia.
Salutiamoci e facciamo passare altri cinque o sei anni.
Mi sembra la scelta più salutare.
Gli articoli sui blog di "wellness" che consigliano di tagliare i rami secchi ed eliminare le cosiddette amicizie tossiche, sembrano scritti proprio per noi.
Arriva la cameriera col mio Americano e la birra. Mette il conto sul tavolo: «Allora: con quella di prima sono due birre e un Americano, fanno 16 euro.»
«Eh, scusa, sono un po' a secco puoi anticipare?» dice lui.
Non ricordo una volta che abbia pagato qualcosa al bar, anche solo per sé stesso.
L'amico frikkettone è deluso, si vede che si aspettava un'altra reazione da me. Del resto una convocazione così, in un bar del centro, dopo anni che non ci vediamo mi ha messa sulla difensiva. Conosco i miei polli.
Tra l'altro, nel vecchio gruppo di amici, sono l'unica ad aver acconsentito a incontrarlo. Forse per masochismo, o per altri sentimenti auto distruttivi che adesso non ho voglia di esplorare.
«Non hai i soldi nemmeno per le tue due birre?» chiedo.
Non voglio fargliela facile.
«Ehm, no.» dice con un sorrisino odioso.
Senza aggiungere altro, pago tutto io.
La cameriera si allontana.
Lo guardo, è invecchiato.
Ed è pure ingrassato tanto da quando ha lasciato Firenze ed è tornato a vivere con la mamma.
Ma ora è felice anche se non lo ammetterebbe mai apertamente: non deve più preoccuparsi di far finta di cercare lavoro.
Nonostante i segni del tempo, infatti è rilassato, disteso, inspiegabilmente abbronzato.
È sparito dai radar di tutti noi, vecchi amici di sempre che non abbiamo fatto nemmeno poi tanto per trattenerlo; nell'ultimo periodo gli avevamo affibbiato il soprannome "la tassa", non c'è bisogno di aggiungere altro.
Ogni tanto su Facebook posta qualche sua foto con amici più giovani, parecchio più giovani. Lo vediamo a concerti semi-deserti, oppure seduto a improbabili tavolate e foto di gruppo ai giardinetti coi graffiti in sottofondo.
«Comunque potrei sbagliarmi» continuo senza sapere perché. «Potrebbe essere davvero una soluzione ideale andare via, abbandonare l'Italia.»
«Infatti» dice piccato. «Poi mi posso organizzare, non credo di aver problemi a cavarmela da solo in Ecuad...»
«Eh no. Scusa se ti interrompo: hai appena ordinato e bevuto due birre pur sapendo di non avere soldi» dico senza riuscire a trattenermi.
«Vabbè, ma che c'entra?»
«C'entra perché hai dato per scontato che io avrei pagato per te, e ti sei sentito libero di prenderne due di birre, tanto i soldi sono i miei.»
«Se è così te li rendo, non ti preoccupare» dice offeso.
«Non l'ho detto per questo, era solo per farti capire che non hai risorse e non ti interessa nemmeno averne. Non hai testa per gestirti i soldi da solo. Poi eh, se mi rendi i soldi li prendo.»
Fa finta di non capire.
Finiamo il drink in silenzio e ci salutiamo.
Non mi ha fatto piacere rivederlo.
E nemmeno a lui.




*L'amico frikkettone è stato un peronaggio ricorrente nel mio vecchio blog.

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