Il boss degli psicopatici

Alto, leggermente gobbo, capelli grigi, prossimo alla vecchiaia. Nel complesso floscio. È teso, parla velocemente, butta gli occhi al cielo, sbuffa in silenzio, dice sì sì senza aver ascoltato. Risponde con sufficienza al saluto, mentre mi accomodo in attesa del mio turno. Lui va alla scrivania, parla al telefono, ancora sbuffi esagerati e sguardi al cielo. Ci conosciamo da tanti anni anche se non siamo mai stati amici. Cerca di chiudere la telefonata, ma non è cosa facile. Sento all'altro capo un vocione che grida ma io, ma io. Lui sbuffa silenzioso, spara qualche supercazzola, si arrampica sugli specchi ma alla fine capitola sotto quella cascata di ma io, ma io. Promette che si prenderà cura di una certa cosa. Sì, sì, immediatamente.
Il telefono squilla ancora. Puoi entrare, dice. Mi accomodo nella stanza del boss: mi scusi dottoressa, a quanto pare succedono tutte ora, dice il grande capo mettendo giù la cornetta. Ok dottore, faccia con calma, dico io pescando il cellulare dalla borsa. #faiunadomandaalpapa, l'hashtag del momento. Possibile? Lo era anche l'ultima volta che ho controllato, un paio di giorni fa. Boh, noi italiani siamo statici anche sugli argomenti di discussione. Non ho niente da chiedere al Papa. A quanto pare però tutti gli utenti di twitter a cui sono collegata sì. Leggo domande e considerazioni deliranti, il tempo passa. Alzo gli occhi e lui è lì, accanto al boss, che mi guarda storto da dietro le lenti spesse. Ma quando è entrato? Non me ne sono accorta. Gli sorrido, in fondo che mi frega? Lui risponde con un sorrisetto tirato. Ok, non me ne frega, ma mi viene lo stesso voglia di spaccargli la faccia. Questa persona è insopportabile, chiami lei dottore, dice lagnoso. Il boss lo guarda spaesato. Mi scusi dottoressa, le chiedo un'altra po' di pazienza. Si figuri, ma le pare, guardi vado qui fuori, vi lascio in pace. Al telefono il boss è in difficoltà, sento chiaramente i ma io, ma io fin dal corridoio. Non capisco il problema.
Lui esce inacidito all'ennesima potenza, lo sguardo furioso, la camminata isterica a chiappe strette. Incrocia una collega e le dice col tono più acido dell'universo: vedi di rispondere al telefono, stamani le ho prese tutte io. La collega non gli dà spago, dice sì sì e passa oltre. Lui nota che l'osservo. Sì ti osservo, ti giudico e scriverò un post su di te, non gli dico. Rientro dal boss, lui mi segue passando davanti per dirgli che la collega tal dei tali non risponde al telefono come dovrebbe. Il boss gli dà ragione e dice che non vuole riparlare mai più col tizio dei ma io, ma io. Allora dottoressa, come va? Bene, e lei? All'uscita mi affaccio a salutare l'ufficio. Mi attardo un minuto sulla porta a fare mente locale, lo faccio sempre. Ho preso tutto? Ho dimenticato qualcosa? Lui è sempre più nervoso, alza gli occhi dalla scrivania e scatta: allora? Cos'hai dimenticato? No, nulla. Controllavo e basta, mi pare di no. L'altra collega, nota nell'ambiente come psicopatica bipolare, mi sorride con comprensione. Rispondo al sorriso. Allora arrivederci, dice lui. Ciao a tutti.
A pranzo racconto la mattinata. Sono stata... ho fatto... Tutto ok? Sì, tutto ok, solo c'era il ragioniere... sì proprio lui, l'ho visto malissimo. Invecchiato e teso. Isterico all'ennesima potenza. Pure incafonito, ha fatto una partaccia a una collega con me lì di fronte.
Lo so, lo so, è colpa della russa.
La russa?
Sì la tizia con cui sta.
Gli sta puppando i soldi?
No, tutt'altro. Gli ha dato l'ultimatum.
Che ultimatum?
A cinquantasette anni basta vivere con la mamma, la russa non ne può più di fare la fidanzatina. E lui è andato in crisi.
Come fai a saperlo?
Me l'ha detto il boss al telefono. Si lamentava di avere tutto personale psicopatico, dice che a volte ha quasi paura a stare in studio...

Rigurgiti di memoria


Il riciclo, ma porca miseria: il riciclo!
Cosa? Il ciclo?
Il ri-ci-clo! Non hai separato un cazzo.
Sì, ho separato. Il vetro, la plastica, l'indifferenziato, vedi?

Gara di demenza


Titolo e commenti a questo post sono una gara a chi è più demente. L'ultimo scrive "grazie a Dio". No, dico: "grazie a Dio". Ma come si fa?



Per la cronaca, la stessa cosa che dicevo sui ristoranti tipici a conduzione familiare la penso anche dei bar...

Vietato l'ingresso agli utenti Trip Advisor


C'è questa trattoria di Firenze, piuttosto nota, dove si mangia bene ma la bistecca è troppo cara, la cui "gestora" (mia conoscente) è di una cafoneria insostenibile. Alcuni clienti l'hanno scritto su TripAdvisor. Mi pare sacrosanto. Se lavori al pubblico nel 2014, fa parte del gioco. E ne vale la pena. Per i ristoratori intendo. Se lavori bene TripAdvisor ti premia e infatti di solito se ne lamenta chi lavora maluccio o non viene considerato abbastanza. Poi ci sono i ristoratori più vecchi che non ci sono abituati, ma cavoli loro, il mondo va avanti e Trip Advisor è uno strumento utile, sennò non avrebbe questo successo. Personalmente lo considero anche abbastanza accurato, ho fatto tante volte la riprova su locali che conosco e non ho mai trovato grandi sorprese. Tra le recensioni al locale della mia conoscente di cui scrivevo poco sopra, non mi sono stupita di averne trovate alcune dove si elogiava la qualità della cucina, ed altre dove si lamentava la maleducazione della tipa in questione e il prezzo quasi da ladrocinio della fiorentina (in quanto bistecca). Tutte cose che avevo notato anche io ed i miei amici.
Tuttavia il problema delle false recensioni esiste, ma basta un occhio allenato per sgamarle. Se sono particolarmente acide, vado a vedere che cosa scrive di solito quell'utente e qual è il tono delle recensioni che ha lasciato in giro.
Per quanto riguarda il ristoratore che ha messo quel cartello... beh, secondo me ha furbescamente trovato un altro ultilizzo di Trip advisor per farsi della pubblicità gratuita. Quel cartello non ha senso, se non attirare l'attenzione, specialmente dei famigerati recensori Trip Advisor, nonché dei blogger che abboccano all'amo facilmente. Beh, chapeau.

La città più bella del mondo


Oggi Firenze è bellissima, ecco una foto del panorama dal Piazzale Michelangelo. Si vede tutto il pacchetto completo che ci rende unici: il Duomo, il Campanile di Giotto, Palazzo Vecchio, il Ponte Vecchio e in lontananza... la colonna di fumo proveniente dall'ultima fabbrica di cinesi in fiamme all'Osmannoro.

[Qui la puntata precedente, btw.]

Romina Power... Solo Performance

In questi giorni c'è stata una reunion televisiva di Albano e Romina di cui tutti hanno parlato: un concertone che ha avuto un sacco di successo. Non cerco info, tanto se ne parla dappertutto. Però mi è ritornata in mente quella volta che Romina fece la mostra dei suoi quadri a Firenze. Erano i primi anni duemila, il 2003 per l'esattezza. All'epoca il Renzi non c'era, ancora non era nemmeno approdato in Provincia che invece era ancora guidata dal sobrio (e pure lui democristiano) Michele Gesualdi. Il sindaco di Firenze era tal Leonardo Domenici, personaggio anonimo dalla pettinatura cotonata, travet dell'amministrazione che ha svolto i suoi mandati senza lasciare tracce. Il Renzi da questo punto di vista ci dà più soddisfazione; vuoi mettere tutte le gag, il Fonzie, ecc. Ma non voglio divagare, ritorniamo a Romina Power. In quel periodo lei era spesso sulle riviste che legge la mia nonna a raccontare di quanto fosse diventata fricchettona e globetrotter dopo la separazione da "ugola di uranio Carrisi"; aveva abbandonato il paesello e viaggiava in India, si vestiva con lunghi camicioni simil etnici e cose così.
Il comune le concesse l'uso del Palagio di Parte Guelfa, un paio di stanzone enormi in via Pellicceria, in pieno centro storico per la sua mostra di pittura dal titolo: The Power of Color. si noti il gioco di parole, please. E lei venne in carne ed ossa a presentare i suoi lavori, accompagnata dal figlio Jari. Me lo ricordo perfettamente perché io ci tenevo davvero tanto a incontrarla, volevo stringerle la mano e vederla dal vivo. Impulso che nella mia vita ho avuto con pochissimi personaggi famosi (perché sono una fiorentina snob, ecco). Romina Power, la Rita Pavone, e pochi altri che adesso non mi vengono in mente, ma vado di fretta, come al solito perché sono in pausa e ho i minuti contati. Un giorno scriverò un post sui blogger che hanno i minuti contati per bloggare le loro cose fondamentali. Ma non divaghiamo. Insomma per farla breve, Romina Power venne insieme al figlio a presentare la mostra, ma lo fece in un giorno di lavoro e a me si spezzò il cuore a non poter essere lì. Mi pare che scrissi un'email di protesta al Comune ed anche un post sul vecchio blog per lamentarmi della cosa che ancora adesso un po' mi brucia.
Nei giorni successivi andai a visitare la mostra per conto mio: volevo vedere le tele che lei aveva dipinto durante gli anni trascorsi in Puglia. Me ne ricordo uno in particolare: un paesaggio del sud, in primo piano due giovani in motorino ripresi da dietro. Lui tozzo, col collo taurino e lei con i lunghi capelli scuri. Se solo ritrovassi la foto.

Suv come buzzword raccatta simpatia (politica)




C'è questo imprenditore, Andrea Zucchi, anche se credo sia più un bottegaio/imprenditore; ma sono sono differenze trascurabili al giorno d'oggi, nel tempo del: “non si dice aprire ditta, si dice creare una start up”, che segue a ruota il tempo del: "non si dice aprire partita IVA ma diventare imprenditore di sé stesso”, perciò non sottilizziamo. Dunque, questo imprenditore mi piace perché in primo luogo è sornione, si vede dallo sguardo, caratteristica che apprezzo sempre molto. Il siparietto è preparato, ok, ma l'antipatico presentatore che tira in ballo la parola suv*, ripresa prontamente dal sottosegretario Polillo per attirarsi delle facili simpatie, mi ha dato fastidio. I suv, le macchinone antiecologiche e care asserpentate che spesso possono essere immatricolate come furgoni e che evocano nell'immaginario collettivo un bouquet di: ignoranza, ostentazione, buzzurrità, antipatia, lusso cafone, tracotanza, evasione fiscale, ingombro, parassitismo... Basta pronunciare questa parola contro qualcuno ed è fatta.
"Cose da suv", dice il sottosegretario ridacchiando tra i denti, mentre esamina il mazzo di chiavi che lo Zucchi gli ha mollato lì in segno di protesta. Mi ha ricordato un personaggio della Caterina Guzzanti: Vichi di Casa Pound, la fascistella in confusione mentale, quando esclama: "e le Foibe?".
Il tempo dei tarallucci e vino è finito. Le risatine e le battutine non sono più accettabili.


(*) con tutta l'antipatia che io possa avere per il mezzo in questione e per il suo proprietario-tipo. Ne approfitto per fare un [momento automarchetta]: il mio prossimo ebook parlerà di imprenditori delinquenti, solo debiti e suv [fine momento marchetta].

Il Nemico

Sono triste e ho lo scoramento. Il motivo è presto detto: lo Stato italiano mi deve all'incirca novecento euro. Vogliono che mi rechi negli uffici appositi per iniziare la procedura di rimborso. Dovrei essere contenta, invece no.  Sono avvilita da quando mi sono resa conto del perché questa per me non sia affatto una bella notizia.
Ma andiamo per ordine. Tempo fa l'Inps mi ha mandato una lettera a casa dove mi dice che ho questi soldi da recuperare, roba pagata in più negli anni passati, mentre chiudevo la mia vecchia attività perché non ce la facevo più ad andare avanti.
Sono tanti soldi, un piccolo "tesoretto", anzi, a penasarci bene mica tanto piccolo, specialmente adesso che c'è la crisi, si lavora meno e si deve rinunciare a quasi tutto perché non c'è più trippa per gatti, signoramia.
Dopo qualche giorno però mi sono resa conto di non avere il coraggio di andare a ritirarli. Paura dell'effetto vaso di Pandora, di scatenare l'Inps e di entrare in meccanismi kafkiani che mi fanno venire il magone solo a scriverne, adesso, in questa pausa caffè anonima.
Ne ho parlato con alcuni amici, e tutti mi hanno dato ragione e mi hanno detto di lasciar perdere i soldi, anzi: di far finta che quella lettera non sia mai arrivata.  Perché non è possibile che mi restituiscano quei soldi indietro e ormai non conto più le storie di persone che, in una situazione simile, si sono ritrovate con la somma quintuplicata - ma da pagare loro allo Stato - per "sciocchezzuole" di cui non sapevano nulla e labirinti infernali di ricorsi.
In attesa di prendere una decisione avevo attaccato la lettera al frigorifero, interrogando chiunque mettesse piede in casa mia. E tutti a dirmi di lasciar perdere.  Infine l'epilogo: ieri ho preso la lettera e l'ho stracciata in piccoli pezzi e adesso sta nella pattumiera della carta. Domani se mi ricordo la porto al cassonetto. Cos'è successo ieri? Semplice, ho letto Avviso ai migranti su KeinPfusch e poi ho letto anche il thread nel forum sempre sull'argomento dei finti rimborsi. Tutte esperienze (un po' diverse, parlano alcuni residenti all'estero, ma tant'è) di persone che con la scusa di ottenere rimborsi dallo Stato italiano si sono trovate invischiate in meccanismi kafkiani o fantozziani che dir si voglia. E la riflessione è amara. Mi sono resa conto di percepire come un nemico lo Stato in cui sono nata, che dovrebbe tutelarmi, di cui mi dovrei fidare e a cui - in un mondo ideale - dovrei essere contenta di dare i miei soldi sotto forma di tasse per quello che fa per i cittadini. Un meccanismo di sfiducia naturale, innescato dall'esperienza. Un nemico poco nobile, di quelli che nei film fanno i furbastri e di cui non ti puoi fidare mai, ma proprio mai, il personaggio che "mancia spaghetti e suona mandolino, dice cosa e poi fa altra", tanto per fare una citazione colta. Quindi tenetevi i miei novecento, grazie.

Decisioni difficili per chi si auto-pubblica in ebook


Prima di tutto una buona notizia che ho scritto altrove ma non qui: Gattasorniona The Antology, opera prima costola del vecchio blog su Splinder, ha superato i 700 download. Niente male. Ho postato il dato su Facebook, tutta orgogliosa: sono numeri di tutto rispetto!
E lì mi è stata fatta una domanda che mi ha messa in crisi all'istante, ossia: "con un libro a pagamento ce la faresti a superare questo numero?" Istintivamente ho pensato di no e infatti ho risposto che la vedevo difficile.

La pazzia e lo spirito del Natale


Sono esausta dopo i festeggiamenti di rito coi parenti e tutto l'apparato consueto. Ma ho voglia di raccontare una piccola storia di Natale.

Tragedie telefonate: cadiamo tutti dal pero


Sono diventata una creatura contemporanea e così ho perso l'abitudine di commentare i fatti di cronaca qui sul blog. Di solito mi basta un tweet e via. Ma oggi la tragedia è di quelle grosse, sette persone morte al Macrolotto nel rogo di un capannone fatto con l'amianto, pieno di lavoratori cinesi che lì dentro ci vivevano e ci lavoravano. Si chiamano fabbriche/dormitorio, una "specialità tradizionale garantita" che per l'appunto vanta una zona d'eccellenza a qualche chilometro da qui.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...