Assaggi di libertà


Ieri sono uscita per la prima volta senza l'obbligo di andare solo a fare la spesa. Il Comune permette l'uscita per attività motorie.

Ho scelto di fare una passeggiata in centro. Era la prima cosa che mi ero ripromessa di fare, appena sarebbe tornato possibile.

Provo un senso di timore su quello che si può fare o no, forse ho davvero arredato il tunnel. Non sono mai sicura al cento per cento, le informazioni non sono mai precise. Eppure sono stata attenta a come e dove mi informavo, evitando per quanto possibile cloache e polemiche online, ma scegliendo accuratamente le fonti da seguire: quelle più ufficiali e giornali e giornalisti che seguo di solito e so essere affidabili, come il buon Francesco Costa del Il Post, per esempio.
Inoltre, il non avere più la tivvù in casa da una quindicina di anni, pensavo mi avesse aiutata a procurarmi gli anticorpi per scremare al volo le notizie.

Invece.

Sono uscita timorosa, con mille dubbi. Ho dovuto ripetermi che l'attività motoria è di nuovo permessa, è dunque ok uscire per camminare. Però il mio cervello è rimasto sul chi va là.
Era mia intenzione arrivare in centro e ritornare indietro. Un paio di ore abbondanti, ordinaria amministrazione durante le camminate pre-coronavirus. E così è stato.
Ho scartato l'idea di portare la macchina fotografica con me. Mi pareva una cosa inopportuna. Poi in centro ho visto un sacco di gente che [giustamente] faceva foto. Documentare un momento come questo è importante. La prossima volta la porto eccome. Nel frattempo mi sono accontentata dello smartphone.



Il centro è bellissimo, surreale, silenzioso. Quasi solenne, ma con una vena inquietante.

Mi è venuto in mente il meraviglioso The Leftovers quando la protagonista Nora Durst [spoiler alert!!!] alla fine riesce ad andare nell'altra dimensione, dove sono finiti i departed, e trova un mondo identico al suo, ma vuoto e infinitamente triste [fine spoiler].

In centro ho sentito la mancanza della musica e di quei rumori di sottofondo che ne definiscono il carattere e l'atmosfera. Centinaia di persone in una piazza fanno un rumore inconfondibile, che riascolteremo tra chissà quanto tempo.

Si era fatta l'ora di pranzo, ho comprato un pezzo di schiacciata al forno Sartoni, in via dei Cerchi. Poi l'ho mangiato di nascosto, mentre andavo verso piazza della Signoria. Mi sono resa conto che forse non ci si può fermare per mangiare. O forse sì. Boh. Le zone grigie sono quelle che temo di più: sono i luoghi dove il Comune fa cassa e dove diritti e doveri diventano discrezionali in base a convenienze e contingenze.

Ingollato l'ultimo morso, però, ho cominciato a sentirmi a mio agio. Ho percorso le strade in cui amo passeggiare di solito, con una goduria crescente. Ho evitato di andare in Oltrarno e passare dal Ponte Vecchio, ci andrò alla prossima uscita. Ho fatto poche foto solo perché a un certo punto mi sono dimenticata di farle.


E' stato bello.

Tornando verso Novoli mi sono fermata a fare la spesa. Alla coop hanno creato un percorso per la fila. Prima si girava intorno al piazzale e basta. Adesso c'è un percorso vero, fatto con bancali e nastro. Mi ricorda il percorso dei go-kart a pedali in qualche località di vacanza scrausa della mia infanzia. C'era un tizio in giacca con badge coop che spiegava ad altri dipendenti come posizionare la pista il giorno dopo. Ho preso atto della novità, poi sono tornata a casa.

Diario del 1 maggio



Da oggi in Toscana si può uscire per fare attività motoria. Non so come sia nel resto d'Italia. Non è che non mi interessi, è che non sono riuscita a capirlo. Ma a Firenze si può, se si esce a piedi partendo da casa e ritornandoci.

Attendevo questo momento dall'inizio della reclusione. Mi sono mancate le mie passeggiate che anche senza coronavirus di solito faccio da sola, senza interagire con nessuno. Il distanziamento sociale è parte di me.

Con la fine del divieto di passeggio ero convinta che sarei schizzata fuori casa e avrei camminato per un paio d'ore come ho sempre fatto nei fine settimana. Fino al covid-19, of course. A dire il vero, quando siamo entrati in lockdown pensavo che camminare da soli, con tutte le precauzioni del caso, avrebbe continuato ad essere possibile. Perché fa bene, riduce lo stress, perché la maggior parte di noi abita in case piccole ecc.

Poi sappiamo com'è andata.

Non recriminiamo. Per fatica, non per evitare polemiche. Torniamo a stamani. Mattinata fredda e nuvolosa.

Mentre alzavo gli occhi al cielo e ho deciso di rimanere a casa. "Forse esco dopo, nel pomeriggio" mi sono detta senza convinzione.

Ho preparato il tè coi biscotti ai cereali del Mulino Bianco. Inzuppavo i dischetti ai frutti rossi e riflettevo preoccupata: "Ho arredato il tunnel e non me ne sono neanche accorta".

Perché sono due mesi che voglio fare una passeggiata che non sia andare al supermercato più vicino cercando di metterci meno tempo possibile. Come tutti noi, del resto.

E allora perché mi è passata la voglia?

Depressione?
Ipotesi scartata subito. Non me la posso permettere la depressione.

Automatismi?
Ecco, precisamente. Credo si tratti di questo. Ho dovuto cambiare la mia routine da "anziana che ha i suoi rituali", e adesso mi ci sono abituata.

Ora sono qui a cercare di capire quante e quali sono le altre abitudini che ho perso e che mi toccherà ricostruire.

Tutto brutto?

No. Ci sono anche quelle (poche a dire il vero) abitudini che ho preso durante la quarantena e che non voglio perdere. Tipo cucinare di più, che è una cosa sana e mi dà una soddisfazione che avevo dimenticato.

Cibi-guida della pandemia

Melanzane, taralli, crostatine all'albicocca, banane.

Ho il forno rotto da mesi, altrimenti avrei panificato a raffica, come tutti. Credo.

Sono due giorni che sono ritornata al lavoro e sto già facendo bilanci sulla mia vita e il mio futuro. Me lo posso permettere. Ce lo possiamo permettere, adesso. Siamo ancora in un limbo, la tragedia economica che ha colpito l'azienda verrà fuori tra qualche settimana. Per adesso è concesso fantasticare bischerate del tipo: "basta, mollo tutto e vado [sostituire con località amena della nostra gioventù]", "prenderò in mano la mia vita e le cose cambieranno..." ecc.

Alla prima riunione in cui ci verrà chiesto di guardare l'abisso ritornerò all'istante in modalità terrorizzata e disposta a sopportare qualsiasi cosa pur di salvare il posto di lavoro. Per adesso però non ci voglio pensare. Preferisco sognare una vita implausibile nei sobborghi di Londra, col pub di quartiere a due passi. Si chiamano meccanismi di coping, mi dicono.

Riso carnaroli, arance spremute, prosciutto cotto, pere.


A futuri meme (se i meme hanno un futuro)

Oggi ho ricominciato a lavorare in ufficio. Un primo passo verso la normalità, qualunque cosa significhi in un momento come questo.

L'ufficio era deserto. Sono stata da sola per tutto il giorno, nella mia stanza. Con gli altri quattro o cinque presenti ci siamo salutati a distanza, senza chiederci nulla, come se non fosse passato un mese e mezzo dall'ultima volta. Sono state le ultime persone che conosco che ho salutato di persona all'inizio di questa cosa e sono le prime che ritrovo. Colleghi.

Ho passato un mese e mezzo da sola in casa e non è stato neanche tanto malaccio. Però adesso mi mancano gli amici. Le chat collettive, con gli aperitivi bevuti ognuno a casa sua, sono stati solo un pallido surrogato di vita. Ringrazio la tecnologia, certamente. Ma ora anche basta.

Non vedo i miei genitori da quasi due mesi. Meglio così, sarei stata autorizzata a raggiungerli solo in caso di emergenza. E grazie al cielo non c'è stata.

Sono stata tanto tempo a casa ma ora non mi sento riposata né sul pezzo. Ho vissuto la reclusione a velocità ridotta, una specie di letargo in veglia che non saprei definire altrimenti.

Pensavo che potendo andare a lavorare avrei anche potuto fare qualche passeggiata dove mi pare, ma a quanto pare no. Devo controllare però, non mi fido.

Se c'è una cosa che ho imparato in questi due mesi è che esiste tutta una categoria di persone che gode nel frustrare gli slanci altrui. Gente che sta male sempre, ma che in condizioni normali si mimetizza abbastanza bene. Invece la quarantena li ha attivati e la delazione del podista solitario li ha fatti splendere di una luce malata.

Di positivo c'è che ormai non si possono più nascondere.

Ne conosco alcuni così, in futuro cercherò di averci meno a che fare possibile.

Vendemmia di meme


Me li voglio ricordare i meme del coronavirus. Prime settimane.












Musica di merda

I primi giorni di isolamento era tutto un rimettere a posto. La Scimmia del Riordino, ce l'abbiamo avuta tutti. Poi è passata piuttosto in fretta, come ci garberebbe tanto che passasse questo virus.
Durante la Scimmia ho avuto la prima Grande Consapevolezza della quarantena che ancora mi fa sussultare all'improvviso o svegliare di botto borbottando improperi, come stamani. La prima Grande Consapevolezza è arrivata quando ho riordinato i cd. Ne ho tanti, ascolto sempre i soliti perché la maggior parte sono in un armadio a muro che fino al covid cercavo di aprire il meno possibile, l'interno mi ricordava le macerie dopo un crollo improvviso, una zona rossa fatta di cd, faldoni, arredi natalizi buttati alla rinfusa e ogni genere di suppellettile polverosa.
Adesso, dopo il Grande Riordino, apro quell'armadio almeno una volta al giorno e la visione mi rilassa, come un paesaggio di montagna. Ma mi rifiuto di ringraziare il coronavirus.




Comunque nel marasma ho rimesso a posto tutti i cd, spolverandoli a uno a uno, prendendo coscienza con orrore della musica di merda che ho accumulato negli anni. Una parola sola: imbarazzante.
Potrei fare la lista delle cose agghiaccianti, robe che un tempo davvero mi piacevano e adesso invece non capisco perché potessi aver avuto voglia di ascoltare certa roba. Un po' ci sta, perché si cambia, è normale. Tuttavia sono scioccata dalla quantità di cd improponibili.
Poi c'è una sezione ancor più grande, chiamiamola carpe diem, fatta di musica per lo più masterizzata su cd in cui spesso non c'è nemmeno la copertina, ma soltanto due parole scritte col pennarello direttamente sul disco che dovrebbero "evocarne" il contenuto. Si tratta di musica che ho ascoltato una tantum, per esempio, durante una vacanza, una festa, un momento particolarmente significativo: se avessi avuto il cd avrei potuto rivivere l'esperienza, sarebbe bastato mettere il disco nello stereo. Tipo souvenir dello spirito e della memoria. Funziona così solo in parte, almeno per me. Di alcuni cd mi ricordo la storia, altri sono diventati parte del mio presente, di altri ancora ho dimenticato tutto e oggi guardo disgustata tutta quella plastica.

Poi ho iniziato a rendermi conto che c'è pure un gruppo di Grandi Assenti da tenere in considerazione: i cd spariti. Alcuni mi ricordo di averli prestati in modo avventato nel corso degli anni.
L'amico frikkettone, personaggio ricorrente nel mio blog dell'epoca d'oro, ne ha presi un bel po' senza mai riportarne uno indietro. Altri li ho prestati e non ricordo più a chi, così non li posso reclamare. E via via che mi rendevo conto di che cosa mi manca, mi saliva il Grande Giramento di Scatole. Parliamo di una lista lunghissima fatta di Pink Floyd, Queen, Oasis, Mina, Metallica, Green Day, Jobim... Quello stesso giramento che mi ha fatta svegliare stamani - 25 aprile 2020 giornata fondamentale per la nostra democrazia, in piena era della pandemia globale - con un solo pensiero: a chi ho dato Arena dei Duran Duran? Quando l'ho prestato? Perché non è più qui? Per tutto questo tempo ho pensato che fosse finito nel marasma dell'armadio, ma adesso lì dentro c'è un giardino zen.
E la lista di cd mancanti si allunga. La vendetta sarà spietata.


 

Diario di inizio quarantena (col senno di poi): la Grande Noia

Diario del 14 marzo 2020 (col senno di poi)

Sono ancora sorda, ho fatto l'aerosol ma non è servito a nulla. Grande dibattito in chat, a quanto pare dovrei fare l'aerosol più spesso: mattina, pomeriggio e sera. Che palle. (Poi è passato da sé.)
Colazione: bananina, tè, biscotti salutari dell'Esselunga. Sono buoni, ma lasciano la segatura in bocca. Ho voglia di ricominciare a fare il caffè al mattino. Aggiunto caffè alla lista delle prossima spesa. (Adesso è un must, non riesco a capire come abbia fatto a prendere il tè per anni e anni. Ero impazzita, non c'è altra spiegazione.)
Guardato news su YouTube e letto un po' di giornali online.
Dalla finestra vedo che c'è un po' di gente in strada, in coda dal fornaio. La tramvia in funzione dà un senso di normalità. (Continua a darmi la stessa sensazione.)
Dopo colazione ho cancellato un po' di immagini dal cellulare. Praticamente tutti i meme che raccatto, mio malgrado, nei gruppi Whatsapp. Molti gruppi non li leggo più, ma i meme li rastrello ugualmente. Promemoria: rivedere impostazioni. (Ancora non l'ho fatto e continuo a raccattare mega su mega di cavolate.) Nell'opera di pulizia, sono andata a ritroso tra i file, ripercorrendo all'indietro la storia di questi ultimi giorni. Dagli appelli accorati, andrà tutto bene, state a casa ecc. di questi giorni, fino all'ironia ignara dei primi tempi di 'sto virus, quando il tutto doveva essere per forza una bischerata o una roba da cinesi.
Ho raccolto un numero impressionante di meme del tizio col barattolo della Nutella attaccato alla bocca con lo scotch, tipo mascherina. Ah ah. E poi anche di un altro tizio, seduto tra pacchi di Amuchina che guarda soddisfatto il malloppo, credo sia un personaggio di un telefilm che non ho mai visto. Questi sono, almeno nella mia bolla, i meme più gettonati dei primi tempi del coronavirus. (Nella bolla, Amuchina surclassata da Candeggina in un battibaleno.)



Ieri ho fatto 50 minuti di coda all'Esselunga. Non avevo mai avuto il frigo così pieno. (La me stessa del 21 aprile sorride intenerita: aspetta e vedrai, mia cara, adda passà 'a nuttata.)
Poi sono andata a comprare nel centro Vodafone una scheda marca Ho da 50gb da usare nel modem nuovo. Meglio abbondare coi giga di questi tempi.
Avevo provato ad acquistare la scheda al punto Iliad dentro il super, ma c'è solo un totem dove inserisci i dati e la sim ti arriva entro 14 giorni. Questo però lo capisci solo dopo aver fatto tutta la procedura che consiste anche nel registrare un piccolo video di autodichiarazione della propria identità. Un trauma. Quando mi sono rivista, inquadrata dall'alto, con i capelli sudaticci, la faccia grigia e i ciuffi bianchi in bella mostra mi sono spaventata. Faceva caldo, ero troppo coperta, però ho avuto un momento di autoconsapevolezza piuttosto pesante. Comunque 14 giorni non se ne parla, a me serve adesso la potenza dei giga.
Sono una donna anziana che sta per affrontare due settimane di autoisolamento, devo avere il traffico dati in ordine. (Non infierisco, mi abbraccio virtualmente.)
Allora ho deciso di fermarmi alla botteghina col nerd che mi ha spiegato tutte le possibilità di giga e sim, ed è stata la scelta migliore.
Ieri ho fatto anche la mia prima videochiamata con Whatsapp. O meglio: mi ha chiamata A. e poi si è aggiunta B.
Tutta contenta, dopo ho videochiamato anche i miei zii, che stanno in aperta campagna e tutta questa faccenda del coronavirus impatta poco sulle loro vite. (Per adesso, poi verranno seguiti dai vigili mentre sono a controllare le vigne e saranno esasperati dal sindaco - sceriffo che fa dirette Facebook a raffica per redarguire i cittadini indisciplinati che vanno nell'orto, MA senza mai dare spiegazioni sull'accesso a tamponi e mascherine. Adesso la zia non vede l'ora di andare a votare qualcuno meno scionno.)

Dopo provo a videochiamare i miei genitori. (Non l'ho ancora fatto, sono una persona orribile.)
Sono ansiosa, fumo troppo, ho paura soprattutto per i miei che sembrano ignorare la pericolosità di questa cosa che non andra bene come dicono, me lo sento.

Fine diario del 14 marzo 2020 (e del senno di poi 21 aprile).

Diario dalla reclusione

Riattivo questo blog per un motivo personalissimo. Stamani ho ritrovato una pagina del diario che dai primi di marzo era mia intenzione scrivere durante tutto il periodo dell'isolamento. Mi era sembrato un espediente azzeccato per ritornare a scrivere di cose personali, senza pubblicarle online, usando un vecchio blocco note ingiallito, chissene frega, solo per la soddisfazione che mi dà fissare i pensieri con le parole. E anche togliermi un po' di ruggine ché non sono più abituata a scrivere robe mie e ogni tanto mi manca, nonostante continui a scrivere online regolarmente, ma su altri argomenti. Temi che mi interessano, sia chiaro, però sono altro rispetto alla scrittura personale.

La buona intenzione del diario è durata un giorno, poi ho lasciato correre, vinta da quel senso di inquietudine e paura che ha preso il sopravvento durante il primo periodo della reclusione, quando ancora si pensava che tutta la questione coronavirus sarebbe durata un paio di settimane e rizzati.

Oggi, intorno al quarantesimo giorno, sono in preda a un'inquietudine più variegata che, oltre a comprendere il maledetto coronavirus, include anche il lavoro, la mia salute extra covid-19, alcune scadenze, una cosa che è saltata e su cui avevo lavorato un anno, alcuni genitori di amici che nel frattempo si sono ammalati.
Uno si sta riprendendo, un'altra è messa male e si trova dall'altra parte del mondo, in quel Massachusetts dove milizie private di invasati con le svastiche vanno a protestare contro le chiusure, imbracciando armi da assalto che gli rimbalzano sulle pance da birra.
Come si fa a consolare un'amica che sta perdendo la madre, senza poterla vedere ormai da settimane? In più, in un momento del genere, ritrovarsi con The Orange Man - come lo chiama lei - al potere e i nazisti del Massachusetts (semicit.) a giro incazzati è il non plus ultra della sfiga.

Poi penso che sono fortunata. Abito a Firenze e non nel Massachusetts. I miei genitori stanno bene, non li vedo da quasi due mesi e a loro va benissimo, hanno smesso di fare gli spavaldi ("te non mettere bocca, sappiamo noi come comportarci") da quando un loro amico è finito a Careggi con il covid e se l'è vista brutta.
Poi sono a casa mia, dove non ho mai passato così tanto tempo dall'età adulta. Ho fatto alcuni lavoretti, ho imparato a riparare cose che mai avrei pensato, tipo le prese elettriche, ho fatto mente locale su altre cose da fare appena riapriranno i tappezzieri e i mercatini dell'usato.

Però in queste settimane ho fatto una gran fatica a leggere. Proprio non ne avevo voglia. E sì che mi vanto di essere una lettrice attiva (mi sta antipatico usare "forte"), di macinare un libro dietro l'altro. Ecco, col coronavirus a tenermi in casa tutto il giorno mi è passata la voglia in un botto. Eppure era sempre stato il mio desiderio avere giornate tutte per leggere. Con la prospettiva reale di disporre di giorni e giorni chiusa in casa, mi è passata la voglia di libri in un attimo.
Leggendo sui social, non sono stata l'unica a sentirmi così. C'è un sacco di gente su Facebok sorpresa dal non riuscire a trovare la concentrazione né le motivazioni in un momento che, in teoria, sarebbe l'ideale. E nei commenti tantissimi confessavano le stesse difficoltà.

Alla fine ho vinto l'angoscia e sono riuscita a trovare di nuovo la voglia di leggere, usando un espediente casuale: i libri da "pilucco". Quelli che sai che ti piacciono e li apri a caso per leggerne qualche pagina, senza impegno, solo per il gusto di. Nel mio caso questi due:


Ottimi entrambi, sono stati l'apripista per farmi ritrovare la voglia di leggere.
Ed è stato un bene perché in questi giorni ho letto un libro favoloso che non anticipo, perché voglio scriverci un post a parte. Dico solo che mi ha donato ore di goduria pura.

Ecco, volevo riportare il diario di un mese fa, invece ho divagato, come ai vecchi tempi.

Meglio così.

Gita a Roma


Ho mangiato la pizza piegata a libro di Roscioli.
Ho camminato sui sampietrini coi tacchi.
Mi sono beata delle curve del Tevere. 

(questo è un post di prova, tanto per vedere l'effetto che fa)

Template

Si può cambiare Template tutte le settimane? Praticamente è quello che sto facendo. Quando ero attivissima su Splinder, dunque durante la preistoria, chi faceva così erano i primi a lasciare perdere tutto quanto. Ora, considerando che sono all'incirca 16 anni che ho un blog, forse il mio traccheggiare sui template è davvero solo indice del bisogno di trovare il vestito giusto e basta.

Serotonina di Michel Houellebecq



Ho finito Serotonina di Michel Houellebecq, traduzione di Vincenzo Vega per La nave di Teseo edizioni.
Maremma santa quanta depressione. Il protagonista si chiama Florent-Claude ed è un alto funzionario del ministero dell'Agricoltura francese. Naturalmente ha una vita sessuale disordinata ed è un depresso di quelli particolarmente incancreniti al punto che per tirare avanti deve consumare dosi massicce di Captorix, farmaco che lo tira su di morale (per quanto possibile) ma al tempo stesso lo rende sessualmente impotente.
Stavo per mollare questo libro dopo poche pagine perché comincia con una assurda scena di sesso a tre ambientata in una stazione di servizio, una brutta versione gerontopornografica della celebre scena dal benzinaio di Zoolander:


Ridacchiando ho pensato di aver bisogno di passare ad altra lettura, che Houellebecq nella mia vita avesse già fatto il suo tempo dopo lo sciatto Sottomissione, e di abbozzarla coi suoi libri. Invece la storia è davvero bella, un'esplorazione della mente, della vita del mondo del depresso che rapidamente inizia a riguardarci più di quanto non ci piaccia ammettere (ho letto altrove che è il futuro, per me è puro presente).
Tragedia, amori passati e irrecuperabili, solitudine siderale, depressione con un piede nella follia, e infine il tramonto della classe media.
Mi è piaciuto, anche perché il protagonista è davvero tanto antipatico e si fa fatica a simpatizzare con lui. Gli dò 4 pasticchine di Captorix, se le merita:
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La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...