La redazione di copywriter e il lavoro sul blog

 


Pubblico un estratto di "L'Alba dei Farabutti". Walter è il nome di fantasia dell'efferato titolare della webagency per cui ho lavorato nel 2011.

Walter spalancò la porta del bagno con uno schianto. Sobbalzai sulla sedia.

«Allora, seguitemi. Qui c'è un lavoro da fare sul blog» disse guardandomi serio.

«Sì, Walter» dissi.

«Cazzo, non mi parlare sopra. Dicevo che qui c'è da fare un grosso lavoro sul blog. Grosso. Ok? Non attira, non ha appeal. È distaccato dalla realtà, l'ho fatto leggere a un'amica giornalista americana. Manca di lavoro d'inchiesta. Sì, ecco. Lavorarci. Non è possibile, per esempio, non aver scritto nemmeno una parola sulla morte di Steve Jobs. Una notizia così importante, non puoi lasciarmela da parte» disse grave, rivolto verso di me.

Carmine annuì sospirando. Prese dalla tasca l'iPhone e lo appoggiò sul tavolo.

«Lo so, Walter, però la priorità sono i prodotti e le emergenze rosse» replicai.

«Certo, lo capisco, ma un po' di senso della notizia, no? Basta poco e si spaccano i culi col blog, mi segui?»

Facevo schifo anche come giornalista. Mi tranquillizzai, non ero una giornalista e nemmeno ci tenevo ad esserlo. Che assumesse dei professionisti per scrivere.

Walter mi lesse nel pensiero.

«Qui bisogna mettere insieme la redazione di copy. È il momento giusto. Tu li coordinerai e curerai la pubblicazione degli articoli, ma ci vogliono dei professionisti per scrivere, sennò non spacchiamo.»

«Sono d'accordo» dissi.

«Bene, mi fa piacere. Mettiti d'accordo con Carlo Gustavo per la selezione dei nomi. Ma contattali te e gestisci direttamente le collaborazioni ok?»

«Ma scusa non è meglio che la selezione del personale la faccia Carlo Gustavo? In fondo è il suo mestiere.»

«No, fatti dare i nomi e poi scegli te chi ti sembra meglio. È chiaro? Domani mattina Carlo Gustavo verrà qui, iniziate subito. Ok?»

«Bene, ho capito. Nessun problema. Qual è il budget?» domandai.

«Cerca di stare bassa nelle trattative. Parla con Mafalda dei dettagli, lei sa già tutto. Tratta con questi tizi, pugno fermo, non cedere come una pera cotta. Ok?»

«Chiaro, ma più o meno quanto posso spendere?»

«Ti ho detto di parlare con Mafalda. Io devo andare, ho un appuntamento con un cliente» mi interruppe.

Corse fuori e poco dopo lo vedemmo passare sul SUV, a tutta velocità.

Contattai immediatamente il nostro psicologo aziendale e fissammo per la mattina successiva. Avrei preso due persone, ciascuna avrebbe scritto quattro o cinque post a settimana.

Gradualmente avrei implementato il numero di collaboratori e il numero di contributi, ma prima volevo testarli ad uno a uno. Li stavo contattando mettendoci la mia faccia, preferivo essere prudente. Telefonai a Mafalda.

«Ciao, ti chiamo per quella faccenda dei copy, Walter mi ha detto che posso chiedere a te per il budget da assegnare...»

«Ehhhhh?»

«Mafalda, sto per assumere i copywriter. Ho bisogno di sapere quali sono i compensi che pagate per questo genere di cose, così posso fare la trattativa...»

«Cheeeee?»

«Santo cielo, Mafalda. Hai capito di che parlo? Walter mi ha detto che ti aveva avvertita. Quanto la paghiamo questa gente?»

«Chiiiii? Senti, Walter non mi ha detto niente.»

Carlotta soffocò una risata. La guardai malissimo e lei uscì nel vicolo per ridere in santa pace.

«Allora come faccio, Mafalda?»

«Mo' lo chiamo e ti dico» rispose svogliata.

Carlotta rientrò.

«Walter mente sulle cose più elementari» dissi attonita.

Celebrity di Andrea Kerbaker (recensione)

 

Ho finito di leggere Celebrity di Andrea Kerbaker, edizione la Nave di Teseo. 

È un racconto lungo un centinaio di pagine sulla smania di essere famosi. Il protagonista è un giovane barista di nome Giuseppe Scannadinari – anche se preferisce essere chiamato Pino – logorato dal desiderio di diventare famoso e finalmente ottenere la rivalsa sociale che desidera più di ogni altra cosa. 

L'occasione gli arriva quando riesce a partecipare come concorrente a un quiz televisivo. Il racconto si svolge nei giorni tra la registrazione della puntata e la messa in onda. 

Pino è un ragazzo buono ma sfigato, poco istruito, poco intelligente, viene da una famiglia con le stesse caratteristiche. Dopo essere stato alla RAI a registrare la puntata, si fa dei film pazzeschi, ed emerge qualche problemino con la realtà. È uno dei tanti, vien da pensare. La fine non la svelo, ma in sostanza è tutto qui. 

Una cosa mi ha sconvolta, se posso permettermi. Celebrity è un volumetto minuscolo, che ho trovato a due euri razzolando nella cassetta delle offerte alla IBS. Però da nuovo il prezzo di copertina sarebbe stato 11 euro, una cifra assurda per poco più di cento (dimenticabili) pagine che si leggono in un'oretta o poco più. Mi sembra un prezzo troppo esagerato. Ecco, lo volevo dire.

Voto: gli do due televisioni 📺📺solo perché tra le emoticon non ci sono i riflettori.

Disclaimer per i miei tre due lettori. 

Ho letto un mucchio in quest'ultimo periodo, ma non ho avuto voglia di fare le recensioni. Però sto tenendo traccia dei titoli su Goodreads, in caso interessasse. 

(p.s. anche goodreads lo aggiorno in maniera discontinua e umorale, ça va sans dire)

I commentatori, post verticale post pennichella quasi coma

 

Disclaimer: post lamentosissimo, nostalgico e scritto da ancora semi addormentata.

Quando ero molto più giovane e avevo un blog di discreto successo, avevo anche alcuni fan – ora non saprei nemmeno come si chiamarli: seguaci, follower... all'epoca però non si chiamavano follower, forse semplicemente commentatori – comunque sia, alcune persone che venivano a commentare con un pattern ben specifico ogni santo post che mettevo on-line.

Ce n'era uno che non appena premevo il tasto invio e il mio post finiva sulla pagina gialla di Splinder, mi rispondeva immediatamente in privato, facendomi una domanda a caso e pretendendo una risposta. Tipo parlavo di un panino al lampredotto –con tanto di foto e descrizione – e subito il tipo mi scriveva in privato per chiedermi cosa fosse un panino al lampredotto, domandando un chiarimento su ciò che avevo appena scritto e perché avessi parlato proprio di panino al lampredotto e non di giardinaggio, per esempio. 

Era surreale.

Non dovrei neanche sepecificarlo, ma io non sono Kierkegaard, i miei post erano, sono piuttosto semplici, autoreferenziali come come in uso nei blog e mi hanno sempre irritato quelle email irritanti e lamentose che arrivavano a ogni santa pubblicazione. 

Era un po' come quei tizi che ti chiedono sempre di ripetere quando parli perché un po' non ti ascoltano, un po' non hanno voglia, un po' sono abituati così e pretendono che chiunque si adegui.

Ora non so perché ho pensato a questa cosa mi sono svegliata da una pennichella-tipo-coma con questo pensiero, con in mente Splinder, i commenti e in particolare quel commentatore. 

Ma non solo lui. C'era quello che iniziava sempre con la frase "anche se spesso non sono d'accordo, con te ti seguo comunque sempre e vorrei dirti che" eccetera. Mi faceva imbufalire.

Adesso mi rendo conto che ci sono dei motivi per cui mi ritrovo il blog semi-abbandonato e mi sono rimasti due lettori di numero che ognhi tanto passano da qui. Volevo dire un'altra cosa. Volevo scrivere un'altra cosa. Questa avrebbe dovuto essere una premessa per il post vero e proprio ma mi ha preso la mano e ho divagato troppo. Come ai tempi di Splinder.

Attese viperine e foodblogger

Il sentimento di attesa è una costante venefica, mentre si propaga anestetizza. Tutto muore e rimuore. 

Mi alzo con questi pensieri, dopo una notte agitatissima e affollata di zanzare.

Decido di andare a godere delle ore di "fresco-per-modo-di-dire". 

Il programma della giornata offre due passi in centro, poi sprangata in casa nelle ore calde, come consigliano i tiggì.

La mia estate.

Sudo e m'idrato,
m'idrato e sudo.

C'è caldo a un livello non ancora letale, ma ci siamo quasi, meglio concentrare il programma. Caffè da Paszkowski, giro in libreria, capatina in San Lorenzo, sosta di Santa Maria Novella per breve lettura delle newsletter del sabato, la spesa al Conad del Ponte Vecchio.

Perché non ci sentiamo migliori come pensavamo? Se lo chiede l'autore di Zio in una riflessione post-covid con cui introduce la trap lucana, il tema della settimana. Sono molto simili ai paninari dei mitici Ottanta, questi trappers, concludo scorrendo le immagini di giovani col piumino monclair.
 
Perché non ci sentiamo migliori come pensavamo?

Anche per me è un po' un pensiero fisso – ne ho già parlato altre volte – quello di capitalizzare i due mesi di lockdown che ho trascorso da sola in casa. Vedo quel periodo come un patrimonio che in qualche modo occorre che valorizzi, sennò è stato solo tempo perso. E sento che non è così, però mi sfugge il modo di... eccetera.

In mancanza di riflessioni adeguate, la butto in vacca sullo scontato: piccoli passi, piccole cose.

Prima di tutto il mainstream.

Oggi mangio tofu alla pizzaiola, ma prima lo fotografo così questo spazio possa insidiare l'empireo del foodblogging.

Io il tofu lo faccio con i pomodorini, come suggerisce la ricetta sulla scatola. Forse questo non dovrei scriverlo, e invece inventarmi una ricetta con solida ascendenza e narrativa adeguata.

Lo facevo anche quando avevo il blog su Splinder, oltre la quindicina di anni fa. Inventavo ricette e ci chiosavo assurdità intorno. L'abbozzai quando qualcuno provò sul serio a cucinare ciò che avevo scritto e non rimase contentissimo ーpagherei non so che cosa per ricordarmi che roba fosse.
All'epoca non c'erano ancora le gogne sui social (non c'erano neanche i social), ma solo chiassosa vivacità nei commenti sul blog.

Non so perché mi sia venuto in mente tutto ciò, adesso.

Dicevo, prima di tutto il mainstream.

Hashtag e emoji.

#Foodblog 🍅🍉

Segue la foto del pasto.
L'immagine mi proietterà nell iperuranio dei food blogger. Anche se, a riguardarla adesso, mi fa già un po' schifo.


Pomeriggi d'estate e il rifiuto di Proust


Primo pomeriggio di un'estate qualsiasi.

Contemplo un piatto di tortellini improbabili postati su Cucinare male. Sono ipnotizzata, sembrano deiezioni aliene. Assisto al sacrosanto crescere a vista d'occhio di like e cuori.


A questo punto potrei divagare col pensiero e ritrovarmi e tanti anni fa, magari verso gli Anni Settanta quando mia nonna ci cucinava le cose più assurde durante le infinite estati in campagna. Perché 'ste nonne bucoliche & ecocompatibili negli anni Settanta non è che fossero così comuni, diciamolo.
Decido di non indulgere oltre nei ricordi, sarebbe solo una melensa forzatura paraproustiana.


Quello che mi viene in mente adesso – in questo momento di abbiocco possente – è legato al presente. Ci sono troppe cose, troppe preoccupazioni che sballonzolano nel cervello. Il frinire dei grilli mi distrae. Grilli? In città?


Mi riallineo con la realtà usando un sistema semplice semplice: metto in ordine i libri che mi faranno compagnia nelle prossime settimane.
Con passi giapponesi, Spillover, Storia dell'Europa in 24 pinte, L'arte della vittoria, Teoria della classe disagiata e Mad in Italy Manuale del trash italiano 1980-2020. Quest'ultimo aggiunto oggi dopo aver realizzato che l'autore mi contattò nel 2006 – era in tesi –  e gli mandai delle info su Tommaso Labranca che non conosceva.

Come stare soli di Jonathan Frenzen (recensione)



Ho finito di leggere Come stare soli. Lo scrittore, il lettore e la cultura di massa di Jonathan Franzen, pubblicato da Einaudi e tradotto da Silvia Pareschi.


È una collezione di saggi scritti tra la fine degli Anni Novanta e i primi Anni Zero sulla vita in America, sulla cultura americana e sulla famiglia dello scrittore.

Frenzen spazia dalla morte del padre al romanzo, per poi allargarsi per raccontarci spicchi di società dell'epoca; un reportage sul sistema postale di Chicago con le sue inefficienze; un altro sulle carceri americane a gestione privata; il racconto di quando si è fatto buttare fuori dal book club di Oprah Winfrey che diventa l'occasione di una riflessione profonda sui media, sulla spettacolarizzazione della cultura e molto altro.

Di quello sulle carceri (Unità di controllo) mi ha colpita le surreale situazione della città di Cañon City in Colorado che la cui economia e speranze di sviluppo girano intorno alla presenza di questo istituto che riesce a generare anche un indotto di turismo, con tanto di celle per i visitatori che desiderano fingere di essere detenuti pericolosi e la vecchia camera a gas aperta al pubblico. Questo è stato il saggio che mi disturbata di più tra tutti quelli contenuti in questa bella raccolta.

Ho amato leggere La prima città. A differenza di quello che accade in Europa, negli USA il centro delle città di solito è la zona più disagiata, mentre le periferie nascono e si espandono per accogliere il ceto medio, con tutto quel che ne consegue a livello sociale. Ho trovato ragionamenti simili nel libro di Michelle Obama e in quello di Francesco Costa, sono temi che sono negli ultimi tempi sono venuti fuori spesso nelle mie letture.

Un ritaglio a caso: il senso originale (italiano) del fascismo


La scrittura di Frenzen è rilassante, semplice ma sofisticata, sembra si sviluppi linearmente, in realtà raggiunge livelli di rara profondità e riesce a metterli in connessione con chi legge.

Un aspetto per me divertente un casino, è che si tratta di saggi scritti in epoca pre-social. Frenzen attribuisce tutti i mali del mondo alla televisione, che gli sta sulle scatole anche come oggetto. Mi piace leggere della tecnologia dell'epoca, forse perché un po' certe cose mi mancano, forse perché le ho vissute durante la mia gioventù o forse perché sono diventata un'anziana luddista. Chissà.

Voto: quattro apparecchi televisivi retrò 📺📺📺📺

Il declino della Susan


 
Scrivo questo post per ricordarmi l'episodio, voglio conservarne una traccia.

La notizia non è fine a se stessa, si aggiunge ad altre "red flag" che in questi giorni, di tanto in tanto, scorgo sulla rete. Tradisce una malcelata paura che le cose non tornino com'erano nelle zone con uffici e pause pranzo fuori, ma mostra anche il declino di un quotidiano –Il Corriere – che ho sempre considerato prestigioso 一Tommaso Labranca lo diceva già anni e anni fa; naturalmente aveva ragione.

Facciamo una panoramica per la me stessa del futuro che si troverà a leggere questa roba. Chissà perché so che un giorno mi servirà rileggere questo post.

Cara Gatta del futuro, come ben sai una delle tante conseguenze della "Grande Pandemia del 2020" è stata la diffusione del cosiddetto smart working, ovvero il telelavoro organizzato alla meno peggio in quattro e quattr'otto.
Come ben sai, anzi come ben sappiamo è stata una scelta forzata dalle circostanze, spesso organizzata alla bisogna, per tamponare l'emergenza che ci ha colti impreparati.
Lavorare da casa non è stata una scelta, ma molti (non tutti) ci hanno trovato dei lati positivi.



Le aziende hanno risparmiato su utenze e materiali, tanto per cominciare.

I lavoratori spesso ne hanno guadagnato in qualità della vita; niente pendolarismo quotidiano; niente convivenza forzata coi colleghi; niente pause pranzo spese a mangiare la m**** a caro prezzo nei locali. Se stai a casa spendi meno, ti fai da mangiare quello che ti pare e non devi andare nella calca dei locali a spendere un puttanaio di soldi. Ci siamo ritrovati con tempo libero in più, e a trascorrere le giornate nel nostro ambiente.

Molti hanno gradito la cosa. Io sono tra quelli "anche no".

La novità però ha spaventato un po' di gente, tipo Beppe Sala che si è trovato per le mani anche la crisi dei ristoratori delle pause pranzo.

E questo dibattito ha cominciato a prendere campo. Ovunque.

Al bar accanto al mio ufficio sono preoccupatissimi, li capisco, li conosco e mi stanno simpatici, anche se essendo gli unici nella zona in situazione normale si approfittano sempre per prezzi e qualità dell'offerta, fregandosene dei reclami. Adesso la situazione si è ribaltata e non passa caffè che non mi tocchi ascoltare le lamentele per il calo dei coperti giornalieri.

Il dibattito si intensifica dappertutto, Sala fa la sua gaffe passivo aggressiva, esortando il ritorno agli uffici e sottintendendo che lavorare da casa non sia un vero lavoro. Indignazione.

Poi esce sul Corriere un articolo con elaborazioni grafiche di rarissima bruttezza dove si mostrano gli effetti devastanti su una donna  – mettiamocela la questione di genere perché qui c'entra, dai – dopo 25 anni di smart working.

La donna si chiama Susan, un personaggio ovviamente obeso e ingobbito dallo stare al pc di casa perché evidentemente nelle aziende i computer non esistono. Susan è un disastro: i capelli radi, doppio mento, occhiaie da competizione, rughette e screpolature cutanee di rito. Vive in pigiama, con una maglietta troppo piccola che non le copre la pancia strabuzzante e le immancabili ciabatte ai piedi.

Un identikit fatto al computer per simulare cosa accade a questa donna – paradigma di tutte noi – dopo 25 anni di lavoro da remoto in cui evidentemente tutto è andato storto. Come se fino al covid non fossero mai esistiti lavoratori e categorie di lavoratori da casa.
Alla base di questa simulazione c'è uno studio che ha visto la partecipazione di un team di psicologi ed esperti di fitness, leggo sulla pagina del Corriere.

Sempre sul Corriere leggo che col covid-19 lo smart working è diventata prassi consolidata in mezzo mondo, nonché tema di dibattito, molti hanno cominciato a vedere i lati positivi dello stare a casa a lavorare. Però da via Solferino il messaggio malcelato è "occhio donne che poi diventate come la Susan".

Mi rendo conto che la diffusione di questo modo di vedere e concepire lavoro e ritmi lavorativi quotidiani abbia iniziato a spaventare un po' gente.

Mi dispiace anche perché il Corriere è un quotidiano che aveva il suo prestigio, la sua storia, e vederci pubblicate queste stronzate (senza asterischi, sfido l'ira di Google) mi dispiace tanto. E sono anche perplessa perché Gramellini la pensa come me.

Becoming di Michelle Obama (recensione)

Ho finito di leggere Becoming, la mia storia di Michelle Obama, edito da Garzanti e tradotto da Chicca Galli.

Mi è sempre piaciuta la Michelle. Mi sono sempre piaciuti entrambi gli Obama, così elegantemente fighi.
Questo memoir casca a fagiolo per le sere d'estate in cui prediligo leggere cose non troppo impegnative (come se negli altri momenti dell'anno... vabbè).

Michelle Obama è stato un personaggio della politica americana positivo e pieno di glamour, un modello per milioni di giovani in tutto il mondo. È un bel libro scritto da una squadra di gente (vedere i ringraziamenti alla fine) che hanno tirato fuori una narrazione magnetica che me l'ha fatto finire in tre giorni.

Si parte dalle origini, famiglia amorevole nella periferia piccolo borghese della Chicago dei primi anni Settanta che aveva già iniziato l'inesorabile processo di ghettizzazione. Lo studio come via d'uscita da una vita che in certi ambienti ha la tendenza a chiudere le prospettive anziché aprirle; la scuola una piattaforma di lancio verso il mondo. Convinzione che Michelle Obama si è portata a Washinghton, concretizzandola in estesi programmi di tutoraggio e borse di studio.

Mi è piaciuto leggere della sua storia d'amore con Obama, sono entrambi fighissimi, sapere come si sono incontrati e che tipo intellettuale ma al contempo fighissimo fosse lui. Ok, la smetto di scrivere fighissimo.

Spesso il suo punto di vista non necessariamente coincide col mio, da sempre molto ma molto critica con le amministrazioni americane che hanno tanta influenza sul mondo e che non considero così benevole come ci racconta lei, anche se non poteva essere altrimenti — il suo punto di vista, intendo.

Prima di cominciare ero interessata a vedere come avesse trattato alcuni temi che hanno avuto impatti abbastanza devastanti in Europa — le primavere arabe e la faccenda Snowden — ma nel libro non compaiono.
Forse è giusto che sia così. Ho letto delle recensioni online in cui la accusavano di aver trattato in modo parziale la causa dei neri americani. Non so se sia vero, ma nel caso della mia critica mi rendo conto che il personaggio è talmente immenso che raccontare solo "la mia storia" non sembra sufficiente, nonostante il libro sia proprio questo: una splendida agiografia familiare che ho letto con grande piacere e un pizzico di nostalgia.

Irresistibili i retroscena della vita alla Casa Bianca, i personaggi incredibili che ha incontrato da First Lady, e come ha affontato i tanti attacchi politici. Il tutto incastonato in un racconto avvincente, condito da innumerevoli siparietti gustosi:


Le do quattro tavole da surf per le feste di Natale trascorse alle Hawaii, una ganzata di vacanze anche se Michelle tenta di spacciarle come mere visite di cortesia all'anziana nonna di Barak :-)  🏄🏄🏄🏄

Londra o niente



Alla fine del 2019 ho comprato un biglietto aereo per Londra da usare in estate.
Le mie ferie.
Mi pare una cosa distante ere geologiche, invece è successa pochi mesi fa e ci siamo quasi.
Dovrei partire i primi di agosto, rimanendoci cinque giorni.
Le mie ferie.
Ho comprato quel biglietto ben prima della faccenda covid, quando mi pareva furbo approfittare di un'offerta per un volo molto comodo verso una destinazione gettonatissima.
Mai avrei pensato che sarebbe successo 'sto pandemonio.
Vabbè, a dicembre nessuno si aspettava una pandemia.
Nessuno tranne Bill Gates, naturalmente.
Adesso non so che cosa fare, se andare o no a Londra.
Ho tanta paura, gli inglesi mi sono sembrati molto superficiali nell'affrontare il virus e hanno ancora dei numeri alti di contagiati e morti.
E come se non bastasse, vacanza a Londra significa prendere la metropolitana per spostarsi in città, altro motivo di angoscia.
L'alternativa a Londra è niente, perché con la cassa integrazione che non viene pagata e tutto quanto, non posso permettermi altro.
E sono già molto fortunata.

Dicono che scrivere di un problema ne aiuti la soluzione.

Non andrà tutto bene, non va mai tutto bene. Ma non andrà neanche tutto in merda come ti pare adesso

Varie dal mondo

Web ㅡ Il post sul libro su Tommaso Labranca è stato il più visto dell'ultimo periodo, con un distacco notevole rispetto agli altri. Ottimo, ci tengo molto. Questa lieta info arriva dalla nuova interfaccia di Blogger – un restyling paraculo as usual – che coincide con la mia rinata voglia di bloggare. Ho già individuato alcuni bug e li ho comunicati a Google LLC che credo stia investendo in tutto il "progetto blogspot" non più di due pizze di fango del Camerun.

Shopping ㅡ Mi sono comprata un cavo lungo 3 metri per ricaricare il telefono. Diosanto che goduria. Perché non l'ho fatto prima?
Mi sono comprata 3 paia di calzoni estivi. Stesso modello ma colori differenti. Erano in sconto e stavo andando in giro con quelli invernali. Il lockdown non favorisce lo shopping, l'abbiamo appurato collettivamente.

Politica ㅡ Leggo della politica americana, mi dispiace tantissimo per come stanno affrontando l'epidemia, ovvero con la prevalenza dei mentecatti. Mi dispiace tantissimo per tutti gli altri, intendo. Nel frattempo godo che non abbiano fatto sbarcare in Sardegna i tizi arrivati dagli USA con un jet privato che pretendevano di fare come gli pare solo perché ricchi. Il presidente della regione costernatissimo perché gli hanno rimandato indietro 'sti tizi che, guardacaso, erano arrivati in Sardegna per portarci grandi affari, prenotando pure hotel lussuoso + villa, ma adesso nulla, andranno a far piovere soldi altrove ecc. Ma Solinas non è lo stesso che in altri momenti voleva vietare gli arrivi sull'isola dal resto d'Italia, blaterando di passaporto sanitario?

Varie dall'omino del cervello

Memorie dal lockdown.

Non andrà tutto bene, non va mai tutto bene. Ma non andrà neanche tutto in merda come ti pare adesso. 

Questo il discorso stretegico che mi sono fatta durante il lockdown, una volta che mi ero svegliata storta, convinta di avere il covid-19 e che sarei morta da sola nel mio appartamento in periferia, nell'indifferenza e nella solitudine. Perché sempre meglio così che essere ammassata come un pacco ingombrante in una corsia d'ospedale. 


Stamani camminavo per il centro e dopo aver preso il caffè da Rivoire mi è tornata in mente quella mattina di fine marzo 2020 in cui, in preda all'angoscia, ho giurato solennemente a me stessa che sarei morta per cazzi miei. A quel punto ricordo di aver tirato fuori la frase motivazionale e poi di essermi dedicata al decluttering fino all'ora di pranzo.
Oggi ho passeggiato al sole e all'ombra, bevuto il caffè e fatto un po' di foto.


L'importanza di Postal Market nella formazione della giovane blogger

Postal Market è fallito nel 2015. L'anno prossimo ritornerà più agguerrito che mai con la voglia di primeggiare contro Amazon. Io tifo per PM, naturalmente. Il mio amore per Postal Market inizia negli anni Settanta, ed è una relazione complessa, con un ruolo piuttosto importante nella mia vita. Ricordo ancora le sensazioni dei polpastrelli sulle pagine e l'odore della stampa patinata.

[...] mi sono chiesta: ma la prima volta che ho letto qualcosa di scritto? Ebbene, pare che abbia cominciato a capire le parole scritte prima del tempo della scuola. Intelligente, vero?
Mi piacerebbe tanto poter raccontare che tutto ciò fosse dovuto a fantastiche letture di libri bellissimi, tipo Piccole Donne o l'Isola del tesoro che facevo aiutata dalla mamma, per esempio. Invece no, nulla di tutto questo. I miei primi passi con la lettura li ho fatti per conto mio, su un mitico catalogo Postal Market.

Il catalogo Postal Market era un trattato di "acquistologia" importantissimo e imprescindibile in paese. In città, invece, non si usava perché non ce n'era bisogno e si poteva trovare tutto sotto casa, nei banali negozi. Soltanto adesso mi rendo conto che la mia attuale idiosincrasia per lo shopping probabilmente nasce proprio da questo provincialismo congenito.

Ma torniamo agli anni Settanta.

Il catalogo Postal Market arrivava sempre in contemporanea a tre o quattro famiglie del paese e tutti si mettevano a studiarlo con impegno. Nei caldi pomeriggi estivi l'aia tufacea e ben ombreggiata dalle casce, diventava il punto nevralgico di tutta la faccenda: ognuno arrivava portandosi la sedia e la propria copia di Postal Market per sfogliarlo e discuterne con gli altri.

C'erano dei grandi dibattiti interfamiliari sugli acquisti da fare e sulle priorità di spesa e le discussioni erano sempre accese, spesso e volentieri incazzose.



Poi venivano fatti gli acquisti, compilando e spedendo l'apposita cartolina acclusa al catalogo.

Solo a quel punto noi bambini potevamo prendere possesso del prezioso tomo e finalmente sfogliarne le pagine patinate, passando da una sezione all'altra.
Ecco, anche se sono passati più di trent'anni (impressionante, vero?) io la ferrea tassonomia merceologica di Postal Market me la ricordo ancora benissimo.
Si cominciava con l'abbigliamento: modelli in carne ed ossa ma tali e quali ai Fuccons, indossavano con finta disinvoltura la moda popolare del momento. È bene ricordare che erano gli anni Settanta e i poliesteri la facevano da padrone, almeno negli ambienti che frequentavo io.
A seguire venivano: la sezione degli accessori per la cucina, per la casa, il fai da te, il giardino, lo sport, i giochi e la cancelleria.

Ogni oggetto in vendita era fotografato e aveva un numero che lo rimandava ad una descrizione nella stessa pagina. È così che ho imparato a riconoscere le prime parole, per districarmi in quel meraviglioso mondo di cose interessanti e così a portata di mano.

Vuoi mettere la comodità?

Poco fa pensavo che se allora ci fosse stata Internet, si sarebbe guardato tutti il catalogo Hammacher Schlemmer, altro che quel troiaio di Postal Market. Sarei scoppiata dalla gioia e sarei cresciuta sicuramente in modo migliore.

Già che ci sono la butto lì: se qualcuno mi volesse fare un regalo mi piacciono molto: questo coso ganzissimo , la me-ra-vi-gli-o-sa bici d'acqua, il più grande cruciverba del mondo che pare un ricamo di fine fattura, il valido sistituto per il banale tostapane e, infine lo status simbol per eccellenza: ovvero il tocco di classe creare ovunque l'atmosfera giusta [link rimossi perché ormai non più funzionanti, ndr].

Amarcord per corrispondenza, tratto da un mio post del 13 aprile 2006 pubblicato sul mio vecchio blog su Splinder.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...