Romina Power... Solo Performance

In questi giorni c'è stata una reunion televisiva di Albano e Romina di cui tutti hanno parlato: un concertone che ha avuto un sacco di successo. Non cerco info, tanto se ne parla dappertutto. Però mi è ritornata in mente quella volta che Romina fece la mostra dei suoi quadri a Firenze. Erano i primi anni duemila, il 2003 per l'esattezza. All'epoca il Renzi non c'era, ancora non era nemmeno approdato in Provincia che invece era ancora guidata dal sobrio (e pure lui democristiano) Michele Gesualdi. Il sindaco di Firenze era tal Leonardo Domenici, personaggio anonimo dalla pettinatura cotonata, travet dell'amministrazione che ha svolto i suoi mandati senza lasciare tracce. Il Renzi da questo punto di vista ci dà più soddisfazione; vuoi mettere tutte le gag, il Fonzie, ecc. Ma non voglio divagare, ritorniamo a Romina Power. In quel periodo lei era spesso sulle riviste che legge la mia nonna a raccontare di quanto fosse diventata fricchettona e globetrotter dopo la separazione da "ugola di uranio Carrisi"; aveva abbandonato il paesello e viaggiava in India, si vestiva con lunghi camicioni simil etnici e cose così.
Il comune le concesse l'uso del Palagio di Parte Guelfa, un paio di stanzone enormi in via Pellicceria, in pieno centro storico per la sua mostra di pittura dal titolo: The Power of Color. si noti il gioco di parole, please. E lei venne in carne ed ossa a presentare i suoi lavori, accompagnata dal figlio Jari. Me lo ricordo perfettamente perché io ci tenevo davvero tanto a incontrarla, volevo stringerle la mano e vederla dal vivo. Impulso che nella mia vita ho avuto con pochissimi personaggi famosi (perché sono una fiorentina snob, ecco). Romina Power, la Rita Pavone, e pochi altri che adesso non mi vengono in mente, ma vado di fretta, come al solito perché sono in pausa e ho i minuti contati. Un giorno scriverò un post sui blogger che hanno i minuti contati per bloggare le loro cose fondamentali. Ma non divaghiamo. Insomma per farla breve, Romina Power venne insieme al figlio a presentare la mostra, ma lo fece in un giorno di lavoro e a me si spezzò il cuore a non poter essere lì. Mi pare che scrissi un'email di protesta al Comune ed anche un post sul vecchio blog per lamentarmi della cosa che ancora adesso un po' mi brucia.
Nei giorni successivi andai a visitare la mostra per conto mio: volevo vedere le tele che lei aveva dipinto durante gli anni trascorsi in Puglia. Me ne ricordo uno in particolare: un paesaggio del sud, in primo piano due giovani in motorino ripresi da dietro. Lui tozzo, col collo taurino e lei con i lunghi capelli scuri. Se solo ritrovassi la foto.

Suv come buzzword raccatta simpatia (politica)




C'è questo imprenditore, Andrea Zucchi, anche se credo sia più un bottegaio/imprenditore; ma sono sono differenze trascurabili al giorno d'oggi, nel tempo del: “non si dice aprire ditta, si dice creare una start up”, che segue a ruota il tempo del: "non si dice aprire partita IVA ma diventare imprenditore di sé stesso”, perciò non sottilizziamo. Dunque, questo imprenditore mi piace perché in primo luogo è sornione, si vede dallo sguardo, caratteristica che apprezzo sempre molto. Il siparietto è preparato, ok, ma l'antipatico presentatore che tira in ballo la parola suv*, ripresa prontamente dal sottosegretario Polillo per attirarsi delle facili simpatie, mi ha dato fastidio. I suv, le macchinone antiecologiche e care asserpentate che spesso possono essere immatricolate come furgoni e che evocano nell'immaginario collettivo un bouquet di: ignoranza, ostentazione, buzzurrità, antipatia, lusso cafone, tracotanza, evasione fiscale, ingombro, parassitismo... Basta pronunciare questa parola contro qualcuno ed è fatta.
"Cose da suv", dice il sottosegretario ridacchiando tra i denti, mentre esamina il mazzo di chiavi che lo Zucchi gli ha mollato lì in segno di protesta. Mi ha ricordato un personaggio della Caterina Guzzanti: Vichi di Casa Pound, la fascistella in confusione mentale, quando esclama: "e le Foibe?".
Il tempo dei tarallucci e vino è finito. Le risatine e le battutine non sono più accettabili.


(*) con tutta l'antipatia che io possa avere per il mezzo in questione e per il suo proprietario-tipo. Ne approfitto per fare un [momento automarchetta]: il mio prossimo ebook parlerà di imprenditori delinquenti, solo debiti e suv [fine momento marchetta].

Il Nemico

Sono triste e ho lo scoramento. Il motivo è presto detto: lo Stato italiano mi deve all'incirca novecento euro. Vogliono che mi rechi negli uffici appositi per iniziare la procedura di rimborso. Dovrei essere contenta, invece no.  Sono avvilita da quando mi sono resa conto del perché questa per me non sia affatto una bella notizia.
Ma andiamo per ordine. Tempo fa l'Inps mi ha mandato una lettera a casa dove mi dice che ho questi soldi da recuperare, roba pagata in più negli anni passati, mentre chiudevo la mia vecchia attività perché non ce la facevo più ad andare avanti.
Sono tanti soldi, un piccolo "tesoretto", anzi, a penasarci bene mica tanto piccolo, specialmente adesso che c'è la crisi, si lavora meno e si deve rinunciare a quasi tutto perché non c'è più trippa per gatti, signoramia.
Dopo qualche giorno però mi sono resa conto di non avere il coraggio di andare a ritirarli. Paura dell'effetto vaso di Pandora, di scatenare l'Inps e di entrare in meccanismi kafkiani che mi fanno venire il magone solo a scriverne, adesso, in questa pausa caffè anonima.
Ne ho parlato con alcuni amici, e tutti mi hanno dato ragione e mi hanno detto di lasciar perdere i soldi, anzi: di far finta che quella lettera non sia mai arrivata.  Perché non è possibile che mi restituiscano quei soldi indietro e ormai non conto più le storie di persone che, in una situazione simile, si sono ritrovate con la somma quintuplicata - ma da pagare loro allo Stato - per "sciocchezzuole" di cui non sapevano nulla e labirinti infernali di ricorsi.
In attesa di prendere una decisione avevo attaccato la lettera al frigorifero, interrogando chiunque mettesse piede in casa mia. E tutti a dirmi di lasciar perdere.  Infine l'epilogo: ieri ho preso la lettera e l'ho stracciata in piccoli pezzi e adesso sta nella pattumiera della carta. Domani se mi ricordo la porto al cassonetto. Cos'è successo ieri? Semplice, ho letto Avviso ai migranti su KeinPfusch e poi ho letto anche il thread nel forum sempre sull'argomento dei finti rimborsi. Tutte esperienze (un po' diverse, parlano alcuni residenti all'estero, ma tant'è) di persone che con la scusa di ottenere rimborsi dallo Stato italiano si sono trovate invischiate in meccanismi kafkiani o fantozziani che dir si voglia. E la riflessione è amara. Mi sono resa conto di percepire come un nemico lo Stato in cui sono nata, che dovrebbe tutelarmi, di cui mi dovrei fidare e a cui - in un mondo ideale - dovrei essere contenta di dare i miei soldi sotto forma di tasse per quello che fa per i cittadini. Un meccanismo di sfiducia naturale, innescato dall'esperienza. Un nemico poco nobile, di quelli che nei film fanno i furbastri e di cui non ti puoi fidare mai, ma proprio mai, il personaggio che "mancia spaghetti e suona mandolino, dice cosa e poi fa altra", tanto per fare una citazione colta. Quindi tenetevi i miei novecento, grazie.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...