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E per il food come facciamo?

READY
  1. E per il food come facciamo?
  2. Il food?
  3. Sì, come facciamo per il food?
  4. Il rinfresco, dici?
  5. Conosci qualcuno?
  6. In che senso? 
  7. Uno spacciatore di fiducia [fa le virgolette con le dita].

Allora, non vado mica a rubare, io!

La commercialista mi sta aspettando. Vado a chiedere spiegazioni sul perché a questo giro il fisco italiano si sia accanito così tanto sulla mia persona, quando sapevo per certo che stavolta ci sarebbero andati con la mano più leggera, perché ho da farmi scalare un bel tot. di cose pagate in più l'anno scorso... Insomma tutto il solito meccanismo contorto, di cui ci si capisce poco. Solo che alla fine quella fregata sono io. E mi do una pacca sulla spalla per aver scritto "fregata" e non ciò che mi passava davvero per la testa. Signora dentro, sono!
La mia commercialista ci capisce pochissimo di come funzioni il meccanismo contributivo statale e lo subisce in tutti i suoi aspetti più perversi. Oppure le piace passare da sprovveduta. Mah, una delle due. Comunque devo andare lì a cercare di capire e poi incazzarmi per forza. Se rimani calmo il professionista non capisce, non arriva a comprendere che la tua pacatezza è soltanto indice di urbanità ed educazione. No, lui/lei scambia la calma per approvazione del suo agire alla carlona. Allora mi devo incazzare, sennò il messaggio: "sei una fava" non passa. Invece è necessario che passi. Ho deciso: tra le tante, userò "la frase", il mio cavallo di battaglia preferito nelle faccende fiscali: "Allora, non vado mica a rubare, io!" Ecco, adesso devo proprio andare. Adesso. Preferirei uno schiaffo o una botta in testa piuttosto. Si capisce anche dal post.


Diario del fine settimana: colazione e momenti dimenticabili in società


«In casa tua l'unica cosa decente da leggere è la Bibbia.»
«Possiedo una Bibbia?»
Conversazioni casuali davanti al frigo. Colazione a base di tè, uva e Palmine questa mattina che sembra estate e invece non lo è più. Mentre sorseggio il tè verde bio marca Coop, guardo il palazzo di fronte e penso che non sono ancora andata al mare quest'anno. E adesso c'avrei proprio voglia di stare sul bagnasciuga coi piedi a mollo. Un tipo su un terrazzo fuma una sigaretta, tutto preso da quello che sta succedendo giù in strada. Mi affaccio incuriosita: in strada non c'è niente. Fuma pensieroso, indossando una tuta da ginnastica e dei mocassini marroni. Ma non rido del suo look allucinato, non me lo posso permettere, ci mancherebbe. Sono troppo consapevole della mia mise casalinga. Evito descrizioni umilianti, dico solo: ciabatte di spugna e pareo. Ripenso al mare, vorrei essere sulla spiaggia, adesso, a passeggiare. Oppure nella pineta in bicicletta. Mi mangio l'ultima Palmina ché son come la droga ed è un casino smettere.
«Posso usare il computer per fare un giochino?»
«Giochino?»
«Sì, il solitario.»
Perché il sabato mattina per me è sempre abbastanza melenso. Ma stamani c'ho lo spleen più accentuato e non me lo so spiegare. Allora analizzo la mia vita dei giorni scorsi, per scoprirne la ragione. C'è sempre un motivo quando girano le scatole. E infatti il motivo eccolo là: è tutta colpa di una cena a cui ho partecipato l'altra sera, a casa di un'amica di un amico. Una tizia sedicente scrittrice che ha pubblicato a pagamento un fascicolo di racconti su noi donne quarantenni, mi pare, e ha deciso di fare una presentazione dell'opera in casa sua. Quando sono arrivata nessuno mi ha salutata, nemmeno la padrona di casa sedicente scrittrice, che mi ha allungato una mano molle, tutta ingrugnita, per poi darmi subito le spalle e continuare la conversazione con un'altra tipa che non ha risposto al mio saluto. A quel punto io ero affascinata: mai vista una faccia così di culo. Il mio amico Gianni era da solo in cucina a preparare la pasta per tutti. La tipa sedicente scrittrice infatti aveva preparato solo una tavolata di fortuna nel corridoio di casa, infischiandosene del cibo. Naturalmente i posti erano insufficienti per tutti gli invitati. E comunque cazzi degli ospiti. La tipa sedicente scrittrice continuava la sua conversazione senza considerare nessuno. A me è toccata una sedia da bambini, di quelle basse basse, che ho sperato di sfondare con il mio culone importante, ma che invece ha resistito. Mentre in un angolo mangiavo pasta scotta, senza sale, condita con pomarola in barattolo da due soldi, mi è venuto in mente il protagonista di 78.08 di Tommaso Labranca che si viene a trovare in una situazione analoga (a dire il vero meno dramamtica della mia, ma tant'è). Allora ho fatto mente locale, mi sono avvicinata all'uscita e sono sgattaiolata via sorridendo felice alla tipa sedicente scrittrice che proprio in quel momento mi stava guardando perplessa. Libertà. Diobono. Libertà. Il mio amico Gianni non l'ho più sentito. Sarà ancora lì a ramazzare la stanza.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...