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Dello scrivere per lo scrivere: follia al di là del self-publishing

You've been warned

Sto scrivendo un mucchio di racconti. È un'abitudine che ho da qualche mese. Prima tutto quello che mi passava per la testa finiva sul blog. Adesso ho iniziato a scrivere tanti raccontini che spesso non finisco e che poi salvo rigorosamente in txt in una certa cartella di Dropbox che condivido con tutti i miei computer (due di numero, il portatile e "quello grosso", ma fa più figo rimanere nell'indefinito). Scrivo cose di fantasia, roba inventata lì per lì e poi spippolata velocemente con l'idea di rivedere, finire, completare, perfezionare il tutto in un secondo momento. Secondo momento che non arriva mai, ça va sans dire. Il tutto sta in quella certa cartella remota che poi non apro mai. Fino a poco fa, quando non so perché ne co controllato il contenuto. Ci sono una sessantina di file. Davvero un bel po'. C'è pure l'abbozzo di un romanzo breve opera prima che s'intitola "Il Gatto" e parla di un gatto a pelo lungo, di quelli "signorini" col muso tutto schiacciato, ma che in realtà è un manfano di prim'ordine e trascorre le sue giornate girando tra i giaradini tutto sudicio e con tarzanelli di cacca attaccati alla pelliccia e facendo danni a minerali, animali, vegetali di ogni genere. Appartiene al mio periodo: "storie non convenzionali per bambini ché i figli degli amici si divertono un monte quando gliele racconto e questo mi legittima come storyteller infantile universale..." Periodo durato pochissimo, per fortuna. Perché mi sento ancora io una bambina e mi diverto di più a farmele raccontare le storie. Se poi sono storie un po' di fantascienza o contengono zombie famelici allora sono contentissima. Comunque, tanto per chiarire, le avventure del gatto manfano con la merda attaccata al culo sono un classico in certi ambienti casalinghi che frequento.

Esiste un manuale di sopravvivenza urbana del single rimasto solo in città d'estate quando tutti gli amici sono o dicono di essere in luoghi fichissimi a fare ferie da dio?

La maggior parte dei miei amici sono spariti, tutti ancora in ferie, tutti in luoghi ameni e molto esclusivi dove ci si diverte un sacco. Così in questi giorni è un problema trovare un'anima per andare a bere una birra e far due chiacchere in città. Di conseguenza passo la maggior parte delle serate per conto mio, chiusa in casa a guardare le serie americane, come l'ottimo 30 Rock, e per forza di cose compenso i vuoti affettivi sociali mangiando quantità notevoli di gelatini. Sì quelli mignon, la mia nuova passione: mini-coni e mini-stecchi, ma solo di sottomarche semi-sconosciute, possibilmente comprati al discount, ché Coop ed Esselunga son diventate troppo chic per i miei gusti. Mi gratifico così. Tuttavia non ho perso la testa del tutto e sono perfettamente conscia che non mi posso permettere di mangiare a oltranza 'sta roba che fa ingrassare. Così stamani ho fatto voto di non mangiare mini-gelati per almeno due giorni. E ora sono qui nervosa e rimugino: devo fare qualcosa per rimettere in sesto la mia vita sociale. C'è qualche cosa che non va nelle mie frequentazioni in termini di equilibri e di flussi. Passo periodi super-intensi in cui tutte le sere c'è qualcosa da fare che si alternano repentini a periodi di solitudine siderale. È questo i destino dei single? Rimanere soli in certi periodi dell'anno? Ci sarebbe da scriverne un trattato. Oppure un manuale sul muoversi da soli in una città medio piccola come questa, quando si svuota per le vacanze. Certo, un manuale con consigli generali a chi è da solo, sul benessere, sulle attività consigliate, sulla dieta ideale da seguire in allegria e senza accumulare i cartoni della pizza accanto alla porta, ehm. E poi in questo manuale ideale ci dovrebbero essere anche le info specifiche di un po' di città italiane. Perché noi single siamo in tanti e questa esperienza viene sicuramente condivisa da altri e altre come me; sì proprio in questo momento, in altre città come questa che offrono non tanto ma nemmeno poco (ci sono posti ben peggiori, tipo al paese dove non si sta mai da soli, ma questo è tutto un altro problema che affronterò in un altro momento, forse). Ci devo pensare bene.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...