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Tentativo di truffa porta a porta: Bartolini & co. per conto di Eni

Suonano il campanello in due, un ragazzo e una ragazza.

Lui è alto, lei ha i capelli scuri, lunghi e lisci.

- Chi è? - Chiedo affacciandomi alla finestra.
- Prego, venga ad aprire, siamo qui per l'adeguamento del contratto - dice la tipa perentoria, come se avesse poco tempo da perdere e fosse lì per farmi un piacere.

Sono le 14:30 e mi trovo da sola in casa dei miei genitori in zona Firenze Sud.

Non so di cosa si tratti, né chi siano questi due. Ma non sono a casa mia, dunque vado ad aprire la porta per capire meglio.

La tizia si presenta, solo il nome naturalmente, mi dà la mano. La ignoro mentre leggo la targhetta stampata ad aghi: Bartolini & Co., in un angolo il simbolo dell'Eni.
Lei si ripresenta, sempre e solo il nome.

- Bartolini? - chiedo fissando quella targhetta di riconoscimento che mi puzza di finto lontano un chilometro.
- Bartolini è l'agenzia, siamo Eni - risponde lei risoluta, un po' scocciata.

Guardo ancora la targhetta stampata in casa: Bartolini & Co., mi ricorda qualcosa. Boh.

- Bartolini, l'agenzia di viale Giannotti - aggiunge lei, irritata che non la conosca.

Viale Giannotti è qui vicino, forse conosco davvero quell'agenzia.

Ma no, ci stavo per cascare come una bischera.

- Siamo qui per l'aumento del suo contratto. Il 5% dal primo gennaio. Le è arrivata la comunicazione per lettera, vero? - dice lei.

- Guardi, non mi interessa. - dico.

- Che cosa non le interessa? - incalza lei sempre più scocciata.

- Quello che ha da propormi. - rispondo pronta e attenta a non usare il verbo "vendere" sennò comincia la solfa su fatto che non ti vogliono vendere niente, ecc. ecc.

- Io non le propongo niente, sono qui per il suo contratto, le è arrivata la comunicazione in bolletta da Eni, per l'aumento del 5% - dice lei decisa, tirando fuori un tablet.

- Ho detto che non mi interessa - ripeto.

- Se non lo facciamo adesso poi dovrà venire in viale Giannotti - dice lei, quasi stizzita.

- Ho detto che non mi interessa, buongiorno. - E chiudo la porta in faccia ai due.

Cerco su Google: naturalmente di Bartolini & Co. concessionari Eni in viale Giannotti a Firenze non c'è traccia.

Mi preoccupo un bel po' perché non so quanto anziani come i miei genitori riescano a respingere questi truffatori, che sono sempre più aggressivi e facce di culo.

Recruiting & Call Center


Una telefonata-tipo di call center è un algoritmo piuttosto semplice che ha lo scopo di individuare se l'interlocutore sia o meno il tipo di persona che si sta cercando e guidarne le risposte per conseguire lo scopo della telefonata.
In questo caso l'obiettivo era verificare che il malcapitato volesse davvero fare il piazzista a provvigioni e che avesse Skype per fare il colloquio con il dott. Carlo Gustavo che avrebbe fornito tutte le informazioni e sanato ogni dubbio fosse frullato nella testa della vittima prescelta.
Già il fatto che il tutto avvenisse esclusivamente tramite Skype avrebbe dovuto far insospettire i possibili candidati sulle reali condizioni dell'azienda che li stava contattando.
Io mi ero divertita come una matta quando i primi tempi Ridens faceva queste telefonate. Avevo ascoltato scambi terrificanti:
«Buongiorno sono Giada di SuperWeb. Parlo con il signor Volpe?»
«...»
«Bene, hihihi, la chiamo per quell'offerta di lavoro... no, quella a cui ha risposto. Si ricorda adesso?»
«...»
«Certamente, ma io la chiamavo solo per verificare la sua disponibilità a un colloquio via Skype con il responsabile delle risorse umane, dottor Carlo Gustavo. Lei è... d'accordo?»
«...»
«No, mi dispiace, niente telefoni, i colloqui li facciamo solo via Skype. Se vuole il lavoro lo deve installare, hihihi»
«...»
«Ihihihi, lei vada sul sito e segue le istruzioni, d'accordo?»
«...»

In momenti come questo la mia fiducia vacillante nel genere umano e nel sistema di cui facevo parte, migliorava un po' perché molti si accorgevano della fregatura, la mandavano a quel paese e la cosa finiva lì.
Ma c'erano alcuni di quei disgraziati, vuoi per disperazione, vuoi per ingenuità, vuoi per altri motivi che non riuscivo nemmeno a immaginare, che abboccavano all'amo come grosse carpe stupide.
Durante quelle telefonate, Ridens doveva prendere l'appuntamento su Skype ed evitare, pena i cazziatoni atomici di Walter, di dire che si trattava di un lavoro di piazzista a provvigioni incerte e paga miserrima. Quest'ultima spesso a discrezione del titolare.
Ed ecco spiegata la necessità dello psicologo: con questo sistema acchiappacitrulli il turn‑over dei venditori era spaventoso. Niente a che vedere, dunque, con l'espansione dell'azienda. Invece si trattava di una modalità tritacarne che necessitava di venire alimentata in continuazione con materiale umano “poco esigente e poco intelligente”, reclutato in massa con metodi da pesca a strascico.


Tratto da L'Alba dei Farabutti.



 

Un bravo negro




Usciamo barcollando da casa di Matilde.
Anche se è già buio, ci siamo appena alzati da tavola, satolli.
Sono quasi le 17 di una fredda domenica d'inverno.
È stato uno di quei pranzi interminabili, abbiamo mangiato di tutto e bevuto di più.
Tanto di più.

L'amico frikkettone: sei anni dopo


Non è vero che non scrivo più.

Tutt'altro.
Scrivo altrove, di altre cose. Meno personali, meno divertenti per me.

Ma la verità è che sono stressata e incasinata.
Cerco di visualizzare la mia vita in un'immagine unica: un enorme, gigantesco Tetris sgargiante, coi pezzi che cadono sempre più veloci.
Ciascun pezzo un capitolo di un'esistenza come tante, da cui non riesco a sfuggire nemmeno durante una fantasia diurna come questa che è sbocciata così, dio solo sa perché.

Un gesticolare nervoso mi riporta al presente.
Lui mi fissa impaziente, sta aspettando una riposta e io oso distrarmi.
«Impossibile» sentenzio.
«Come impossibile?»
Adesso è seccato. Lo vedo da come tira i nervi del collo.
Annuisco gravemente.
«Perché dici così?» Chiede ancora, cercando il mio sguardo che invece vaga in alto, tentando di anticipare il pezzo di Tetris che mi sta piombando dritto sulla testa.
 «Vedi, non è una scelta che possono fare tutti. Ci vogliono dei pre-requisiti imprescindibili a mio avviso» dico lentamente, come se facessi fatica a scegliere le parole giuste. In realtà ho attivato solo il neurone-muletto, è più che sufficiente a portare avanti la conversazione.
Alzo la mano sorridendo.
La cameriera si avvicina.
«Che cosa le porto, signora?»
«Un Americano, per favore.»
«E un'altra birra» aggiunge lui.
Attende che la cameriera si allontani e poi sbotta offeso: «io non ti capisco, questa potrebbe essere una svolta per la mia vita e tu sei sempre così negativa. Perché dici che non è possibile? Io... io in questo paese di merda non ci resisto più.»
«Perché nessuno sano di mente può dire sul serio: mollo tutto e vado in Messico...»
«Ehm, Ecuador.»
«Giusto Ecuador, era l'altra volta il Messico, mi sono confusa. Comunque nessuno può dire così. Una base di sussistenza ci vuole, chiamala come ti pare: riserva di soldi, risparmi, gruzzoletto, eredità, rendita, un affitto... Robe così. E tu non ce l'hai, giusto?»
«No.»
«Ecco perché, secondo me non puoi partire di punto in bianco, senza soldi per la Thailandia...»
«Ecuador!»
«Sì scusa Ecuador,  ma il concetto non cambia: Ecuador, Thailandia, un trullo in Puglia. Tu ambisci a un'esistenza da nullafacente, pardon artista, ma anche se ti trasferissi dove la vita costa poco o pochissimo, non potresti campare d'aria per il resto dei tuoi giorni. Non credi? D'altronde l'accumulo significa scendere a patti con quel sistema che combatti da sempre, giusto? Insomma: un precario che ha sempre guadagnato 500 euro al mese, ce lo vedi ad andare a vivere in un posto dove avrà ancora meno possibilità di sussistenza? E tu che hai un reddito ancora più basso, sei sulla stessa barca del precario.»
Annuisce pensoso. Poi dice piccato: «Ho le mie risorse, comunque, posso sempre inventarmi un lavoro.»
Inventarmi un lavoro, diocristo.
«Ok, se lo dici tu» taglio corto.
Non sono in vena di polemiche, mi è stata chiesta l'opinione su una cosa che non avverrà mai, l'ho detta e mi sono già stancata della pesante compagnia.
Salutiamoci e facciamo passare altri cinque o sei anni.
Mi sembra la scelta più salutare.
Gli articoli sui blog di "wellness" che consigliano di tagliare i rami secchi ed eliminare le cosiddette amicizie tossiche, sembrano scritti proprio per noi.
Arriva la cameriera col mio Americano e la birra. Mette il conto sul tavolo: «Allora: con quella di prima sono due birre e un Americano, fanno 16 euro.»
«Eh, scusa, sono un po' a secco puoi anticipare?» dice lui.
Non ricordo una volta che abbia pagato qualcosa al bar, anche solo per sé stesso.
L'amico frikkettone è deluso, si vede che si aspettava un'altra reazione da me. Del resto una convocazione così, in un bar del centro, dopo anni che non ci vediamo mi ha messa sulla difensiva. Conosco i miei polli.
Tra l'altro, nel vecchio gruppo di amici, sono l'unica ad aver acconsentito a incontrarlo. Forse per masochismo, o per altri sentimenti auto distruttivi che adesso non ho voglia di esplorare.
«Non hai i soldi nemmeno per le tue due birre?» chiedo.
Non voglio fargliela facile.
«Ehm, no.» dice con un sorrisino odioso.
Senza aggiungere altro, pago tutto io.
La cameriera si allontana.
Lo guardo, è invecchiato.
Ed è pure ingrassato tanto da quando ha lasciato Firenze ed è tornato a vivere con la mamma.
Ma ora è felice anche se non lo ammetterebbe mai apertamente: non deve più preoccuparsi di far finta di cercare lavoro.
Nonostante i segni del tempo, infatti è rilassato, disteso, inspiegabilmente abbronzato.
È sparito dai radar di tutti noi, vecchi amici di sempre che non abbiamo fatto nemmeno poi tanto per trattenerlo; nell'ultimo periodo gli avevamo affibbiato il soprannome "la tassa", non c'è bisogno di aggiungere altro.
Ogni tanto su Facebook posta qualche sua foto con amici più giovani, parecchio più giovani. Lo vediamo a concerti semi-deserti, oppure seduto a improbabili tavolate e foto di gruppo ai giardinetti coi graffiti in sottofondo.
«Comunque potrei sbagliarmi» continuo senza sapere perché. «Potrebbe essere davvero una soluzione ideale andare via, abbandonare l'Italia.»
«Infatti» dice piccato. «Poi mi posso organizzare, non credo di aver problemi a cavarmela da solo in Ecuad...»
«Eh no. Scusa se ti interrompo: hai appena ordinato e bevuto due birre pur sapendo di non avere soldi» dico senza riuscire a trattenermi.
«Vabbè, ma che c'entra?»
«C'entra perché hai dato per scontato che io avrei pagato per te, e ti sei sentito libero di prenderne due di birre, tanto i soldi sono i miei.»
«Se è così te li rendo, non ti preoccupare» dice offeso.
«Non l'ho detto per questo, era solo per farti capire che non hai risorse e non ti interessa nemmeno averne. Non hai testa per gestirti i soldi da solo. Poi eh, se mi rendi i soldi li prendo.»
Fa finta di non capire.
Finiamo il drink in silenzio e ci salutiamo.
Non mi ha fatto piacere rivederlo.
E nemmeno a lui.




*L'amico frikkettone è stato un peronaggio ricorrente nel mio vecchio blog.

Un post di cattivo gusto

"I would always arrive home alone and often fairly intoxicated."

Lo so c'è del cattivo gusto e anche un goccino di morbosità in quello che sto per scrivere. Ma devo cogliere la palla al balzo: questa storia l'avevo immaginata in tempi non sospetti, e infatti ci ho basato uno dei tre racconti di Dietro le Quinte.

Ecco, ci tenevo a puntualizzarlo, qui ed ora.



Alla Posta (Episodio 2)

Stamani mi trovavo in un ufficio postale pieno di gente. Età media 70 anni abbondanti. A un certo punto un'impiegata esce fuori dalla stanza per salutare un amico che si trovava nella fila. Iniziano a chiacchierare a voce alta del più e il meno. Poi il discorso vira sulle mega pensioni di certi ex politici e amministratori vari che, insomma, andrebbero abolite, anche solo per dare l'esempio, vista la crisi, i sacrifici immani a cui vegono sottoposti gli italiani tutti i giorni, ecc.

Garante, call center in Albania e altri fastidi. Il call center aziendale che chiamava da un altro continente col prefisso della mia città.



In questi giorni sono piuttosto inviperita contro il garante della privacy e la famigerata "cookie law". Me ne sono dovuta occupare per lavoro e mi sono resa conto direttamente di quanto la normativa sia scritta male, e di quanto lasci troppo spazio alla discrezionalità di chi dovrà controllare e sanzionare.

I ciccioni del carro attrezzi

Un gruppo di grandi obesi con lo sclero facile.
Una città americana, Miami, abitata da rissosi psicopoatici che non conoscono, anzi negano il codice della strada.
Un occhio sornione alla questione razziale, ché siamo sempre in USA.
Un giorno di ordinaria amministrazione, della serie: la città è una giungla.

Lui dice di essere conte, ma invece sta in un seminterrato alla giapponese



Sono una persona fortunata.

Professionalmente, intendo.

Sono costantemente, quotidianamente circondata da persone che frullano, fibrillano. Good vibe a iosa. Progetti, idee, start up, visioni, ecumenismo tecnologico tout court.
Persone di spessore che sono consapevoli di aver tanto da dare e da trasmettere al mondo. Il mondo, ok? Niente paesello o cittadina: benvenuta globalizzazione delle idee e delle energie creative.
Sinergie. Io sono un visionario, tra quattro anni questo modello sarà la norma. Investimento è la parola d'ordine. Vision, mission.
Stiamo vendendo a Tokyo, siamo stati presenti alla Fiera più importante del Giappone, a fianco dei colossi. Siamo una realtà dinamica, non ci fermiamo perché questo paese ha bisogno di una spinta vera, di un impegno reale.
Noi stiamo qui, abbiamo scelto di stare qui. Lo vogliamo. La nostra parola d'ordine è sostenibilità, chilometro zero, non ci interessa il profitto: la priorità sono le persone. Qualità. La qualità sempre. Made in Italy. Piccolo è bello. L'attenzione ai dettagli.


In tutto ciò c'è qualcosa, qualcosa di molto familiare.

Ma non mi viene in mente. Mi scervello.

Santo cielo, ora lo so.

Illuminazione e fastidio.

Riprova: cogli i segnali, le sfumature. Guarda nelle pieghe, analizza le smagliature. Dai, sveglia.

È il momento di essere incisiva.

Mi schiarisco la voce, entrando in "modalità 5 ottobre 1966".
È facile, siamo nell'era di Instagram, sappiamo che la realtà è solo una questione di filtri colorati intercambiabili. Tu me la racconti come ti pare, io cambio le lenti e la vedo in un altro modo.

La vedo com'è, appunto.

Perché io ho una guida fidata: la teoria del semiterrato alla giapponese.

Eccola:
  • DIARIO: Firenze 5 ottobre 1966. Oggi 5 ottobre ho traslocato a casa di un amico del babbo.
  • Conte Mascetti: Che è?
  • Luciano: Il diario che la signora maestra ci fa tenere alla fine di ogni giornata.
  • Conte Mascetti: Brava, intelligente codesta maestrina.
  • DIARIO: Lui dice di essere conte, ma invece sta in un seminterrato alla giapponese, tutto ghiaccio e umido, senza telefono, senza acqua calda, col cesso coi piedoni e un fornelletto dove la moglie c'ha cucinato una frittatina di due uova, che abbiamo mangiato in tre più un rinforzino, come lo chiama lui, di nove olive di numero, mezz'etto di stracchino e un quarto di vino sfuso. Tutto, vitto e alloggio, per 150.000 lire che mi pare proprio una rapina anche se lui, per fare il conte, chiama castello un aggeggio di tre locali. 
  • Luciano: Loculi. 
  • DIARIO: Di tre loculi. Dove mi toccherà dormire assieme alla moglie una donnetta secca e rifinita come il suo nome: Alice. E la figlia, Mela, che per fortuna non dà noia, perché è una handicappata, incapace di parlare e camminare alla sua età. Io dico che codesto conte o è un gran bugiardo, o si è ridotto proprio come un disperato.
  • Conte Mascetti: 10 e lode...

Parliamo del pagamento? Chiedo con nonchalance.

Sa la crisi, non c'è trippa per gatti, purtroppo le cose vanno come vanno.
Non abbiamo credito, facciamo a 90 giorni?
Con o senza fattura?
Sì, lo so, sono poche centinaia di euro, ma le assicuro che non possiamo fare altrimenti. Purtroppo, lei lo sa, di questi tempi... Abbiamo grattato il fondo del barile.
Pensiamo di emigrare come ha fatto l'Azienda Tal del Tali, [abbassando la voce, quasi sussurrando] sa sono in Svizzera adesso... Abbiamo ridimensionato, purtroppo. Downgrading.
Le attrezzature? No, non possiamo investire. Le banche non ci danno tregua...


Eccolo il monolocale alla giapponese.


In alcune occasioni occorre essere Lucianino.

Kill the algorithm: i micidiali call center estivi



Sempre più spesso le telefonate dai call center mi riempiono di livore*. Specialmente quelle estive. Specialmente quando rispondo da casa dei miei genitori perché, ogni volta, mi imbatto in operatori squallidi, arroganti, che pensano di parlare con persone anziane, impressionabili e raggirabili a loro piacimento. Alcune di queste telefonate hanno tutta l'aria di essere delle truffe belle e buone (purtroppo ho una certa esperienza in merito).
Tuttavia mi scoccia che non ci sia modo di segnalare questa gente alle autorità (magari facendo un numero apposito, subito dopo aver ricevuto la telefonata molesta)**.

Crocifissi a tutti i costi che fanno rimpiangere i bei vecchi tempi delle nozze celtiche del Pota


A Padova il sindaco leghista, Massimo Bitonci, impone il crocifisso negli uffici pubblici e dichiara perentorio: "ora in tutti gli edifici e scuole un bel crocifisso obbligatorio regalato dal Comune. E guai a chi lo tocca".

Finalmente in questo paese disastrato, c'è qualcuno che ha in testa delle priorià chiare, deciso ad arginare con piglio pragmatico l'ondata saracena.

Il candidato



Luciano si guarda intorno spaesato. Sembra che non sappia dove si trova.

È casa sua.

Sua moglie Antonella ci fa accomodare in salotto. Lui la segue con lo sguardo a terra.
C'è una tv ultrapiatta.
Quarantotto pollici, dice lei.
Luciano è quasi in trance. Si riprende un po' solo quando inizia a supercazzolare di hd, pixel antani, risoluzioni, digitale e dolby surround.

Siamo stati convocati con urgenza ansiogena dai due. Non sappiamo perché. Sono stati misteriosissimi al punto che ho sentito puzza di Amway.
Però adesso li vediamo proprio male: stressati, tirati, gonfi. Lui ha uno sfogo sulla tempia. Ho paura che gli sia successo qualcosa di brutto. L'altro ospite pensa la stessa cosa. Siamo a disagio, entrambi li conosciamo da tanto, ma in fondo non sono così intimi.

La Biblioteca Nazionale di #Firenze nel suo inesorabile degrado

Poche cose mi provocano malessere come il degrado in cui si trova la Biblioteca Nazionale. Forse perché ormai ci vado di rado e allora quando ci metto piede diventa più evidente. C'è un'aria di abbandono, sembra che la Guerra Fredda sia finita l'altro ieri. 
A parte l'atmosfera grigia e mortifera in quello che dovrebbe essere un luogo di eccellenza della cultura, il personale spesso è maleducato e indisponente* e c'è un'aria perenne di dismissione polverosa.
Capisco perché Nadia Desdemona Lioce incontrasse qui i suoi complici per organizzare l'omicidio D'Antona: ci ritrovava inalterata l'atmosfera suggestiva e (per lei) motivante dei primi anni di piombo. Ho fatto delle foto, documentiamo, anche se solo adesso mi rendo conto che il bianco e nero sarebbe stato più appropriato:





"il cartello in alto dice: questo ascensore resterà fermo. per sempre, intendono."

*Son più di vent'anni che frequento il luogo, ormai sono convinta che i custodi/impiegati li scelgano apposta, forse per dare agli utenti un'esperienza simile al ristorante La Parolaccia:

Tra le altre cose, celebro matrimoni

Vorrei ricordare (e il certificato qui sopra ne è la prova lampante!) che dal 2 settembre 2005 io sono una vera Reverenda della ULC, ovvero la Universal Life Church. Trattasi di roba seria. Senza scendere in dettagli pesanti, dico solo che mi fanno compagnia anche un bel tot. di vip come: Ringo Starr, Sharon Stone, Barbra Streisand e tanti altri.
Dunque confermo di essere ancora* disponibile a celebrare matrimoni in giro per il mondo, in cambio di vitto, alloggio e magari anche viaggio.

/---/
I commenti al blog non sono ancora a posto, anche se a quanto ho potuto constatare funzionano. Meno male che il sito di Diqus dice che ci vogliono solo 24 ore per l'importazione e il ripristino...

*non posso più linkare il vecchio blog...

No logo

Perché poi una diventa acida. Ci credo. Perché una va a cena da un'amica che non vede da tanto. il marito è a calcetto. Si mangia, si parla, si mette a letto la creatura meravigliosa e stranamente tranquilla che non ha rotto le scatole quasi per nulla. Poi caffè sul divano e arriva "slang" aka il consorte. Slang è venuto fuori da un po' - e non da me, maligni lurker del cavolo che poi mi scrivete in privato perché avete riconosciuto il soggetto- dopo aver letto i suoi status di facebook sgrammaticati cercando di scrivere in vernacolo, arte che solo l'intramontabile Vernacoliere riesce a compiere senza scadere nel patetico. Ora: Slang mi saluta appena, va di là e ritorna subito dopo con un portatile acceso che mi butta in grembo. Non faccio in tempo a chiedere che succede che lui mi dice che gli DEVO fare un favore. Perché ha il suo logo (il suo logo?) che - deve mandarlo a quello che gli stampa i biglietti da visita - non è vettoriale e gli hanno detto che così gli viene fuori uno schifo. Non è un logo. Faccio la finta tonta e gli dico di chiedere al grafico che gliel'ha disegnato perché di norma un logo si fa in vettoriale. Punto nell'orgoglio mi dice che l'ha fatto da solo! Guardo il disegno e sembra uno scaracchio catarroso sull'asfalto. Cerco di tagliar corto e continuare la conversazione con la mia amica che distoglie lo sguardo. Anche lei sapeva: collaborazionista! Gli dico di mandarmi il file. Lui mi interrompe, mi dice che me lo manda subito se glielo posso fare domani mattina presto, ché ha fretta lo deve mandare in stampa subitissimo...  Gli dico di mandarmi il file che poi gli faccio il preventivo per il lavoro. Ci vorrà una settimana dico a occhio e croce, senza stare ad ascoltare le sue urgenze. Mi guarda malissimo, piagnucola, cazzo questo piagnucola perché non può avere tutto subito e gratis. Devi morire, penso. Sorrido dico che si è fatto tardi e torno a casa.

Politici su Twitter che prendono derive strane


Oggi niente post, sono troppo occupata a vincere il concorsone di Formigoni; in caso di successo spero che abbia una XL, abbondante di tette...
Disclaimer: è un tweet vero, non me lo sono inventato...

Alla Posta

Precisa
Inizio post con intro acida e note moraleggianti: con tutte le tragedie che accadono in ambito lavorativo di questi tempi, chiusure di fabbriche, recessione, crisi economica, dissoluzione delle prospettive, ecc., si fa davvero fatica a rendersi conto di certe dinamiche degli uffici pubblici (o ex tali) che non hanno proprio più senso e sono anche offensive per il "resto della società". Ecco. Sono andata alla posta per farmi la carta Paypal. Siccome ero in centro per cavoli miei sono andata alle poste di via Pellicceria, quelle sotto le logge. Ho preso il mio numero e mi sono messa in attesa, nella sala grande.
Al mio turno sono andata dall'impiegata allo sportello, una tizia sulla sessantina, un tipo alla Rosy Bindi e con tanta voglia di lavorare addosso.
- Buongiorno, vorrei fare la carta Poste Pay, per favore.
- Riempia questo - ha risposto brusca, dandomi il modulo per la ricarica.
- Guardi mi sa che non è il modulo giusto.
- Lei lo riempia, va bene questo. - Mi ha risposto irritata.
Allora ho scritto il nome e cognome e lasciato perdere tutto il resto perché non avevo le informazioni visto che ero lì per attivarla la cavolo di carta. Poi l'ho dato alla tipa che mi ha chiesto:
- Quanto vuole ricaricare?
- Non voglio ricaricare. Voglio fare la carta Postepay.
- Allora questo modulo non va bene. - mi ha risposto guardandomi storta.
- Guardi che me l'ha dato lei il modulo. - ho ribattuto con voce incolore, abituata a ben altro in tema di fancazzismo.
- No, guardi, non è questo... lo butti pure via... è difficile... - ha farfugliato la tipa che sembrava incazzata con me per la mia richiesta estemporanea.
- Scusi, qual è il problema? Voglio fare la carta Postepay - ho ripetuto trattenendo a stento le risate mentre appallottolavo il modulo della ricarica e lo gettavo nel cestino a fianco.
- No. Nessun problema , ma è molto complicato, ora vado dalla collega - e la tipa si è alzata per andare a parlottare con la collega nella postazione accanto, una tizia sulla cinquantina abbondante, ma più giovanile, con un look da Morticia reduce da due settimane a pensione completa e ballo liscio in Riviera Romagnola, non so se rendo l'idea. Al che Morticia ha storto la bocca, mi ha guardata di traverso e infine mi ha chiesto acida:
- Vuole fare la carta Poste Pay?
- Sì, come ho già detto alla sua collega voglio fare la carta Postepay. - Ho risposto attonita, cercando le telecamere nascoste, perché quella situazione poteva benissimo essere una candid camera qualsiasi.
- Mmmmm... C'è da prendere i moduli. - Ha detto Morticia a Rosy, che è scomparsa all'istante in una porticina lì dietro. Ogni tanto tornava con qualche foglio e lo faceva vedere a Morticia.
- È un'operazione difficile? - Ho chiesto con ironia dopo un po' di quella storia.
- Difficile no, ma molto lunga... e per noi! Lei non si preoccupi, stia lì. - Mi ha risposto Morticia serissima mentre Rosy dopo averle frullato intorno per un po' mi porgeva dei moduli da riempire dicendomi:
- Sono moduli lunghissimi, li DEVE riempire tutti.
Ho riempito il modulo in due minuti scarsi, non essendo minorenne una buona parte dei campi erano da saltare e l'ho dato a Rosy con i miei documenti. Rosy è andata in un posto lontanissimo a fare la fotocopia dei miei documenti e quando, parecchi minuti dopo, è tornata mi ha detto di spostarmi da Morticia a finire la pratica con lei che era cosa lunga. A quel punto ho chiesto una info sulla privacy e Rosy, visibilmente scocciata per quella domanda a cui non sapeva rispondere, è sparita di nuovo per qualche minuto a probabilmente a consultare l'Oracolo delle Poste a cui è devotissima, altrimenti non si spiegano tutte quelle interruzioni.
Nel frattempo mi sono spostata da Morticia che mi ha avvertita scocciatissima:
- questa è un'operazione lunga.
- Va bene, ho capito, aspetto. - ho risposto.
Allora lei si è messa a ricopiare i miei dati sul teminale, cliccando lentamente con due dita perché aveva le unghie troppo lunghe per poter digitare agevolmente sulla tastiera. A un certo punto si è fermata perché Rosy, dio solo sa per quale ragione, si era portata via un foglio con i miei dati. Abbiamo aspettato Rosy che tornasse dal nulla a consegnare il foglio, poi Morticia mi ha ordinato: - Mi dia il modulo con la ricarica che ha compilato prima.
E io: - l'ho buttato via.
E lei molto irritata: - Perché?
E io: - Perché mi ha detto di farlo la sua collega.
A quel punto mi stavo irritando pur'io, stavo richiedendo un servizio a pagamento, porca miseria, mica un favore personale a quelle due. Allora ho preso un altro modulo e l'ho riempito per una ricarica di €5. Ho dato €10 a Morticia: la ricarica più altri €5 per il costo di attivazione della carta.
Morticia ha digitato per un po' nel terminale, con Rosy alle spalle che controllava tutto quello che faceva e ogni tanto le dava dei suggerimenti (questi computer son sempre delle gran rotture, signoramia... si stava meglio quando si stava...).
Alla fine sono uscita da lì con la mia carta Postepay, ma con una voglia insaziabile di vedere scorrere il sangue a fiumi. Io mica ce li ho di solito gli istinti omicidi...

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...