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Farsi delle domande: assembramenti e movida


Ieri sono andata a cena in pizzeria con amici. 

C'era molta gente, com'è naturale il venerdì sera. L'aria nel locale era pesante, o almeno mi è parso che lo fosse. 

Mi sono subito sentita a disagio e ho tolto la mascherina solo quando la cameriera ha appoggiato le prime ordinazioni sul tavolo. 

Non un secondo prima. 

Col mio gruppo di amici siamo andati per tutta l'estate a cena nello stesso posto, all'aperto. Ora però fa più freddo così dobbiamo stare al chiuso. 

Ma la nostra pizzeria è uno di quei locali belli quando si mangia nel giardino, con tanto verde, il parco in fondo, le luci della città che creano un effetto tipo "L'impero delle luci". 

All'interno è un'altra cosa; cambiano illuminazione, colori, atmosfere. Tutto diventa più cupo e freddo.

Chissà se i gestori del locale si preoccupano di questo gap esperienziale, perché sembra davvero di stare in due locali differenti.

Torniamo a ieri sera. 

Sono stata contenta che fosse tardi, mangiare al secondo turno è la cosa migliore di questi tempi, il locale piano piano si è svuotato e ho cominciato a sentirmi a mio agio. Ho fatto caso al mio cambiamento di umore, mi sono resa conto che mi stavo rilassando man mano che gli altri clienti andavano via.

A tavola ero con i soliti amici con cui mangio almeno una pizza a settimana, si chiacchierava di Firenze. A quanto pare vogliono mettere dei tornelli per accedere a Piazza Santo Spirito perché la sera è piena di gente sta diventando un problema per il contenimento del virus. Assembramenti, movida, queste cose qua. 

Non ci passo quasi mai la sera da piazza Santo Spirito, troppa gente. Però sono contraria, contrarissima ai tornelli. Se li mettono con la scusa del covid poi li lasceranno lì forever.

Sono per i controlli caso per caso. Chi sgarra viene sanzionato, of course, ma chi si gode la serata nel rispetto delle norme deve essere lasciato in pace. 

Il mettere tutto in un grosso calderone mi sembra un modo sciatto di amministrare, come quei baristi che espongono il cartello odioso "per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno". Ci faccio caso, denota sciatteria e pavidità. Oh, ognuno ha i suoi standard per giudicare dove prende il caffè. Io ho questo.

Mi sono chiesta: ho così tanta paura di ammalarmi? No, almeno non mi pare. Ho più paura che tutto collassi. Non è il covid, sono le sue conseguenze sulla società che mi preoccupano di più.

Ma che stanchezza.


Pomeriggi d'estate e il rifiuto di Proust


Primo pomeriggio di un'estate qualsiasi.

Contemplo un piatto di tortellini improbabili postati su Cucinare male. Sono ipnotizzata, sembrano deiezioni aliene. Assisto al sacrosanto crescere a vista d'occhio di like e cuori.


A questo punto potrei divagare col pensiero e ritrovarmi e tanti anni fa, magari verso gli Anni Settanta quando mia nonna ci cucinava le cose più assurde durante le infinite estati in campagna. Perché 'ste nonne bucoliche & ecocompatibili negli anni Settanta non è che fossero così comuni, diciamolo.
Decido di non indulgere oltre nei ricordi, sarebbe solo una melensa forzatura paraproustiana.


Quello che mi viene in mente adesso – in questo momento di abbiocco possente – è legato al presente. Ci sono troppe cose, troppe preoccupazioni che sballonzolano nel cervello. Il frinire dei grilli mi distrae. Grilli? In città?


Mi riallineo con la realtà usando un sistema semplice semplice: metto in ordine i libri che mi faranno compagnia nelle prossime settimane.
Con passi giapponesi, Spillover, Storia dell'Europa in 24 pinte, L'arte della vittoria, Teoria della classe disagiata e Mad in Italy Manuale del trash italiano 1980-2020. Quest'ultimo aggiunto oggi dopo aver realizzato che l'autore mi contattò nel 2006 – era in tesi –  e gli mandai delle info su Tommaso Labranca che non conosceva.

Non andrà tutto bene, non va mai tutto bene. Ma non andrà neanche tutto in merda come ti pare adesso

Varie dal mondo

Web ㅡ Il post sul libro su Tommaso Labranca è stato il più visto dell'ultimo periodo, con un distacco notevole rispetto agli altri. Ottimo, ci tengo molto. Questa lieta info arriva dalla nuova interfaccia di Blogger – un restyling paraculo as usual – che coincide con la mia rinata voglia di bloggare. Ho già individuato alcuni bug e li ho comunicati a Google LLC che credo stia investendo in tutto il "progetto blogspot" non più di due pizze di fango del Camerun.

Shopping ㅡ Mi sono comprata un cavo lungo 3 metri per ricaricare il telefono. Diosanto che goduria. Perché non l'ho fatto prima?
Mi sono comprata 3 paia di calzoni estivi. Stesso modello ma colori differenti. Erano in sconto e stavo andando in giro con quelli invernali. Il lockdown non favorisce lo shopping, l'abbiamo appurato collettivamente.

Politica ㅡ Leggo della politica americana, mi dispiace tantissimo per come stanno affrontando l'epidemia, ovvero con la prevalenza dei mentecatti. Mi dispiace tantissimo per tutti gli altri, intendo. Nel frattempo godo che non abbiano fatto sbarcare in Sardegna i tizi arrivati dagli USA con un jet privato che pretendevano di fare come gli pare solo perché ricchi. Il presidente della regione costernatissimo perché gli hanno rimandato indietro 'sti tizi che, guardacaso, erano arrivati in Sardegna per portarci grandi affari, prenotando pure hotel lussuoso + villa, ma adesso nulla, andranno a far piovere soldi altrove ecc. Ma Solinas non è lo stesso che in altri momenti voleva vietare gli arrivi sull'isola dal resto d'Italia, blaterando di passaporto sanitario?

Varie dall'omino del cervello

Memorie dal lockdown.

Non andrà tutto bene, non va mai tutto bene. Ma non andrà neanche tutto in merda come ti pare adesso. 

Questo il discorso stretegico che mi sono fatta durante il lockdown, una volta che mi ero svegliata storta, convinta di avere il covid-19 e che sarei morta da sola nel mio appartamento in periferia, nell'indifferenza e nella solitudine. Perché sempre meglio così che essere ammassata come un pacco ingombrante in una corsia d'ospedale. 


Stamani camminavo per il centro e dopo aver preso il caffè da Rivoire mi è tornata in mente quella mattina di fine marzo 2020 in cui, in preda all'angoscia, ho giurato solennemente a me stessa che sarei morta per cazzi miei. A quel punto ricordo di aver tirato fuori la frase motivazionale e poi di essermi dedicata al decluttering fino all'ora di pranzo.
Oggi ho passeggiato al sole e all'ombra, bevuto il caffè e fatto un po' di foto.


Sul ritorno alla cosiddetta normalità: anatomia di un bar preferito qualsiasi

Com'è bella Firenze senza turisti. 
Siamo sull'orlo della catastrofe economica, certo, 
ma la città in questi giorni è una meraviglia.

Sono stata a prendere un caffè nel mio bar preferito, finalmente hanno riaperto.

Adesso il bar funziona così.

Si entra con lo sguardo basso perché si devono seguire i segni sul pavimento fatti col nastro adesivo e prendere confidenza con le nuove misure.
Il posto è lo stesso di sempre, tuttavia adesso è differente. In senso distopico, intendo.
Due corsie nel corridoio che era già stretto di suo, ma nessuno ci aveva mai fatto caso tranne, forse, nelle ore di punta, ma in fondo sticazzi.
Sticazzi nel mondo di prima.
Invece ora salta all'occhio subito quanto sia stretto quel corridoio: da una parte si entra, dall'altra si defluisce. Il tutto uno alla volta.

Per terra ci sono anche delle croci, sempre fatte con il nastro, che indicano dove si può sostare in piedi per consumare. Le croci segnano i pochi posti disponibili di fronte al bancone, mentre tutto il resto del locale non è agibile.
In compenso non ho notato plexiglass, forse solo un poco di fronte alla cassa.

Allora sono entrata, ho salutato sorridendo (tra mascherina e occhiali non so quanto si sia visto), mi sono avvicinata al bancone, ho chiesto un caffè, che ho consumato con la mascherina abbassata e gli occhi chiusi.
Il rumore nel bar non è lo stesso di sempre, non c'è verso di ingannare il cervello.

Ho messo giù la tazzina e fatto un passo laterale per posizionarmi coi piedi sulla X di nastro adesivo di fronte alla cassa.
Ho rivolto un'occhiata ai posti a sedere dove altro nastro adesivo, distribuito con abbondanza, ne segnalava l'indisponibilità.

"Ancora non siamo sicuri come dobbiamo comportarci," hanno detto quelli del bar tra l'intimorito e il malinconico.
E li capisco, le zone grigie sono quelle dove il Comune pascola.
Specialmente in questo periodo di crisi.
Ho pagato, ho salutato dicendo che ero contenta di vederli e poi sono uscita tenendo d'occhio lo scotch sul pavimento.
All'aria aperta, nonostante il bar fosse tutto aperto, ho respirato a pieni polmoni.

Mi sa che questa normalità ce la dobbiamo conquistare di nuovo, e non sarà così semplice e non sarà così uguale a prima.

Ma neanche tanto diversa (ma su questo punto ci scrivo un post a parte).

Cosa ci rimane addosso?

Cosa rimarrà addosso dopo la clausura?

Ci penso un secondo, la domanda è pertinente.
A ben guardare ci sono delle cose che già sono cambiate nella mia vita. Piccole cose, ma su cui vale la pena soffermarsi un attimo, solo per mettere i puntini sulle i.
Tipo la qualità, oltre alla quantità, del tempo che passo a casa. 
Prima del coronavirus a casa ci stavo per le cose strettamente necessarie: dormire, lavatrici, pochi pasti. Tutto qui. Per il resto via via via, fuori il più possibile.
Negli ultimi anni sempre peggio.
Non so perché.
Adesso in casa ci passo più tempo.
All'inizio per forza di cose, naturalmente.
Ora, invece, perché mi fa piacere.
Ho superato quella certa soglia che un tempo mi terrorizzava molto più del covid: lo stare da sola e stare bene per questo.
Il "bastarsi" l'ho sempre visto come un punto di non ritorno esistenziale.
Adesso lo vedo come una fase. Come società ora sappiamo che possiamo stare chiusi in casa per due mesi e piano piano ritornare alla normalità.
Qualunque sia la normalità d'ora innanzi.
Sarà interessante scoprirlo.
Quindi addio teoria del non ritorno esistenziale.

Prima del covid non sapevo rispondere alla domanda "come ti vedi tra cinque anni?".
Domanda fondamentale ai colloqui di lavoro, ma che ha anche senso porsi di tanto in tanto per conto proprio. Lo facciamo tra amiche, per esempio.
Ecco, io non riuscivo più a rispondere, rimanevo interdetta e di malumore.
Il motivo era perché misuravo la prospettiva del futuro basandomi sul passato.
Mi spiego meglio, è una cosa di cui mi sono resa conto da poco. Andando indietro nel tempo, cinque, dieci anni fa, mi rendevo conto quanto poco fosse cambiato nella mia vita e inferivo su quanto poco sarebbe cambiato.
Un determinismo pessimista, frutto del precariato e della crisi che la quarantena ha smontato in gran parte. Se mi fai la domanda adesso, infatti, i malumori non si sono dissipati del tutto, ma almeno so rispondere. Ho capito qual è la direzione che voglio prendere, niente di che, piccoli progetti che non erano all'orizzonte due mesi fa. Piccole cose che cercherò di realizzare piano piano, tenendo stretto quello che ho adesso, ché con la crisi che ci sta piombando tra capo e collo, non è il caso fare colpi di testa. Alla mia età, poi.

Se qualcuno passa di qui (ho sempre il dubbio dopo gli anni di abbandono), mi piacerebbe tanto ascoltare altre esperienze e punti di vista.


Diario delle impressioni sulle prime uscite





L'altro ieri sono andata a trovare i miei genitori, la prima volta in due mesi. Questo è stato il mio secondo ritorno alla normalità, dopo una passeggiata in centro il giorno prima. Li ho trovati in forma e di buon umore. Ringrazio il cielo per questo. Ma anche l'avere una casa col giardino aiuta molto. E pure vicini di casa gradevoli con cui poter chiacchierare a distanza, rimanendo ognuno a casa sua, ha fatto tanto.

Asp.

...a distanza, rimanendo ognuno a casa sua...

Ho sentito il bisogno di specificarlo. Perché?

Giusto altro giorno scrivevo che se c'è una cosa che ho imparato in questi due mesi è che esiste tutta una categoria di persone che gode nel frustrare gli slanci altrui. Gente che sta male sempre, ma che in condizioni normali si mimetizza abbastanza bene. Invece la quarantena li ha attivati e la delazione del podista solitario li ha fatti splendere di una luce malata. 

Ecco.

Ora, io sono troppo vecchia per raccogliere la merda altrui* e infatti la lascio lì. Però mi rendo conto con fastidio che non mi era mai capitato di misurare le parole come in questo periodo. Non con tutti, ci mancherebbe, solo con alcuni insospettabili fino al lockdown. 

Se sono contenta cerco di non manifestarlo a queste persone che si inacidiscono all'istante e iniziano i commenti passivo-aggressivi solo perché mi godo il momento e ho voglia di compagnia. Ed è tutta gente che non ha fatto nemmeno un giorno di quarantena da sola in casa. Oppure che per vari cazzi ha avuto la possibilità di uscire anche se intasava le bacheche di #iorestoacasa. 

Un esempio tra tanti: ho ricevuto suggerimenti non richiesti su percorso e orario migliore per arrivare al supermercato "senza diffondere la malattia" (cit.). Per la cronaca: io ho fatto il test sierologico e sono risultata negativa, chi mi ha dato questo consiglio non ci pensa nemmeno a fare altrettanto. Lo stress unito all'incapacità di amministrarsi rende la vita difficile, mentre è molto più facile stare a sindacare su ciò che fanno gli altri

Adesso mi sento circondata. Ma forse esagero, sono poco propensa a sopportare. E vorrei anche vedere: dopo due mesi chiusa in casa da sola, diventare suscettibile mi pare il minimo sindacale. La legge italiana in tutte le sue emanazioni e il mio buon senso, sono le uniche due linee guida che seguo ora e che seguirò nei giorni a venire. Adesso abbiamo informazioni e acquisito comportamenti che all'inizio non conoscevamo, questo mi tranquillizza. 

Forse ha ragione il buon Zuliani quando dice che c'è tutta una categoria di persone che il lockdown è proprio cosa loro.


(*parafrasi di una cosa detta da Iggy Pop millemila anni fa che mi è rimasta impressa e oggi casca a fagiolo.)




Diario del 1 maggio



Da oggi in Toscana si può uscire per fare attività motoria. Non so come sia nel resto d'Italia. Non è che non mi interessi, è che non sono riuscita a capirlo. Ma a Firenze si può, se si esce a piedi partendo da casa e ritornandoci.

Attendevo questo momento dall'inizio della reclusione. Mi sono mancate le mie passeggiate che anche senza coronavirus di solito faccio da sola, senza interagire con nessuno. Il distanziamento sociale è parte di me.

Con la fine del divieto di passeggio ero convinta che sarei schizzata fuori casa e avrei camminato per un paio d'ore come ho sempre fatto nei fine settimana. Fino al covid-19, of course. A dire il vero, quando siamo entrati in lockdown pensavo che camminare da soli, con tutte le precauzioni del caso, avrebbe continuato ad essere possibile. Perché fa bene, riduce lo stress, perché la maggior parte di noi abita in case piccole ecc.

Poi sappiamo com'è andata.

Non recriminiamo. Per fatica, non per evitare polemiche. Torniamo a stamani. Mattinata fredda e nuvolosa.

Mentre alzavo gli occhi al cielo e ho deciso di rimanere a casa. "Forse esco dopo, nel pomeriggio" mi sono detta senza convinzione.

Ho preparato il tè coi biscotti ai cereali del Mulino Bianco. Inzuppavo i dischetti ai frutti rossi e riflettevo preoccupata: "Ho arredato il tunnel e non me ne sono neanche accorta".

Perché sono due mesi che voglio fare una passeggiata che non sia andare al supermercato più vicino cercando di metterci meno tempo possibile. Come tutti noi, del resto.

E allora perché mi è passata la voglia?

Depressione?
Ipotesi scartata subito. Non me la posso permettere la depressione.

Automatismi?
Ecco, precisamente. Credo si tratti di questo. Ho dovuto cambiare la mia routine da "anziana che ha i suoi rituali", e adesso mi ci sono abituata.

Ora sono qui a cercare di capire quante e quali sono le altre abitudini che ho perso e che mi toccherà ricostruire.

Tutto brutto?

No. Ci sono anche quelle (poche a dire il vero) abitudini che ho preso durante la quarantena e che non voglio perdere. Tipo cucinare di più, che è una cosa sana e mi dà una soddisfazione che avevo dimenticato.

Studio traiettorie thailandesi, visualizzando colori caldi e sole a palate, mentre il gelo che sale dal basso mi dà la sgradevole sensazione di avere il calzino bagnato


Pausa pranzo, voglia di diario.
Come ai vecchi tempi, quelli in cui tutto era due punto zero.
Pesto con forza i tasti neri di una tastiera estranea.
Ho appena ordinato su 20090.eu Agosto Oscuro, raccolta di poesie di Tommaso Labranca. Ma ne parlerò in modo più esteso quando avrò letto il volume che è uscito oggi, acquistatelo e regalatelo per Natale o quando vi pare.
Prima di comprare il libro ho dato un'occhiata a un certo gruppo Facebook che bazzico con smaccata autoindulgenza, Naufraghi di Splinder, formato da ex splinderiani nostalgici. Perché com'era bello il momento Splinder che se non c'eri, non puoi capire.
E mentre ripensavo a quei tempi lì, mi è caduto l'occhio sul libro de La Pizia, Mondo blog, testo di riferimento per comprendere il mondo dei primi blog.
E anche lì: come si stava bene al tempo dei primi blog, quando eravamo pochi e ci si conosceva tutti. E in effetti in Mondo blog La Pizia va letteralmente a casa dei blogger, uno per uno, gli suona il campanello per intervistarli vis a vis.
Impensabile adesso, fa senso anche solo raccontarlo.
E probabilmente anche allora c'era qualcuno che rimpiangeva il tempo in cui questi siti strani, dal nome antipatico - blog - fatti solo di una pagina a scorrere, ancora non erano così diffusi e se si aveva qualcosa da dire lo si poteva fare benissimo con un sito web costruito con Front Page e pubblicato su Supereva o un servizio del genere.
E via discorrendo, si potrebbe andare a ritroso fino ai piccioni viaggiatori e alla caccia col falcone. È un gioco divertente, e anche facile.
Invece il contrario è difficilissimo.
Faccio fatica, infatti, a immaginarmi il futuro.
In effetti è un attività un attimo più complessa.
Sicuramente in un futuro prossimo diremo che era bello stare in massa su Facebook a discutere di quisquilie e indignarsi con sconosciuti invece di... ecco chissà come sarà tra una decina d'anni la nostra vita online.
Forse registreremo tutti podcast, come le chat vocali di Whatsapp, oppure comunicheremo con un linguaggio pittografico, fatto di emoticon e disegnini.
Pausa pranzo finita.
Un tempo, duravano di più.

Il cero


Ogni tanto entro in chiesa, anche se non sono credente. Di solito lo faccio per curiosità, altre volte per accendere un cero.
Lo faceva sempre mia nonna e io l'accompagnavo.
Si entrava nella chiesa, la nonna accendeva la candela; il tempo di un pater nostro e un segno della croce che si era già fuori, con la nonna che mi raccontava vita, morte e miracoli della persona per cui aveva acceso il cero.
Parenti sconosciuti, per lo più.
Mi affascinava questo rituale che ho fatto mio da sempre, anche se tra me e le faccende religiose non c'è proprio alcuna affinità.
Così ogni tanto mi fermo in una chiesa a caso per accendere una candela.
Ma, a differenza di quelle mirate della nonna, la mia è collettiva.
Vale per un tot di persone - di solito cinque - che non ci sono più, e a cui volevo bene.
Anzi, non è esattamente così: vale per un tot di persone che non ci sono più, e che mi mancano.
Così stamani sono entrata nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, all'angolo di via de' Cerretani.
Mi sono diretta verso uno dei candelieri in fondo, quelli coi ceri a 50 centesimi.
Ottimo, prezzo giusto.
A volte sono esosi 'sti preti, e ti chiedono 1 euro per una candela.
Inaccettabile.
Anche se, quando trovo i ceri così cari, mi faccio lo sconto da sola.
Cinquanta centesimi, però, mi è parso onesto.
L'ho acceso e ho pensato a cinque persone care, nominandole mentalmente una per una.
Mia nonna ha un posto fisso nella cinquina.
Si sono avvicinati due giovani turisti.
Una coppia di Roma.
Si guardavano intorno, parlottando tra loro a voce bassa. A un tratto lei si è bloccata, a bocca aperta, di fronte alla teca con la statua del Cristo.
- Amò
-...
- Amòòò... AMÒÒÒ
-Eh!
-Er Cristo... la faccia...
-...
- Nun ce posso crede
- Nooo!
- Uguale, eh? Gli devo mannà a foto subbito...
E la ragazza ha fatto la foto al Cristo, cercando di non farsi vedere da nessuno. Che poi sarebbe cercando di non farsi vedere da me, visto che c'èro solo io. Poi sono usciti riguardando la foto sul display e li ho sentiti ridere di gusto sul marciapiede, mentre si allontanavano.
Però a me è sembrato un Cristo come tanti altri.

Letture estive: Hyperion


Vorrei consigliare un romanzo che ho finito da qualche giorno. In questo momento non ce l'ho sottomano, non posso fotografarlo magari con tazzina del caffè e zampirone a fianco, così mi devo accontentare di una banale immagine presa da Google, ma davvero ne vale la pena.
Sempre se piace il genere: fantascienza.

Allora, che mi dicevi di Camilleri?



«Camilleri si è tutelato.»
«Chi?»
«Camilleri, lo scrittore. Quello di Montalbano, dai.»
«Sì, certo. Che ha fatto?»
«Dicevo: si è tutelato.»

Faccio fatica a ricordarmi come siamo entrati nel discorso.
Faccio fatica a ricordarmi di quale discorso si tratti.
Faccio anche fatica a ricordarmi perché sia entrata nella sua stanza.

Intime distorsioni prima del caffè



Se penso alla mia vita in modo astratto, senza realmente pensare a nulla in particolare, ho sempre la fastidiosa sensazione di aver sempre speso malissimo il mio tempo.

Un po' come lo Zeno Cosini dei frammenti sparsi post "Coscienza di Zeno" che, messo di fronte al classico dilemma faustiano, schifa sdegnato la possibilità dell'eterna giovinezza, perché preferirebbe di gran lunga barattarla con «qualcosa di molto nuovo, qualcosa che mai conobbi, perché non vi sono giorni che vorrei rifare ora che so dove mi condussero*».

Ecco, proprio così.

La sensazione orrenda di un'intera esistenza sprecata in perdite di tempo.

Anche adesso, specialmente adesso, in questo grigio post pranzo domenicale, con la digestione in partenza e il caffè sul fuoco.

Il traumatico ritorno in ufficio tra pioggia battente, paura di furti e temibili tentativi di rimorchio su Facebook


Ritorno dalle ferie convinta di trovare l'ufficio svaligiato.

Niente, tutto ok. 

"C'è sempre stato qualcuno, qui", mi rassicurano.

Ok, soprassiedo, troppo annichilita dal disappunto del ritorno, sotto la pioggia battente. Gocciolo come una fontana, vorrei solo rimettermi il pigiama e stare sotto le coperte a leggere. E magari riprovarci tra qualche giorno con questa pazzia del lavoro, ché oggi non è cosa.

Un classico di Natale: il tentativo di intrusione



Stamani ero da sola in ufficio.

Stavo sistemando alcune cose quando qualcuno ha suonato il campanello. Una scampanellata potente, come si fa con le persone di casa.

Ero in cima a una scala, ci ho messo un po' a scendere.

Seconda scampanellata.

Artigianato e palazzo: la manodopera e la connessione a carico dei blogger




Artigianato e Palazzo, la mostra a Firenze dedicata agli artigiani, per il secondo anno "ammette" i blogger. I motivi sono: rilanciare l'evento (che quest'anno compie vent'anni) in un'ottica al passo coi tempi, valorizzare i giovani, e dare risalto al connubio tra tradizione e multimedialità.

Interessante.

E poi quando ci sono di mezzo i blogger mi fa sempre piacere.

Massa grassa



I giorni di festa si accompagnano a pensieri continui su massa grassa, digestione, villi intestinali, pressione alta, ictus, colesterolo, diabete, immobilità, obesità, vite all'estremo. Occasioni per inventare varianti estrose dei programmi Real Time.
Il tutto si traduce in sensi di colpa e ulteriore, immotivata, assunzione di cibo. Un "effetto valanga" che di anno in anno è sempre più preoccupante.

Una voce in strada mi distrae. 

Questo pomeriggio lo passo in casa: completo relax, divano , letture, blog, solite cose. Anche se poi i sensi di colpa sul cibo ingurgitato come se non ci fosse un domani, sulla vita sedentaria, sulle abitudini sociali legate a doppio filo al consumo di alcol, la fanno da padrone.

Fuori la voce è sempre più insistente.

Conversazioni della pausa pranzo: Twitter, Renzi ed altre cose


- Ma come, tu fiorentina d.o.c. non segui il Renzi su Twitter... E come mai, per curiosità?
- Guarda, Twitter è il meno: io il Renzi non l'ho nemmeno votato per sindaco, figuriamoci se...
- Ma icché c'entra codesto? Su Twitter tu lo potresti anche seguire. L'è sempre il presidente del Consiglio.
- In effetti, ma poi...
- Via, anche solo per informarsi; insomma ora come ora non è mica tanto trascurabile come personaggio...
- Ho capito. E hai ragione, lo so. Ok, seguiamo il Renzi.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...