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A futuri meme (se i meme hanno un futuro)

Oggi ho ricominciato a lavorare in ufficio. Un primo passo verso la normalità, qualunque cosa significhi in un momento come questo.

L'ufficio era deserto. Sono stata da sola per tutto il giorno, nella mia stanza. Con gli altri quattro o cinque presenti ci siamo salutati a distanza, senza chiederci nulla, come se non fosse passato un mese e mezzo dall'ultima volta. Sono state le ultime persone che conosco che ho salutato di persona all'inizio di questa cosa e sono le prime che ritrovo. Colleghi.

Ho passato un mese e mezzo da sola in casa e non è stato neanche tanto malaccio. Però adesso mi mancano gli amici. Le chat collettive, con gli aperitivi bevuti ognuno a casa sua, sono stati solo un pallido surrogato di vita. Ringrazio la tecnologia, certamente. Ma ora anche basta.

Non vedo i miei genitori da quasi due mesi. Meglio così, sarei stata autorizzata a raggiungerli solo in caso di emergenza. E grazie al cielo non c'è stata.

Sono stata tanto tempo a casa ma ora non mi sento riposata né sul pezzo. Ho vissuto la reclusione a velocità ridotta, una specie di letargo in veglia che non saprei definire altrimenti.

Pensavo che potendo andare a lavorare avrei anche potuto fare qualche passeggiata dove mi pare, ma a quanto pare no. Devo controllare però, non mi fido.

Se c'è una cosa che ho imparato in questi due mesi è che esiste tutta una categoria di persone che gode nel frustrare gli slanci altrui. Gente che sta male sempre, ma che in condizioni normali si mimetizza abbastanza bene. Invece la quarantena li ha attivati e la delazione del podista solitario li ha fatti splendere di una luce malata.

Di positivo c'è che ormai non si possono più nascondere.

Ne conosco alcuni così, in futuro cercherò di averci meno a che fare possibile.

Vendemmia di meme


Me li voglio ricordare i meme del coronavirus. Prime settimane.












Allora, che mi dicevi di Camilleri?



«Camilleri si è tutelato.»
«Chi?»
«Camilleri, lo scrittore. Quello di Montalbano, dai.»
«Sì, certo. Che ha fatto?»
«Dicevo: si è tutelato.»

Faccio fatica a ricordarmi come siamo entrati nel discorso.
Faccio fatica a ricordarmi di quale discorso si tratti.
Faccio anche fatica a ricordarmi perché sia entrata nella sua stanza.

10 cose che un commerciale deve evitare quando incontra il potenziale cliente



Durante una riunione aziendale, un fornitore di servizi web mai visto prima (né dopo), per spiegarmi le meraviglie dei social network, ha aperto il suo profilo Facebook - pieno di foto della Fiorentina, sfottò volgari tra amici e aforismi alla Osho - e si è messo a scorrere quella timeline imbarazzante sotto al mio naso. Incurante della figura di merda che stava facendo, si è soffermato sui dodici (12, uno-due) like alla foto di un cucciolo di labrador, postata il giorno prima.

- Capisci? 12 like così, senza praticamente fare niente - mi ha detto entusiasta, quasi fosse stupito di un tale successo.

- Wow - ho risposto, cercando di capire se mi stesse prendendo per il culo oppure no.

No no, era serissimo, naturalmente. Ed era anche convinto di trovarsi di fronte a una come lui.

Allora ho pensato di scrivere i 10 errori secondo me che un commerciale non deve mai fare quando entra in contatto con un'azienda.

Ma Matteo: proprio con i più sfigati te la dovevi prendere? Il Santo Natale si vede dalle piccole cose quotidiane...


La tipa dietro la scrivania è immersa in un libretto Sellerio tutto sbertucciato, con il bollino della biblioteca di quartiere.
Da dove mi trovo non vedo il titolo, riesco a leggere solo: Camilleri.

La tipa legge senza curarsi del resto, non ha risposto nemmeno al mio "buongiorno".
La osservo rapita, ha una faccia arcigna che in giro se ne vedono poche di così antipatiche.
Di tanto in tanto, appoggia il libro sul tavolo e sottolinea qualche frase a matita.

Ufficiali giudiziari e Paolo Fox

Giustizia e Oroscopo

Gattasorniona ci racconti come hai iniziato questo 2012?
«Ma ben volentieri, caro intervistatore fantasma. Allora in ditta sono arrivati due ufficiali giudiziari in due giorni - sì, proprio uno al dì - per tentare di consegnare degli atti. Siccome il titolare e destinatario delle notifiche è all'estero, nessuno li ha ritirati per paura di lasciare la firma su roba che sicuramente finirà in tribunale. Ecco, questa è la notizia del giorno. Ed è anche la notizia clou di ieri. E questo mi fa riflettere, perché è inutile cercare spiegazioni di questa depressione cronica nei massimi sistemi, nelle micragne della vita contemporanea, nei vent'anni di berluconismo e altre bischerate new age. Perché quando si fa una vita come la mia è inevitabile diventare un tutt'uno con lo spleen depressivo. Diciamo che fa parte del gioco.»

Allora, come reagire? Qual è il modo di sfangarla?
«Non ne ho idea, sto ancora cercando la magica ricetta esistenziale che mi salverà da 'sto baratro nero che m'insegue inesorabile. E questa ricerca mi porta a esplorare territori inaspettati e spesso piacevoli, ad ascoltare le esperienze di persone che alla fine hanno trovato la loro formula per non lasciarsi sopraffare dalla quotidianità melmosa che ci lambisce tutti, di continuo.
Adesso so che la ricetta è molto personale e gli altri, se scelti con cura, possono solo essere fonte d'ispirazione e di conforto. Ma trovare l'alchimia giusta tocca solo a me. E questo lo posso fare anche trovando il coraggio di sfanculare le cose che, sulla base di esperienze passate, so già che non mi porteranno alcun giovamento, né vantaggi.
Perciò lo scrivo chiaramente: addio Paolo Fox, mi hai delusa, non ne hai azzeccata una nel 2011. D'ora in poi si torna da Rob Brezsny

Parenti serpenti: il consueto post di Natale e lo spirito delle Feste


Prima di tutto Auguri di Buon Natale e Buone Feste a chi si trovi a transitare da queste parti. Forse scriverò ancora prima di Natale, forse no. Di sicuro andrò in giro per i blog preferiti a lasciare auguri e a leggere gli ultimi aggiornamenti.
Chiedo scusa, ma in questo periodo sono in una "fase-blog" in cui mi risulta molto difficile non scrivere del lavoro. E mi fo uggia da sola, figuriamoci a terzi. È che c'ho una specie fissa. Più che una fissa è un rimuginare continuo, incredulo. Ecco. Perché, porca miseria, non ero mai stata a lavorare in un ufficio così inefficiente e devo andarmene prima di perdere l'ultimo barlume di lucidità mentale. Adesso, per esempio, ci sono trenta gradi. Problema con la caldaia che dura da giorni perché qui non sono avvezzi a chiamare i tecnici se si rompe qualcosa. Ignorano come facevo io nei primi tempi della mia vita da single (linkerei il post se Splinder non fosse in fase terminale e tutto il mio vecchio blog è ormai irrecuperabile, ma so come rimediare ;). Comunque meglio questo caldo del gelo, certo, anche se ci sono state controindicazioni pesanti. Tutti ci siamo ammalati, con febbre altissima e dolori dovuti all'escursione termica tropici/artico che ci viviamo sulla nostra pelle. Tutti i giorni perdo sangue dal naso, copiosamente, perché si sa: super caldo vs superfreddo facilita queste cose. Ossignore, benedico l'anonimato di questo blog - che ho avuto il buon senso di non infrangere quasi mai in tanti anni di onorata carriera da blogger - perché adesso posso scrivere quello che mi pare. Ovvero che lavoro per gente demente e tanto, ma davvero tanto, incompetente. Al titolare l'unica cosa che interessa è la macchina super lusso che ha sotto il culo ogni momento che può. Ma è una tendenza che ho riscontrato spesso in un sacco di ditte, mica solo qui.
Un passo efficace per migliorare la bolsa classe imprenditoriale italiana - che suggerirei a un governo italiano quasiasi purché dinamico e sveglio (!) - sarebbe abolire all'istante qualsiasi forma di leasing sulle auto di lusso. Vuoi fare l'imprenditore? Bene, per legge scordati il SUV a spese dell'azienda - compratelo coi risparmi personali se ti pare - tanto ti fa solo rincretinire e poi non sai nemmeno guidare. Un tempo attribuivo certi eccessi a una diffusione mostruosa della cocaina. Ingenuamente vedevo cocainomani dappertutto. Invecchiando ho cambiato la mia percezione del mondo: adesso vedo stupidi dappertutto. Per chi fosse interessat* al tema suggerisco la gradevole sempre attuale lettura o rilettura de "le tre leggi della stupidità umana" di C. M. Cipolla (professore emerito di storia economica a Berkeley, mica uno ripescato dalla piena). Per la cronaca: io sono convinta di non far parte del gruppo degli stupidi ma di essere una bella rappresentante di quello dei "disgraziati/sprovveduti", altrimenti tutta una serie di cose della mia vita non si spiegherebbe.
Evabbè. La sto tirando per le lunghe. Ma sono in una pausa pranzo differita e solitaria e c'ho da sfogarmi. E poi in questi giorni sono più nervosa del solito. "Ho un nervo per capello", come mi ha detto al telefono un'amica esasperata perché la stavo facendo aspettare troppo senza riuscire a decidermi sull'orario di un appuntamento. C'è il Natale alle porte e tutti gli anni io sono agitata perché mi ritrovo in un vortice di impegni familiari a cui faccio sempre più fatica ad adattarmi. Ogni tentativo di cambiare certe dinamiche - anche di poco, per carità, ché nostro malgrado qui si segue la filosofia dei piccoli passi, ndr - diventa uno scontro con le alte geriatrie gerarchie familiari che in effetti è meglio evitare. Oppure se proprio scontro dev'essere, allora va programmata una strategia di guerra, sulla falsariga della letteratura del Machiavelli. Comunque sia, il risultato è che a Natale mi girano sempre più le scatole. E quest'anno auspico con tutto il cuore che la profezia dei Maya non sia solo una panzana new age; infatti spero con tutto il cuore che davvero l'anno prossimo succeda qualcosa che cambi un po' il corso del mondo. O almeno nella mia famiglia.

La Alba Parietti e la crisi economica


Mesi fa avevo salvato questa foto della Alba P. perché ci volevo scrivere un post. Mi aveva ispirata di brutto, sia la foto sia la frase completamente senza senso. Per circa due minuti, credo. Poi l'avevo rimossa dalla mente e dimenticata sul desktop in mezzo a una caterva di foto di gatti e di animali vari che raccolgo continuamente, in quanto zitella 2.0.
Sono malatissima, oggi. Influenza. Non sono andata in ufficio. Quando ho chiamato per avvertire mi hanno detto che sono ritornati tutti a casa perché son saltate le linee telefoniche. Mi scappa da ridere. Lavoro in un ufficio che non paga le bollette (no, non credo alla panzana del guasto, dai). Allora ho passato una mezz'ora su Skype con la mia collega S. aka Ridens. Sì perché io ho una collega che ride nervosamente di continuo, tipo tic nervoso. Eccallà. Quando è al telefono guai a incrociare lo sguardo col suo: sennò si mette a ridere e il suo interlocutore si sente preso per il culo con conseguenti scazzi e parti di merda, che alla fine fanno irritare Ridens perché lei ancora non si rende ben conto delle implicazioni del suo "problema". Considerando, poi, che l'ottanta percento del suo lavoro si svolge al telefono, praticamente io giro sempre a sguardo basso per la ditta, proprio come se avessi a che fare con un mostro demoniaco dai poteri extraterrestri, tipo Medusa. E non sempre questo accorgimento è sufficiente a sfatare quei risolini nervosi. Comunque Ridens mi ha detto che è piuttosto preoccupata perché ha notato che in ufficio ci sono delle cose che non vanno. E brava Ridens. Maremma santa, "cose che non vanno" mi pare un eufemismo fighetto: sta andando tutto allo scatafascio. E già da un bel po'. Il lavoro è diventato congiunturale al cento per cento e non ci posso fare nulla. Mi sono rassegnata. E poi: chissà se la Alba Parietti risente della crisi economica. Così, tanto per curiosità. buzzoole code

Il mondo deve sapere e io mi devo render conto meglio...


Qualche sera fa ho letto il libro di Michela Murgia Il mondo deve sapere. L'ha pubblicato diversi anni fa, ne avevo sentito parlare, ma all'epoca non aveva suscitato la mia attenzione. Adesso - complice una sacchettata di libri che mi è stata prestata da un'anima buona per affrontare le feste imminenti - ho avuto occasione di leggerlo. È una storia autobiografica ambientata sul lavoro, come riporta Wikipedia:
La protagonista del racconto viene assunta da un call center come telefonista; il suo compito è quello di vendere, attraverso tecniche di vendita invasive, un aspirapolvere, il Kirby. Le stravaganti tecniche motivazionali, il mobbing nei confronti dei dipendenti, le assurdità raccontate alle casalinghe al telefono e le reazioni delle stesse, le figure dei colleghi e dei capi vengono annotate e classificate, utilizzando un linguaggio colloquiale e uno stile ironico.
Si legge in un paio d'ore e secondo me ne vale la pena. In origine penso che fosse un blog, la struttura è quella e ogni tanto ci sono dei riferimenti ai post. Son rimasta solo un po' delusa dalla trama, perché mi auspicavo una nemesi finale che invece non avviene. Poi riflettendoci, credo che la protagonista abbia avuto la sua nemesi nella vita reale, proprio grazie alla pubblicazione del libro e allora va bene così.
Per il resto è il racconto di un mese di lavoro nel call center della Kirby, tra trucchi, manipolazioni, mobbing di un ambiente del genere, dove tutti, ma proprio tutti (titolare compreso), vengono plagiati con tecniche collaudate, in un perenne tentativo di lavaggio del cervello che nella maggior parte dei casi funziona alla grande.
Tempo fa ho raccontato di quando, per lavoro, ho partecipato alla composizione del testo di una telefonata-tipo "da call center" che poi i centralinisti avrebbero dovuto recitare ai potenziali clienti. Maremma, tutto uguale al libro, che tra varie cose, mi ha permesso finalmente di darmi una spiegazione plausibile sul perché anche nell'azienda dove lavoro ci sia uno psicologo fisso solo per fare i colloqui ai commerciali. Io cado dal pero e mi spiaccico a terra, perché si vede che sono bella matura. Ingenuamente, infatti, pensavo che l'azienda fosse in forte espansione e cercasse personale, invece la Michela Murgia mi ha aperto gli occhi sulla verità: abbiamo un turn over di venditori spaventoso e a quanto pare da manuale. Io per lavoro mi occupo di tutt'altre cose, queste dinamiche mi sfiorano solo di striscio, soltanto quando c'è da dare qualche parere tecnico, però mi mettono tanta tristezza addosso. L'unica telefonista che abbiamo in azienda è spiccicata al modello-ameba descritto nel libro della Murgia. Santo cielo, è impossibile farci un discorso. Qualsiasi discorso; fa impressione un tale concentrato di stolidità in un'unica persona. Pensavo che noi tecnici-nerd si fosse i disadattati di ogni situazione, ma non è così. C'è di peggio, di molto peggio. Perché è vero: al peggio non c'è mai fine. Il resto del call center, infatti, è in Tunisia e i ragazzi che ci lavorano hanno ordine di dire di essere mezzi francesi, se qualcuno chiede loro come mai abbiano l'accento "straniero". Io sono disgustata e sto mandando curriculum in giro, ma com'è noto non è il momento giusto, la crisi, il default, il fatto che ho quarant'anni, yawn. Lo sbadiglio è dovuto alla consapevolezza che non è mai stato il momento giusto per trovar/cambiar lavoro; son vent'anni e oltre che si passa da una crisi all'altra, da un "momento sbagliato" all'altro, da un'emergenza planetaria a una tragedia economica scampata per un pelo come adesso, senza soluzione di continuità. Forse è l'ora che mi svegli un altro po'. E non solo io.

Momento frù frù

In tutta la mia vita professionale, non ho mai affrontato degli alti e bassi come in questo periodo, delle vere e proprie montagne russe. Ne soffre tutto l'ufficio. Nell'arco delle ventiquattr'ore si passa dall'esaltazione più totale alla depressione più cupa. Tutti. Certo, in questi casi il contesto è fondamentale e gioca un ruolo chiave nell'eziologia della nevrosi collettiva. Se l'ufficio è popolato e guidato da pazzi esauriti che navigano a vista, allora anche per me sarà molto più facile cadere preda degli sbalzi di umore repentini. Che poi gli sbalzi di umore in sé sarebbero anche gestibili. Il problema è che nel mio caso ho tutto il pacchetto completo: insonnia, disturbi intestinali, gastrite, fame e voglia di fumare isteriche.
Quando attraverso un periodo come questo, chiamiamolo frù frù per comodità, penso sempre a cambiare qualcosa della mia vita, a mutare direzione. Che poi il cambiamento si può chiamare in tanti modi: la chiave di volta, l'apripista, il mule, l'evento x, il big bang(!), ecc. Non ha importanza il nome, ma l'energia fresca e le prospettive nuove che ne dovrebbero conseguire. Purtroppo a questo giro sono a corto di idee e di energie. Non mi resta che sperare in una bòtta di culo provvidenziale. Ma faccio fatica a crederci.

Effetto Zoolander e Grande Crisi


Nella ditta "nuova" dove lavoro hanno giù cominciato a fare i furbini e a pagare in ritardo. Da qui la necessità di scrivere questo post di sfogo: è la mia auto-terapia preferita. Attenzione: la ricetta contiene succo di bile allo stato puro e parolacce q.b.
E poi io col lavoro ne ho passate troppe e adesso non lascio correre più nulla. Specialmente quando mi rendo conto che la Grande Crisi viene presa a pretesto per fare gli stronzi. Ma rimaniamo sul punto e ritorniamo al mio ufficio. Il titolare è un classico, passa dall'arroganza al piagnisteo con tutti: clienti, collaboratori, dipendenti. È simpatico anche se un po' cafone, però lui è convinto di essere chic. Nonostante tutte le arie da imprenditore vissuto che si dà, in realtà è solo un parvenu del mestiere: finirà stritolato al primo alito di vento. E questo non mi fa stare tranquilla per nulla, perché di questi tempi le ventate sono improvvise, gelide e distruttive. Metaforicamente parlando, naturalmente.
Comunque oggi il tipo s'è incazzato perché nessuno di noi ha pensato di pubblicare sul blog aziendale du' parole di cordoglio per il povero Steve Jobs. Porca miseria. È vero, siamo stati dei brutti snob: potevamo pensarci e scrivere una cosa originale, qualcosa che non si sia letto da nessun'altra parte, tipo: stay hungry, stay foolish... per esempio. Invece nulla, abbiamo soprasseduto, non siamo sincronizzati con il presente.
Mentre ascoltavo questa parte di merda, pensavo che come minimo il povero Steve Jobs si starà girando nella tomba nel vedere come il capo usa il suo stilosissimo Mac Air, sottile come una fetta di mortadella coi pistacchi. Non gli riesce usarlo, non ce la fa proprio, s'incasina anche sui tre pallini: rosso, arancio e verde, questi sconosciuti. Una cosa da non credere, pare ci sia candid camera perché non si può essere così maldestri senza una precisa volontà d'intrattenimento.
Però, ripensandoci, il capo non è mica l'unico con il "Mac-handicap"; mi capita spesso di partecipare a riunioni di lavoro con gente che ha l'ultimo modello di laptop Mac in bella vista e poi non lo sa usare e lo maltratta con zampate da primate. Un tempo i soggetti dello stesso stampo sfoggiavano i Rolex alle riunioni aziendali. Ma il Rolex faceva tutto da sé, bastava solo caricarlo di tanto in tanto. Il computer è un pochino più complesso, necessita di un minimo di applicazione per impararne le funzioni base. Sennò scatta l'effetto Zoolander.

L'espediente lampredotto




Un nerd con evidenti problemi di comunicazione. L'urgenza di creare la solita sinergia, in vista di una collaborazione lavorativa regolata dai soliti tempi serrati. Per rompere il ghiaccio, ché questo ha problemi solo a dirmi "buongiorno", figuriamoci a telefonarmi se c'è qualche bega o solo per aggiornarmi.
Allora cerco di trovare un punto in comune. Qualcosa di cui chiaccherare, in modo che lui possa prendermi le misure, abbassando i suoi livelli di timidezza che rendono il lavoro molto, molto difficoltoso per entrambi. Alla fine trovo l'argomento comune che ci unisce: il lampredotto. Semplice.
Cominciano discussioni infinite sul mangiare ai vari baracchini sparsi per la città. Lì sì è buono, devi provarlo; là invece no, non lo sanno fare. Piccante o salsa verde? Sbucciato, mai? Ecc.
Li trovo tutti io, pensavo. Sono anche diventata brava a smazzarli, pensavo.


La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...