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Vaccinarsi, oggi

Faccio parte di una di quelle categorie lavorative che hanno diritto al vaccino. 

Dunque mi sono vaccinata.

Mi è toccato il Pfizer-BioNTech, ma sarebbe andato benone anche il Moderna. Avevo soltanto qualche perplessità per l'AstraZeneca, a quanto si sa ha una capacità di protezione inferiore al 60% e mi mi pareva troppo poco. Non per essere choosy, è il mio onesto stato d'animo. In molti fanno questo ragionamento, mi pare piuttosto condivisibile.

Mi sono vaccinata a Torregalli perché ho trovato posto lì. Era quasi tutto esaurito quando ho prenotato approfittando di una finestra nel sito della Regione Toscana. Penso di aver avuto un culo della madonna a trovare posto, ogni volta che aprono uno spazio si esaurisce subito.

Ma torniamo a Torregalli.

C'era tanta gente, ho trovato un'ottima organizzazione. Al piano terreno, cinque o sei ambulatori adibiti alle somministrazioni. Si entrava dal davanti e si usciva dal retro. All'interno due operatori, uno per la parte burocratica e l'altro per "punturarti". 

L'infermiera che mi ha fatto l'iniezione aveva una mano meravigliosa, gliel'ho anche detto, ringraziandola. Praticamente non me ne sono neanche accorta. Poi esci dall'altra porta e ti ritrovi in un corridoio assieme alle altre persone che hanno appena fatto il vaccino. Devi sederti e attendere un quarto d'ora, per scongiurare eventuali reazioni allergiche. Un medico andava in su e in giù, in caso qualcuno avesse avuto bisogno. 

Passato il quarto d'ora ti alzi e te ne vai. 

Finito. 

Ci vediamo tra tre settimane per la seconda dose.


Come promemoria una cartolina con nome, cognome e gli spazi per i due "tagliandi". Il primo è già occupato, l'altro lo sarà alla seconda puntura. Assieme al tesserino ti danno anche "una cartolina del Presidente", come ha detto la signora che mi ha fatto la burocrazia. "Sono i ringraziamenti del Giani", ha continuato prima che uscissi dalla seconda porticina. 

Mi sono messa a sedere titubante, una parte di me temeva una reazione allergica, non si sa mai. 

Rigiravo tra le mani la cartolina del Giani, dal titolo Più ti curi, più sicuri, col Presidente della Regione che dice: Grazie! Decidendo di vaccinarsi ha fatto un gesto d'amore, non solo per lei e per i suoi cari, ma anche per tutta la nostra comunità. In questa terribile pandemia la Toscana ha fatto squadra con la sanità e la scuola con le forze politiche di maggioranza e di opposizione con ogni realtà del volontariato e dell'associazionismo. Da oggi con il suo impegno siamo ancora più forti e guardiamo al futuro liberi dal virus: grazie di cuore per aver reso la #Toscanasicura. Firmato il presidente Eugenio Giani.


Questo ringraziamento mi è parso fuori luogo. 
 
Che c'entra Giani? 
 
Mi ha ricordato quando Trump ha voluto firmare con nome e cognome gli assegni dei sussidi per il covid-19. Una roba di propaganda che anche no, via, fosse solo per eleganza. E poi perché la gente si vorrebbe vaccinare eccome, solo che non ci sono abbastanza vaccini.
 
Inutile ringraziare chi riesce a farsi l'iniezione, siamo i privilegiati in questo momento. 
 
Sono io che ringrazio lo Stato e gli chiedo di sbrigarsi per tutti gli altri che stanno aspettando.
 
Sul sito che il Sole 24 Ore ha dedicato alla vaccinazione in tempo reale, ci sono i numeri e il panorama è abbastanza sconcertante. Ho fatto attenzione alla situazione in Toscana, soprattutto alle previsioni per raggiungere l'agognata immunità di gregge: il 70% della popolazione vaccinata. 
 
Ecco qua che meraviglia:



Schermata raccolta adesso, poco prima di pubblicare questo post. Prospettiva drammatica, anche se in tutta onestà credo che questo dato cambi di giorno in giorno, o comunque ogni volta che il dataset viene aggiornato. Tuttavia è una previsione piuttosto disturbante.

In questa prospettiva, il bigliettino di Giani fa un po' ridere.
 
Infine vorrei aggiungere che sono stata bene. 
 
Nessun disturbo. 
 
Non ho neanche preso il paracetamolo come consigliavano (sono stata consigliata da più persone di prendere una Tachipirina). Il giorno dopo ho il braccio un po' indolenzito, tutto qui. Spero rimanga in questo modo e non succeda niente di diverso.
 
Racconto questa cosa, perché me la voglio proprio ricordare l'epoca della vaccinazione di massa.

Farsi delle domande: assembramenti e movida


Ieri sono andata a cena in pizzeria con amici. 

C'era molta gente, com'è naturale il venerdì sera. L'aria nel locale era pesante, o almeno mi è parso che lo fosse. 

Mi sono subito sentita a disagio e ho tolto la mascherina solo quando la cameriera ha appoggiato le prime ordinazioni sul tavolo. 

Non un secondo prima. 

Col mio gruppo di amici siamo andati per tutta l'estate a cena nello stesso posto, all'aperto. Ora però fa più freddo così dobbiamo stare al chiuso. 

Ma la nostra pizzeria è uno di quei locali belli quando si mangia nel giardino, con tanto verde, il parco in fondo, le luci della città che creano un effetto tipo "L'impero delle luci". 

All'interno è un'altra cosa; cambiano illuminazione, colori, atmosfere. Tutto diventa più cupo e freddo.

Chissà se i gestori del locale si preoccupano di questo gap esperienziale, perché sembra davvero di stare in due locali differenti.

Torniamo a ieri sera. 

Sono stata contenta che fosse tardi, mangiare al secondo turno è la cosa migliore di questi tempi, il locale piano piano si è svuotato e ho cominciato a sentirmi a mio agio. Ho fatto caso al mio cambiamento di umore, mi sono resa conto che mi stavo rilassando man mano che gli altri clienti andavano via.

A tavola ero con i soliti amici con cui mangio almeno una pizza a settimana, si chiacchierava di Firenze. A quanto pare vogliono mettere dei tornelli per accedere a Piazza Santo Spirito perché la sera è piena di gente sta diventando un problema per il contenimento del virus. Assembramenti, movida, queste cose qua. 

Non ci passo quasi mai la sera da piazza Santo Spirito, troppa gente. Però sono contraria, contrarissima ai tornelli. Se li mettono con la scusa del covid poi li lasceranno lì forever.

Sono per i controlli caso per caso. Chi sgarra viene sanzionato, of course, ma chi si gode la serata nel rispetto delle norme deve essere lasciato in pace. 

Il mettere tutto in un grosso calderone mi sembra un modo sciatto di amministrare, come quei baristi che espongono il cartello odioso "per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno". Ci faccio caso, denota sciatteria e pavidità. Oh, ognuno ha i suoi standard per giudicare dove prende il caffè. Io ho questo.

Mi sono chiesta: ho così tanta paura di ammalarmi? No, almeno non mi pare. Ho più paura che tutto collassi. Non è il covid, sono le sue conseguenze sulla società che mi preoccupano di più.

Ma che stanchezza.


Non andrà tutto bene, non va mai tutto bene. Ma non andrà neanche tutto in merda come ti pare adesso

Varie dal mondo

Web ㅡ Il post sul libro su Tommaso Labranca è stato il più visto dell'ultimo periodo, con un distacco notevole rispetto agli altri. Ottimo, ci tengo molto. Questa lieta info arriva dalla nuova interfaccia di Blogger – un restyling paraculo as usual – che coincide con la mia rinata voglia di bloggare. Ho già individuato alcuni bug e li ho comunicati a Google LLC che credo stia investendo in tutto il "progetto blogspot" non più di due pizze di fango del Camerun.

Shopping ㅡ Mi sono comprata un cavo lungo 3 metri per ricaricare il telefono. Diosanto che goduria. Perché non l'ho fatto prima?
Mi sono comprata 3 paia di calzoni estivi. Stesso modello ma colori differenti. Erano in sconto e stavo andando in giro con quelli invernali. Il lockdown non favorisce lo shopping, l'abbiamo appurato collettivamente.

Politica ㅡ Leggo della politica americana, mi dispiace tantissimo per come stanno affrontando l'epidemia, ovvero con la prevalenza dei mentecatti. Mi dispiace tantissimo per tutti gli altri, intendo. Nel frattempo godo che non abbiano fatto sbarcare in Sardegna i tizi arrivati dagli USA con un jet privato che pretendevano di fare come gli pare solo perché ricchi. Il presidente della regione costernatissimo perché gli hanno rimandato indietro 'sti tizi che, guardacaso, erano arrivati in Sardegna per portarci grandi affari, prenotando pure hotel lussuoso + villa, ma adesso nulla, andranno a far piovere soldi altrove ecc. Ma Solinas non è lo stesso che in altri momenti voleva vietare gli arrivi sull'isola dal resto d'Italia, blaterando di passaporto sanitario?

Varie dall'omino del cervello

Memorie dal lockdown.

Non andrà tutto bene, non va mai tutto bene. Ma non andrà neanche tutto in merda come ti pare adesso. 

Questo il discorso stretegico che mi sono fatta durante il lockdown, una volta che mi ero svegliata storta, convinta di avere il covid-19 e che sarei morta da sola nel mio appartamento in periferia, nell'indifferenza e nella solitudine. Perché sempre meglio così che essere ammassata come un pacco ingombrante in una corsia d'ospedale. 


Stamani camminavo per il centro e dopo aver preso il caffè da Rivoire mi è tornata in mente quella mattina di fine marzo 2020 in cui, in preda all'angoscia, ho giurato solennemente a me stessa che sarei morta per cazzi miei. A quel punto ricordo di aver tirato fuori la frase motivazionale e poi di essermi dedicata al decluttering fino all'ora di pranzo.
Oggi ho passeggiato al sole e all'ombra, bevuto il caffè e fatto un po' di foto.


Diario di oggi e di ieri


Oggi sono un po' più nervosa del solito. Il motivo è lavoro, ma non solo. Gli orari sballati, la cassa integrazione, l'atmosfera che non è delle più distese. Ci sono cose peggiori, ne sono consapevole, ma ogni tanto lo sconforto prende il sopravvento. Poi torno a casa, mi faccio una tisana e mi accampo sul divano col sottofondo musicale: Baby shark, senza soluzione di continuità. La bimba dei vicini ne va matta e i muri sono sottili. 
Tra un sorso e l'altro di malva e finocchio, razionalizzo il mio piccolo universo entropico.
Dovrei essere più riconoscente nei confronti della mia buona stella; i tempi sono quelli che sono, ci sono persone che il lavoro l'hanno perso, altre che non sanno dove sbatteranno la testa tra un mese. 
Per adesso io ho una grossa fortuna. 
Ma.
Ma, c'è un ma. A parte i soldi della cassa integrazione che non arrivano, c'è anche quel per adesso che ha già cominciato a farmi dormire malino. 
Ufficio riorganizzato, gente che viene tenuta a casa perché tanto paga lo Stato, scambi di orari che sballano tutto, scadenze che devono essere rispettate come se il covid-19 fosse scoppiato su una galassia lontana anni luce dalla nostra.
Da giorni la mia idea, il mio impulso più forte è mollare tutto e andare via. Niente di trascendentale, è un impulso normale, tutti lo proviamo di tanto in tanto. C'è chi lo sente di continuo. Poi nessuno si muove perché all'atto pratico: andare via dove? Come si campa andando via? Questa vita è quella che mi rimane attaccata addosso ed è quella che mi devo tenere perché non son mica sicura che ce ne siano altre migliori. 
Uh, che bel momento di depressione. 
C'è anche un altro motivo per tutto questo sconforto. 
Ho cominciato a leggere il libro su Tommaso Labranca "Le alternative non esistono" scritto da Claudio Giunta. Ho pianto alla seconda pagina. È una lettura abbastanza intensa per me, impegnativa in ogni senso. Lo leggerò piano piano. Il libro è bello – per quel poco che ho letto fino adesso – scritto e documentato bene. Ci sono alcune cose che non mi tornano, ma non mi aspettavo diversamente e ne scriverò quando l'avrò finito. 


Ieri sono passata davanti all'Antico Vinaio in via de' Neri e c'era gente, si cominciano a vedere i primi turisti in fila per la schiacciata. Quel vinaino snobbato dai fiorentini – me compresa, poco più avanti c'è un alimentari storico con un prosciutto fenomenale – è il primo segnale della ripresa turistica cittadina. 
Si rianimano le strade e le piazze che erano bellissime deserte, ma anche vederle riprendere vita non è malaccio. Gli amici che lavorano in centro hanno ricominciato a tirare su i bandoni ed è una bellissima notizia. 
E poi è tornato anche lui:

Sul ritorno alla cosiddetta normalità: anatomia di un bar preferito qualsiasi

Com'è bella Firenze senza turisti. 
Siamo sull'orlo della catastrofe economica, certo, 
ma la città in questi giorni è una meraviglia.

Sono stata a prendere un caffè nel mio bar preferito, finalmente hanno riaperto.

Adesso il bar funziona così.

Si entra con lo sguardo basso perché si devono seguire i segni sul pavimento fatti col nastro adesivo e prendere confidenza con le nuove misure.
Il posto è lo stesso di sempre, tuttavia adesso è differente. In senso distopico, intendo.
Due corsie nel corridoio che era già stretto di suo, ma nessuno ci aveva mai fatto caso tranne, forse, nelle ore di punta, ma in fondo sticazzi.
Sticazzi nel mondo di prima.
Invece ora salta all'occhio subito quanto sia stretto quel corridoio: da una parte si entra, dall'altra si defluisce. Il tutto uno alla volta.

Per terra ci sono anche delle croci, sempre fatte con il nastro, che indicano dove si può sostare in piedi per consumare. Le croci segnano i pochi posti disponibili di fronte al bancone, mentre tutto il resto del locale non è agibile.
In compenso non ho notato plexiglass, forse solo un poco di fronte alla cassa.

Allora sono entrata, ho salutato sorridendo (tra mascherina e occhiali non so quanto si sia visto), mi sono avvicinata al bancone, ho chiesto un caffè, che ho consumato con la mascherina abbassata e gli occhi chiusi.
Il rumore nel bar non è lo stesso di sempre, non c'è verso di ingannare il cervello.

Ho messo giù la tazzina e fatto un passo laterale per posizionarmi coi piedi sulla X di nastro adesivo di fronte alla cassa.
Ho rivolto un'occhiata ai posti a sedere dove altro nastro adesivo, distribuito con abbondanza, ne segnalava l'indisponibilità.

"Ancora non siamo sicuri come dobbiamo comportarci," hanno detto quelli del bar tra l'intimorito e il malinconico.
E li capisco, le zone grigie sono quelle dove il Comune pascola.
Specialmente in questo periodo di crisi.
Ho pagato, ho salutato dicendo che ero contenta di vederli e poi sono uscita tenendo d'occhio lo scotch sul pavimento.
All'aria aperta, nonostante il bar fosse tutto aperto, ho respirato a pieni polmoni.

Mi sa che questa normalità ce la dobbiamo conquistare di nuovo, e non sarà così semplice e non sarà così uguale a prima.

Ma neanche tanto diversa (ma su questo punto ci scrivo un post a parte).

Cosa ci rimane addosso?

Cosa rimarrà addosso dopo la clausura?

Ci penso un secondo, la domanda è pertinente.
A ben guardare ci sono delle cose che già sono cambiate nella mia vita. Piccole cose, ma su cui vale la pena soffermarsi un attimo, solo per mettere i puntini sulle i.
Tipo la qualità, oltre alla quantità, del tempo che passo a casa. 
Prima del coronavirus a casa ci stavo per le cose strettamente necessarie: dormire, lavatrici, pochi pasti. Tutto qui. Per il resto via via via, fuori il più possibile.
Negli ultimi anni sempre peggio.
Non so perché.
Adesso in casa ci passo più tempo.
All'inizio per forza di cose, naturalmente.
Ora, invece, perché mi fa piacere.
Ho superato quella certa soglia che un tempo mi terrorizzava molto più del covid: lo stare da sola e stare bene per questo.
Il "bastarsi" l'ho sempre visto come un punto di non ritorno esistenziale.
Adesso lo vedo come una fase. Come società ora sappiamo che possiamo stare chiusi in casa per due mesi e piano piano ritornare alla normalità.
Qualunque sia la normalità d'ora innanzi.
Sarà interessante scoprirlo.
Quindi addio teoria del non ritorno esistenziale.

Prima del covid non sapevo rispondere alla domanda "come ti vedi tra cinque anni?".
Domanda fondamentale ai colloqui di lavoro, ma che ha anche senso porsi di tanto in tanto per conto proprio. Lo facciamo tra amiche, per esempio.
Ecco, io non riuscivo più a rispondere, rimanevo interdetta e di malumore.
Il motivo era perché misuravo la prospettiva del futuro basandomi sul passato.
Mi spiego meglio, è una cosa di cui mi sono resa conto da poco. Andando indietro nel tempo, cinque, dieci anni fa, mi rendevo conto quanto poco fosse cambiato nella mia vita e inferivo su quanto poco sarebbe cambiato.
Un determinismo pessimista, frutto del precariato e della crisi che la quarantena ha smontato in gran parte. Se mi fai la domanda adesso, infatti, i malumori non si sono dissipati del tutto, ma almeno so rispondere. Ho capito qual è la direzione che voglio prendere, niente di che, piccoli progetti che non erano all'orizzonte due mesi fa. Piccole cose che cercherò di realizzare piano piano, tenendo stretto quello che ho adesso, ché con la crisi che ci sta piombando tra capo e collo, non è il caso fare colpi di testa. Alla mia età, poi.

Se qualcuno passa di qui (ho sempre il dubbio dopo gli anni di abbandono), mi piacerebbe tanto ascoltare altre esperienze e punti di vista.


Diario delle impressioni sulle prime uscite





L'altro ieri sono andata a trovare i miei genitori, la prima volta in due mesi. Questo è stato il mio secondo ritorno alla normalità, dopo una passeggiata in centro il giorno prima. Li ho trovati in forma e di buon umore. Ringrazio il cielo per questo. Ma anche l'avere una casa col giardino aiuta molto. E pure vicini di casa gradevoli con cui poter chiacchierare a distanza, rimanendo ognuno a casa sua, ha fatto tanto.

Asp.

...a distanza, rimanendo ognuno a casa sua...

Ho sentito il bisogno di specificarlo. Perché?

Giusto altro giorno scrivevo che se c'è una cosa che ho imparato in questi due mesi è che esiste tutta una categoria di persone che gode nel frustrare gli slanci altrui. Gente che sta male sempre, ma che in condizioni normali si mimetizza abbastanza bene. Invece la quarantena li ha attivati e la delazione del podista solitario li ha fatti splendere di una luce malata. 

Ecco.

Ora, io sono troppo vecchia per raccogliere la merda altrui* e infatti la lascio lì. Però mi rendo conto con fastidio che non mi era mai capitato di misurare le parole come in questo periodo. Non con tutti, ci mancherebbe, solo con alcuni insospettabili fino al lockdown. 

Se sono contenta cerco di non manifestarlo a queste persone che si inacidiscono all'istante e iniziano i commenti passivo-aggressivi solo perché mi godo il momento e ho voglia di compagnia. Ed è tutta gente che non ha fatto nemmeno un giorno di quarantena da sola in casa. Oppure che per vari cazzi ha avuto la possibilità di uscire anche se intasava le bacheche di #iorestoacasa. 

Un esempio tra tanti: ho ricevuto suggerimenti non richiesti su percorso e orario migliore per arrivare al supermercato "senza diffondere la malattia" (cit.). Per la cronaca: io ho fatto il test sierologico e sono risultata negativa, chi mi ha dato questo consiglio non ci pensa nemmeno a fare altrettanto. Lo stress unito all'incapacità di amministrarsi rende la vita difficile, mentre è molto più facile stare a sindacare su ciò che fanno gli altri

Adesso mi sento circondata. Ma forse esagero, sono poco propensa a sopportare. E vorrei anche vedere: dopo due mesi chiusa in casa da sola, diventare suscettibile mi pare il minimo sindacale. La legge italiana in tutte le sue emanazioni e il mio buon senso, sono le uniche due linee guida che seguo ora e che seguirò nei giorni a venire. Adesso abbiamo informazioni e acquisito comportamenti che all'inizio non conoscevamo, questo mi tranquillizza. 

Forse ha ragione il buon Zuliani quando dice che c'è tutta una categoria di persone che il lockdown è proprio cosa loro.


(*parafrasi di una cosa detta da Iggy Pop millemila anni fa che mi è rimasta impressa e oggi casca a fagiolo.)




Assaggi di libertà


Ieri sono uscita per la prima volta senza l'obbligo di andare solo a fare la spesa. Il Comune permette l'uscita per attività motorie.

Ho scelto di fare una passeggiata in centro. Era la prima cosa che mi ero ripromessa di fare, appena sarebbe tornato possibile.

Provo un senso di timore su quello che si può fare o no, forse ho davvero arredato il tunnel. Non sono mai sicura al cento per cento, le informazioni non sono mai precise. Eppure sono stata attenta a come e dove mi informavo, evitando per quanto possibile cloache e polemiche online, ma scegliendo accuratamente le fonti da seguire: quelle più ufficiali e giornali e giornalisti che seguo di solito e so essere affidabili, come il buon Francesco Costa del Il Post, per esempio.
Inoltre, il non avere più la tivvù in casa da una quindicina di anni, pensavo mi avesse aiutata a procurarmi gli anticorpi per scremare al volo le notizie.

Invece.

Sono uscita timorosa, con mille dubbi. Ho dovuto ripetermi che l'attività motoria è di nuovo permessa, è dunque ok uscire per camminare. Però il mio cervello è rimasto sul chi va là.
Era mia intenzione arrivare in centro e ritornare indietro. Un paio di ore abbondanti, ordinaria amministrazione durante le camminate pre-coronavirus. E così è stato.
Ho scartato l'idea di portare la macchina fotografica con me. Mi pareva una cosa inopportuna. Poi in centro ho visto un sacco di gente che [giustamente] faceva foto. Documentare un momento come questo è importante. La prossima volta la porto eccome. Nel frattempo mi sono accontentata dello smartphone.



Il centro è bellissimo, surreale, silenzioso. Quasi solenne, ma con una vena inquietante.

Mi è venuto in mente il meraviglioso The Leftovers quando la protagonista Nora Durst [spoiler alert!!!] alla fine riesce ad andare nell'altra dimensione, dove sono finiti i departed, e trova un mondo identico al suo, ma vuoto e infinitamente triste [fine spoiler].

In centro ho sentito la mancanza della musica e di quei rumori di sottofondo che ne definiscono il carattere e l'atmosfera. Centinaia di persone in una piazza fanno un rumore inconfondibile, che riascolteremo tra chissà quanto tempo.

Si era fatta l'ora di pranzo, ho comprato un pezzo di schiacciata al forno Sartoni, in via dei Cerchi. Poi l'ho mangiato di nascosto, mentre andavo verso piazza della Signoria. Mi sono resa conto che forse non ci si può fermare per mangiare. O forse sì. Boh. Le zone grigie sono quelle che temo di più: sono i luoghi dove il Comune fa cassa e dove diritti e doveri diventano discrezionali in base a convenienze e contingenze.

Ingollato l'ultimo morso, però, ho cominciato a sentirmi a mio agio. Ho percorso le strade in cui amo passeggiare di solito, con una goduria crescente. Ho evitato di andare in Oltrarno e passare dal Ponte Vecchio, ci andrò alla prossima uscita. Ho fatto poche foto solo perché a un certo punto mi sono dimenticata di farle.


E' stato bello.

Tornando verso Novoli mi sono fermata a fare la spesa. Alla coop hanno creato un percorso per la fila. Prima si girava intorno al piazzale e basta. Adesso c'è un percorso vero, fatto con bancali e nastro. Mi ricorda il percorso dei go-kart a pedali in qualche località di vacanza scrausa della mia infanzia. C'era un tizio in giacca con badge coop che spiegava ad altri dipendenti come posizionare la pista il giorno dopo. Ho preso atto della novità, poi sono tornata a casa.

Diario del 1 maggio



Da oggi in Toscana si può uscire per fare attività motoria. Non so come sia nel resto d'Italia. Non è che non mi interessi, è che non sono riuscita a capirlo. Ma a Firenze si può, se si esce a piedi partendo da casa e ritornandoci.

Attendevo questo momento dall'inizio della reclusione. Mi sono mancate le mie passeggiate che anche senza coronavirus di solito faccio da sola, senza interagire con nessuno. Il distanziamento sociale è parte di me.

Con la fine del divieto di passeggio ero convinta che sarei schizzata fuori casa e avrei camminato per un paio d'ore come ho sempre fatto nei fine settimana. Fino al covid-19, of course. A dire il vero, quando siamo entrati in lockdown pensavo che camminare da soli, con tutte le precauzioni del caso, avrebbe continuato ad essere possibile. Perché fa bene, riduce lo stress, perché la maggior parte di noi abita in case piccole ecc.

Poi sappiamo com'è andata.

Non recriminiamo. Per fatica, non per evitare polemiche. Torniamo a stamani. Mattinata fredda e nuvolosa.

Mentre alzavo gli occhi al cielo e ho deciso di rimanere a casa. "Forse esco dopo, nel pomeriggio" mi sono detta senza convinzione.

Ho preparato il tè coi biscotti ai cereali del Mulino Bianco. Inzuppavo i dischetti ai frutti rossi e riflettevo preoccupata: "Ho arredato il tunnel e non me ne sono neanche accorta".

Perché sono due mesi che voglio fare una passeggiata che non sia andare al supermercato più vicino cercando di metterci meno tempo possibile. Come tutti noi, del resto.

E allora perché mi è passata la voglia?

Depressione?
Ipotesi scartata subito. Non me la posso permettere la depressione.

Automatismi?
Ecco, precisamente. Credo si tratti di questo. Ho dovuto cambiare la mia routine da "anziana che ha i suoi rituali", e adesso mi ci sono abituata.

Ora sono qui a cercare di capire quante e quali sono le altre abitudini che ho perso e che mi toccherà ricostruire.

Tutto brutto?

No. Ci sono anche quelle (poche a dire il vero) abitudini che ho preso durante la quarantena e che non voglio perdere. Tipo cucinare di più, che è una cosa sana e mi dà una soddisfazione che avevo dimenticato.

Cibi-guida della pandemia

Melanzane, taralli, crostatine all'albicocca, banane.

Ho il forno rotto da mesi, altrimenti avrei panificato a raffica, come tutti. Credo.

Sono due giorni che sono ritornata al lavoro e sto già facendo bilanci sulla mia vita e il mio futuro. Me lo posso permettere. Ce lo possiamo permettere, adesso. Siamo ancora in un limbo, la tragedia economica che ha colpito l'azienda verrà fuori tra qualche settimana. Per adesso è concesso fantasticare bischerate del tipo: "basta, mollo tutto e vado [sostituire con località amena della nostra gioventù]", "prenderò in mano la mia vita e le cose cambieranno..." ecc.

Alla prima riunione in cui ci verrà chiesto di guardare l'abisso ritornerò all'istante in modalità terrorizzata e disposta a sopportare qualsiasi cosa pur di salvare il posto di lavoro. Per adesso però non ci voglio pensare. Preferisco sognare una vita implausibile nei sobborghi di Londra, col pub di quartiere a due passi. Si chiamano meccanismi di coping, mi dicono.

Riso carnaroli, arance spremute, prosciutto cotto, pere.


A futuri meme (se i meme hanno un futuro)

Oggi ho ricominciato a lavorare in ufficio. Un primo passo verso la normalità, qualunque cosa significhi in un momento come questo.

L'ufficio era deserto. Sono stata da sola per tutto il giorno, nella mia stanza. Con gli altri quattro o cinque presenti ci siamo salutati a distanza, senza chiederci nulla, come se non fosse passato un mese e mezzo dall'ultima volta. Sono state le ultime persone che conosco che ho salutato di persona all'inizio di questa cosa e sono le prime che ritrovo. Colleghi.

Ho passato un mese e mezzo da sola in casa e non è stato neanche tanto malaccio. Però adesso mi mancano gli amici. Le chat collettive, con gli aperitivi bevuti ognuno a casa sua, sono stati solo un pallido surrogato di vita. Ringrazio la tecnologia, certamente. Ma ora anche basta.

Non vedo i miei genitori da quasi due mesi. Meglio così, sarei stata autorizzata a raggiungerli solo in caso di emergenza. E grazie al cielo non c'è stata.

Sono stata tanto tempo a casa ma ora non mi sento riposata né sul pezzo. Ho vissuto la reclusione a velocità ridotta, una specie di letargo in veglia che non saprei definire altrimenti.

Pensavo che potendo andare a lavorare avrei anche potuto fare qualche passeggiata dove mi pare, ma a quanto pare no. Devo controllare però, non mi fido.

Se c'è una cosa che ho imparato in questi due mesi è che esiste tutta una categoria di persone che gode nel frustrare gli slanci altrui. Gente che sta male sempre, ma che in condizioni normali si mimetizza abbastanza bene. Invece la quarantena li ha attivati e la delazione del podista solitario li ha fatti splendere di una luce malata.

Di positivo c'è che ormai non si possono più nascondere.

Ne conosco alcuni così, in futuro cercherò di averci meno a che fare possibile.

Vendemmia di meme


Me li voglio ricordare i meme del coronavirus. Prime settimane.












Musica di merda

I primi giorni di isolamento era tutto un rimettere a posto. La Scimmia del Riordino, ce l'abbiamo avuta tutti. Poi è passata piuttosto in fretta, come ci garberebbe tanto che passasse questo virus.
Durante la Scimmia ho avuto la prima Grande Consapevolezza della quarantena che ancora mi fa sussultare all'improvviso o svegliare di botto borbottando improperi, come stamani. La prima Grande Consapevolezza è arrivata quando ho riordinato i cd. Ne ho tanti, ascolto sempre i soliti perché la maggior parte sono in un armadio a muro che fino al covid cercavo di aprire il meno possibile, l'interno mi ricordava le macerie dopo un crollo improvviso, una zona rossa fatta di cd, faldoni, arredi natalizi buttati alla rinfusa e ogni genere di suppellettile polverosa.
Adesso, dopo il Grande Riordino, apro quell'armadio almeno una volta al giorno e la visione mi rilassa, come un paesaggio di montagna. Ma mi rifiuto di ringraziare il coronavirus.




Comunque nel marasma ho rimesso a posto tutti i cd, spolverandoli a uno a uno, prendendo coscienza con orrore della musica di merda che ho accumulato negli anni. Una parola sola: imbarazzante.
Potrei fare la lista delle cose agghiaccianti, robe che un tempo davvero mi piacevano e adesso invece non capisco perché potessi aver avuto voglia di ascoltare certa roba. Un po' ci sta, perché si cambia, è normale. Tuttavia sono scioccata dalla quantità di cd improponibili.
Poi c'è una sezione ancor più grande, chiamiamola carpe diem, fatta di musica per lo più masterizzata su cd in cui spesso non c'è nemmeno la copertina, ma soltanto due parole scritte col pennarello direttamente sul disco che dovrebbero "evocarne" il contenuto. Si tratta di musica che ho ascoltato una tantum, per esempio, durante una vacanza, una festa, un momento particolarmente significativo: se avessi avuto il cd avrei potuto rivivere l'esperienza, sarebbe bastato mettere il disco nello stereo. Tipo souvenir dello spirito e della memoria. Funziona così solo in parte, almeno per me. Di alcuni cd mi ricordo la storia, altri sono diventati parte del mio presente, di altri ancora ho dimenticato tutto e oggi guardo disgustata tutta quella plastica.

Poi ho iniziato a rendermi conto che c'è pure un gruppo di Grandi Assenti da tenere in considerazione: i cd spariti. Alcuni mi ricordo di averli prestati in modo avventato nel corso degli anni.
L'amico frikkettone, personaggio ricorrente nel mio blog dell'epoca d'oro, ne ha presi un bel po' senza mai riportarne uno indietro. Altri li ho prestati e non ricordo più a chi, così non li posso reclamare. E via via che mi rendevo conto di che cosa mi manca, mi saliva il Grande Giramento di Scatole. Parliamo di una lista lunghissima fatta di Pink Floyd, Queen, Oasis, Mina, Metallica, Green Day, Jobim... Quello stesso giramento che mi ha fatta svegliare stamani - 25 aprile 2020 giornata fondamentale per la nostra democrazia, in piena era della pandemia globale - con un solo pensiero: a chi ho dato Arena dei Duran Duran? Quando l'ho prestato? Perché non è più qui? Per tutto questo tempo ho pensato che fosse finito nel marasma dell'armadio, ma adesso lì dentro c'è un giardino zen.
E la lista di cd mancanti si allunga. La vendetta sarà spietata.


 

Diario di inizio quarantena (col senno di poi): la Grande Noia

Diario del 14 marzo 2020 (col senno di poi)

Sono ancora sorda, ho fatto l'aerosol ma non è servito a nulla. Grande dibattito in chat, a quanto pare dovrei fare l'aerosol più spesso: mattina, pomeriggio e sera. Che palle. (Poi è passato da sé.)
Colazione: bananina, tè, biscotti salutari dell'Esselunga. Sono buoni, ma lasciano la segatura in bocca. Ho voglia di ricominciare a fare il caffè al mattino. Aggiunto caffè alla lista delle prossima spesa. (Adesso è un must, non riesco a capire come abbia fatto a prendere il tè per anni e anni. Ero impazzita, non c'è altra spiegazione.)
Guardato news su YouTube e letto un po' di giornali online.
Dalla finestra vedo che c'è un po' di gente in strada, in coda dal fornaio. La tramvia in funzione dà un senso di normalità. (Continua a darmi la stessa sensazione.)
Dopo colazione ho cancellato un po' di immagini dal cellulare. Praticamente tutti i meme che raccatto, mio malgrado, nei gruppi Whatsapp. Molti gruppi non li leggo più, ma i meme li rastrello ugualmente. Promemoria: rivedere impostazioni. (Ancora non l'ho fatto e continuo a raccattare mega su mega di cavolate.) Nell'opera di pulizia, sono andata a ritroso tra i file, ripercorrendo all'indietro la storia di questi ultimi giorni. Dagli appelli accorati, andrà tutto bene, state a casa ecc. di questi giorni, fino all'ironia ignara dei primi tempi di 'sto virus, quando il tutto doveva essere per forza una bischerata o una roba da cinesi.
Ho raccolto un numero impressionante di meme del tizio col barattolo della Nutella attaccato alla bocca con lo scotch, tipo mascherina. Ah ah. E poi anche di un altro tizio, seduto tra pacchi di Amuchina che guarda soddisfatto il malloppo, credo sia un personaggio di un telefilm che non ho mai visto. Questi sono, almeno nella mia bolla, i meme più gettonati dei primi tempi del coronavirus. (Nella bolla, Amuchina surclassata da Candeggina in un battibaleno.)



Ieri ho fatto 50 minuti di coda all'Esselunga. Non avevo mai avuto il frigo così pieno. (La me stessa del 21 aprile sorride intenerita: aspetta e vedrai, mia cara, adda passà 'a nuttata.)
Poi sono andata a comprare nel centro Vodafone una scheda marca Ho da 50gb da usare nel modem nuovo. Meglio abbondare coi giga di questi tempi.
Avevo provato ad acquistare la scheda al punto Iliad dentro il super, ma c'è solo un totem dove inserisci i dati e la sim ti arriva entro 14 giorni. Questo però lo capisci solo dopo aver fatto tutta la procedura che consiste anche nel registrare un piccolo video di autodichiarazione della propria identità. Un trauma. Quando mi sono rivista, inquadrata dall'alto, con i capelli sudaticci, la faccia grigia e i ciuffi bianchi in bella mostra mi sono spaventata. Faceva caldo, ero troppo coperta, però ho avuto un momento di autoconsapevolezza piuttosto pesante. Comunque 14 giorni non se ne parla, a me serve adesso la potenza dei giga.
Sono una donna anziana che sta per affrontare due settimane di autoisolamento, devo avere il traffico dati in ordine. (Non infierisco, mi abbraccio virtualmente.)
Allora ho deciso di fermarmi alla botteghina col nerd che mi ha spiegato tutte le possibilità di giga e sim, ed è stata la scelta migliore.
Ieri ho fatto anche la mia prima videochiamata con Whatsapp. O meglio: mi ha chiamata A. e poi si è aggiunta B.
Tutta contenta, dopo ho videochiamato anche i miei zii, che stanno in aperta campagna e tutta questa faccenda del coronavirus impatta poco sulle loro vite. (Per adesso, poi verranno seguiti dai vigili mentre sono a controllare le vigne e saranno esasperati dal sindaco - sceriffo che fa dirette Facebook a raffica per redarguire i cittadini indisciplinati che vanno nell'orto, MA senza mai dare spiegazioni sull'accesso a tamponi e mascherine. Adesso la zia non vede l'ora di andare a votare qualcuno meno scionno.)

Dopo provo a videochiamare i miei genitori. (Non l'ho ancora fatto, sono una persona orribile.)
Sono ansiosa, fumo troppo, ho paura soprattutto per i miei che sembrano ignorare la pericolosità di questa cosa che non andra bene come dicono, me lo sento.

Fine diario del 14 marzo 2020 (e del senno di poi 21 aprile).

Diario dalla reclusione

Riattivo questo blog per un motivo personalissimo. Stamani ho ritrovato una pagina del diario che dai primi di marzo era mia intenzione scrivere durante tutto il periodo dell'isolamento. Mi era sembrato un espediente azzeccato per ritornare a scrivere di cose personali, senza pubblicarle online, usando un vecchio blocco note ingiallito, chissene frega, solo per la soddisfazione che mi dà fissare i pensieri con le parole. E anche togliermi un po' di ruggine ché non sono più abituata a scrivere robe mie e ogni tanto mi manca, nonostante continui a scrivere online regolarmente, ma su altri argomenti. Temi che mi interessano, sia chiaro, però sono altro rispetto alla scrittura personale.

La buona intenzione del diario è durata un giorno, poi ho lasciato correre, vinta da quel senso di inquietudine e paura che ha preso il sopravvento durante il primo periodo della reclusione, quando ancora si pensava che tutta la questione coronavirus sarebbe durata un paio di settimane e rizzati.

Oggi, intorno al quarantesimo giorno, sono in preda a un'inquietudine più variegata che, oltre a comprendere il maledetto coronavirus, include anche il lavoro, la mia salute extra covid-19, alcune scadenze, una cosa che è saltata e su cui avevo lavorato un anno, alcuni genitori di amici che nel frattempo si sono ammalati.
Uno si sta riprendendo, un'altra è messa male e si trova dall'altra parte del mondo, in quel Massachusetts dove milizie private di invasati con le svastiche vanno a protestare contro le chiusure, imbracciando armi da assalto che gli rimbalzano sulle pance da birra.
Come si fa a consolare un'amica che sta perdendo la madre, senza poterla vedere ormai da settimane? In più, in un momento del genere, ritrovarsi con The Orange Man - come lo chiama lei - al potere e i nazisti del Massachusetts (semicit.) a giro incazzati è il non plus ultra della sfiga.

Poi penso che sono fortunata. Abito a Firenze e non nel Massachusetts. I miei genitori stanno bene, non li vedo da quasi due mesi e a loro va benissimo, hanno smesso di fare gli spavaldi ("te non mettere bocca, sappiamo noi come comportarci") da quando un loro amico è finito a Careggi con il covid e se l'è vista brutta.
Poi sono a casa mia, dove non ho mai passato così tanto tempo dall'età adulta. Ho fatto alcuni lavoretti, ho imparato a riparare cose che mai avrei pensato, tipo le prese elettriche, ho fatto mente locale su altre cose da fare appena riapriranno i tappezzieri e i mercatini dell'usato.

Però in queste settimane ho fatto una gran fatica a leggere. Proprio non ne avevo voglia. E sì che mi vanto di essere una lettrice attiva (mi sta antipatico usare "forte"), di macinare un libro dietro l'altro. Ecco, col coronavirus a tenermi in casa tutto il giorno mi è passata la voglia in un botto. Eppure era sempre stato il mio desiderio avere giornate tutte per leggere. Con la prospettiva reale di disporre di giorni e giorni chiusa in casa, mi è passata la voglia di libri in un attimo.
Leggendo sui social, non sono stata l'unica a sentirmi così. C'è un sacco di gente su Facebok sorpresa dal non riuscire a trovare la concentrazione né le motivazioni in un momento che, in teoria, sarebbe l'ideale. E nei commenti tantissimi confessavano le stesse difficoltà.

Alla fine ho vinto l'angoscia e sono riuscita a trovare di nuovo la voglia di leggere, usando un espediente casuale: i libri da "pilucco". Quelli che sai che ti piacciono e li apri a caso per leggerne qualche pagina, senza impegno, solo per il gusto di. Nel mio caso questi due:


Ottimi entrambi, sono stati l'apripista per farmi ritrovare la voglia di leggere.
Ed è stato un bene perché in questi giorni ho letto un libro favoloso che non anticipo, perché voglio scriverci un post a parte. Dico solo che mi ha donato ore di goduria pura.

Ecco, volevo riportare il diario di un mese fa, invece ho divagato, come ai vecchi tempi.

Meglio così.

Buone azioni quotidiane: il biglietto

Stamani ho fatto una buona azione, di cui mi sono parzialmente pentita subito.
Recap.
Sull'autobus era salita una signora anziana senza biglietto.
L'autista non ne aveva da vendere.
Succede spesso, forse l'Ataf dovrebbe mettere delle macchinette automatiche sugli autobus perché gli autisti odiano vendere i biglietti. Lo fanno sempre come se ti facessero un piacere. Li ho visti tante volte sbuffare e sospirare perché qualcuno aveva osato cercare di acquistare il biglietto a bordo.
Non so perché facciano così e neanche voglio saperlo, io sarei per bypassare l'umano senza tante remore: metti i soldi nella macchinetta e lei ti sputa il biglietto più il resto.
Tutto qui e fanculo all'autista.
Ma sto divagando.
Torniamo alla buona azione.
Dunque la signora era senza biglietto ed era preoccupatissima dei controlli. Pare che i controllori dell'Ataf siano parecchio stronzi. Ha chiesto se qualcuno avesse un biglietto da venderle. Tutti sono rimasti zitti.
Tutti tranne me.
Io signora, ho detto, tirando fuori un biglietto.
Ho cinque euro ha detto lei.
Non ho da farle il resto, ho risposto, però lo prenda lo stesso.
Grazie, ha detto lei prendendo il biglietto, ma come glielo pago?
Si figuri.
Ma mi dispiace, ha detto la signora mettendo il biglietto in tasca, senza timbrarlo.
Vabbè signora, se un giorno...
Ecco sì, se un giorno la ritroverò e lei avrà bisogno di un biglietto, glielo darò. Ha esclamato la vecchia, ispirata.
Eh no, signora, se un giorno lei incontrerà qualcuno, chiunque, senza biglietto, l'aiuterà. Ho puntualizzato.
In quel momento avrei dovuto fotografare la faccia della vecchiaccia mentre mi rispondeva: sì sì, come no.



Caffè corretto



La dentista mi aveva ordinato di mangiare morbido.
"Mangia solo roba morbida. Morbida, ci siamo capite?"
"Ok, no problem, figurati."
Poi, dio solo sa perché, ho divorato dei cereali, di quelli che neanche mi piacciono tanto, scheggiandomi il dente. Non l'otturazione, proprio un dente che ha iniziato a graffiarmi la lingua. E più la graffiava, più mi veniva da passarcela sopra, con vigore crescente mentre camminavo veloce per non arrivare tardi. Il tizio piuttosto conosciuto con cui avevo appuntamento al bar è rimasto interdetto quando gli ho sfoderato il mio miglior sorriso insanguinato. Mi ha detto:
"Stai sanguinando."
"Ma no, dove?"
"Dalla bocca".
Così sono andata in bagno e ho visto il sangue che aveva cominciato a raggrumarsi ai lati delle labbra. Senza perdere un altro secondo ho telefonato alla dentista, confessando la faccenda dei cereali. Mi ha preso un appuntamento, cazziandomi di brutto. Poi mi sono sciacquata la bocca e sono ritornata dal tipo che intanto stava ordinando un caffè. Io il mio l'ho preso corretto a grappa, per disinfettare. Non ha battuto ciglio nonostante fossero le 11:30 del mattino.

Quelle librerie color porpora alle stazioni della metro di Londra


Mi piace un sacco questa catena di microlibrerie a Londra: We Love Books. Niente di che, vendono solo best seller e sono l'equivalente del reparto libri delle edicole nostrane. Però le trovo accoglienti, tutte col loro color porpora, e mi ci fermo sempre per dare un'occhiata alle ultime uscite.
Questa si trova nella stazione di Hammersmith, per esempio.
Mi è tornato in mente tutto ciò, dopo aver passato un quarto d'ora dal giornalaio più triste e buio del mondo, in cerca di un Urania recentissimo ma, a quanto pare, introvabile.


Il cero


Ogni tanto entro in chiesa, anche se non sono credente. Di solito lo faccio per curiosità, altre volte per accendere un cero.
Lo faceva sempre mia nonna e io l'accompagnavo.
Si entrava nella chiesa, la nonna accendeva la candela; il tempo di un pater nostro e un segno della croce che si era già fuori, con la nonna che mi raccontava vita, morte e miracoli della persona per cui aveva acceso il cero.
Parenti sconosciuti, per lo più.
Mi affascinava questo rituale che ho fatto mio da sempre, anche se tra me e le faccende religiose non c'è proprio alcuna affinità.
Così ogni tanto mi fermo in una chiesa a caso per accendere una candela.
Ma, a differenza di quelle mirate della nonna, la mia è collettiva.
Vale per un tot di persone - di solito cinque - che non ci sono più, e a cui volevo bene.
Anzi, non è esattamente così: vale per un tot di persone che non ci sono più, e che mi mancano.
Così stamani sono entrata nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, all'angolo di via de' Cerretani.
Mi sono diretta verso uno dei candelieri in fondo, quelli coi ceri a 50 centesimi.
Ottimo, prezzo giusto.
A volte sono esosi 'sti preti, e ti chiedono 1 euro per una candela.
Inaccettabile.
Anche se, quando trovo i ceri così cari, mi faccio lo sconto da sola.
Cinquanta centesimi, però, mi è parso onesto.
L'ho acceso e ho pensato a cinque persone care, nominandole mentalmente una per una.
Mia nonna ha un posto fisso nella cinquina.
Si sono avvicinati due giovani turisti.
Una coppia di Roma.
Si guardavano intorno, parlottando tra loro a voce bassa. A un tratto lei si è bloccata, a bocca aperta, di fronte alla teca con la statua del Cristo.
- Amò
-...
- Amòòò... AMÒÒÒ
-Eh!
-Er Cristo... la faccia...
-...
- Nun ce posso crede
- Nooo!
- Uguale, eh? Gli devo mannà a foto subbito...
E la ragazza ha fatto la foto al Cristo, cercando di non farsi vedere da nessuno. Che poi sarebbe cercando di non farsi vedere da me, visto che c'èro solo io. Poi sono usciti riguardando la foto sul display e li ho sentiti ridere di gusto sul marciapiede, mentre si allontanavano.
Però a me è sembrato un Cristo come tanti altri.

Allora, che mi dicevi di Camilleri?



«Camilleri si è tutelato.»
«Chi?»
«Camilleri, lo scrittore. Quello di Montalbano, dai.»
«Sì, certo. Che ha fatto?»
«Dicevo: si è tutelato.»

Faccio fatica a ricordarmi come siamo entrati nel discorso.
Faccio fatica a ricordarmi di quale discorso si tratti.
Faccio anche fatica a ricordarmi perché sia entrata nella sua stanza.

Domenica mattina in libreria

Stamani mi sono fatta una passeggiata in centro con doverosa sosta in libreria, dove ultimamente la mia attenzione viene sempre catturata dalla sezione dei libri di cucina del momento, quelli più in voga, con i cuochi fighi.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...