Memorie di massima sicurezza di Mauro Antonio Miglieruolo


In un futuro che potrebbe essere prossimo, oppure lontanissimo, un uomo è chiuso in cella d'isolamento. Sta scontando una condanna per un crimine terribile, di un'efferatezza inaudita. Lui non ricorda quale sia questo crimine terribile, sa solo di essere un mostro perché tutti ne sono convinti.
Inizia con un racconto di segregazione "hardcore" il romanzo Memorie di massima sicurezza di Mauro Antonio Miglieruolo. È la storia di un uomo irrimediabilmente solo, della sua esperienza allucinata e allucinante, prima del carcere, poi da reietto nella megalopoli. Una trama in cui ritroviamo Blade Runner, Papillon, Kafka e una miriade di altre suggestioni che costruiscono questo romanzo durissimo, angosciante ma al tempo stesso metafora potente dell'esistenza alienata in cui spesso ci sentiamo imprigionati.

"I giorni e i mesi mi investono sempre uguali. Non si riesce a mettere radici, a comprendere come gli eventi evolvano, a stabilire costanti che siano feconde."

Una narrazione che è l'esplorazione cruda dell'aberrazione della vita, dell'isolamento cronico che condanna le nostre esistenze in un mondo che sentiamo sempre più distaccato.  

"Il reale appare d'una complessità e mostruosità tali da respingerci, da renderci ostili oltre che inermi. Da qui il ricorso sempre più massiccio a schemi, convenzioni, automatismi, banalità (l'era della semplificazione!)".

Il mondo del carcere è un inferno dove la Giustizia e l'Autorità sono ridotte al rango di teppisti umorali, bulli come va di moda dire oggi, carnefici "mai scesi dall'albero". Il protagonista non ha idea di che cos abbia commesso per meritare il carcere, ma al tempo stesso non è sicuro di essere innocente; si convince che se è in quella situazione un motivo ci deve essere anche se lui non sa quale sia, però è convinto che non avrebbe potuto essere altrimenti. 

"Non esistono vere scelte. Le circostanze ci sovrastano e ci guidano, impongono i loro meriti e demeriti, le loro contorte obbligazioni. Noi non agiamo, in effetti, siamo agiti. E la vera essenza della realtà è questa immensa sconsolata prigione".

Il protagonista vive in un mondo distopico, in cui la memoria collettiva dell'umanità è custodita in un misterioso Anello che sovrasta il cielo, incombe ma al tempo stesso ha una fragilità sconcertante. E qui l'associazione con il "grande black out" di Blade Runner 2049 è stata automatica. La volatilità della Rete a cui affidiamo sempre più i nostri ricordi e documenti è un tema affascinante che a mio avviso, forse, Miglieruolo poteva sviluppare un pochino di più, anche se poi mi rendo conto che il romanzo parla d'altro.

E di che cosa parla questo romanzo? In primo luogo è il racconto in soggettiva del protagonista, che continio a chiamare così perché non ne conosciamo il nome. Un lungo monologo interiore, con linguaggio crudo, tipico anche di altri scritti di Miglieruolo che - ricordiamolo - è uno tra gli autori italiani di fantascienza più conosciuti.
Il linguaggio brutale dell'orrore va di pari passo coi tanti altri orrori a cui assistiamo di continuo, ormai anestetizzati, dagli schermi dei nostri computer. Orrori che finoscono per confondersi l'uno con l'altro, come la pena di questo personaggio la cui narrazione allucinata dà vita a un incubo realistico. Perché è questa l'apetto di Memorie di massima sicurezza che mi ha atterrita: quanto Miglieruolo ci racconta potrebbe/sta succedendo adesso, da qualche parte del mondo; non è romanzo, non è finzione, ma incubo ricevuto per osmosi dal reale.
Memorie di massima sicurezza si compra sul sito di Elara Libri, casa editrice di nicchia, specializzata in fantascienza e horror.

Mauro Antonio Miglieruolo
Memorie di massima sicurezza
Edizioni Elara Libri, 2017
Blog dell'autore: miglieruolo.wordpress.com

Recruiting & Call Center


Una telefonata-tipo di call center è un algoritmo piuttosto semplice che ha lo scopo di individuare se l'interlocutore sia o meno il tipo di persona che si sta cercando e guidarne le risposte per conseguire lo scopo della telefonata.
In questo caso l'obiettivo era verificare che il malcapitato volesse davvero fare il piazzista a provvigioni e che avesse Skype per fare il colloquio con il dott. Carlo Gustavo che avrebbe fornito tutte le informazioni e sanato ogni dubbio fosse frullato nella testa della vittima prescelta.
Già il fatto che il tutto avvenisse esclusivamente tramite Skype avrebbe dovuto far insospettire i possibili candidati sulle reali condizioni dell'azienda che li stava contattando.
Io mi ero divertita come una matta quando i primi tempi Ridens faceva queste telefonate. Avevo ascoltato scambi terrificanti:
«Buongiorno sono Giada di SuperWeb. Parlo con il signor Volpe?»
«...»
«Bene, hihihi, la chiamo per quell'offerta di lavoro... no, quella a cui ha risposto. Si ricorda adesso?»
«...»
«Certamente, ma io la chiamavo solo per verificare la sua disponibilità a un colloquio via Skype con il responsabile delle risorse umane, dottor Carlo Gustavo. Lei è... d'accordo?»
«...»
«No, mi dispiace, niente telefoni, i colloqui li facciamo solo via Skype. Se vuole il lavoro lo deve installare, hihihi»
«...»
«Ihihihi, lei vada sul sito e segue le istruzioni, d'accordo?»
«...»

In momenti come questo la mia fiducia vacillante nel genere umano e nel sistema di cui facevo parte, migliorava un po' perché molti si accorgevano della fregatura, la mandavano a quel paese e la cosa finiva lì.
Ma c'erano alcuni di quei disgraziati, vuoi per disperazione, vuoi per ingenuità, vuoi per altri motivi che non riuscivo nemmeno a immaginare, che abboccavano all'amo come grosse carpe stupide.
Durante quelle telefonate, Ridens doveva prendere l'appuntamento su Skype ed evitare, pena i cazziatoni atomici di Walter, di dire che si trattava di un lavoro di piazzista a provvigioni incerte e paga miserrima. Quest'ultima spesso a discrezione del titolare.
Ed ecco spiegata la necessità dello psicologo: con questo sistema acchiappacitrulli il turn‑over dei venditori era spaventoso. Niente a che vedere, dunque, con l'espansione dell'azienda. Invece si trattava di una modalità tritacarne che necessitava di venire alimentata in continuazione con materiale umano “poco esigente e poco intelligente”, reclutato in massa con metodi da pesca a strascico.


Tratto da L'Alba dei Farabutti.



 

Buone azioni quotidiane: il biglietto

Stamani ho fatto una buona azione, di cui mi sono parzialmente pentita subito.
Recap.
Sull'autobus era salita una signora anziana senza biglietto.
L'autista non ne aveva da vendere.
Succede spesso, forse l'Ataf dovrebbe mettere delle macchinette automatiche sugli autobus perché gli autisti odiano vendere i biglietti. Lo fanno sempre come se ti facessero un piacere. Li ho visti tante volte sbuffare e sospirare perché qualcuno aveva osato cercare di acquistare il biglietto a bordo.
Non so perché facciano così e neanche voglio saperlo, io sarei per bypassare l'umano senza tante remore: metti i soldi nella macchinetta e lei ti sputa il biglietto più il resto.
Tutto qui e fanculo all'autista.
Ma sto divagando.
Torniamo alla buona azione.
Dunque la signora era senza biglietto ed era preoccupatissima dei controlli. Pare che i controllori dell'Ataf siano parecchio stronzi. Ha chiesto se qualcuno avesse un biglietto da venderle. Tutti sono rimasti zitti.
Tutti tranne me.
Io signora, ho detto, tirando fuori un biglietto.
Ho cinque euro ha detto lei.
Non ho da farle il resto, ho risposto, però lo prenda lo stesso.
Grazie, ha detto lei prendendo il biglietto, ma come glielo pago?
Si figuri.
Ma mi dispiace, ha detto la signora mettendo il biglietto in tasca, senza timbrarlo.
Vabbè signora, se un giorno...
Ecco sì, se un giorno la ritroverò e lei avrà bisogno di un biglietto, glielo darò. Ha esclamato la vecchia, ispirata.
Eh no, signora, se un giorno lei incontrerà qualcuno, chiunque, senza biglietto, l'aiuterà. Ho puntualizzato.
In quel momento avrei dovuto fotografare la faccia della vecchiaccia mentre mi rispondeva: sì sì, come no.



Caffè corretto



La dentista mi aveva ordinato di mangiare morbido.
"Mangia solo roba morbida. Morbida, ci siamo capite?"
"Ok, no problem, figurati."
Poi, dio solo sa perché, ho divorato dei cereali, di quelli che neanche mi piacciono tanto, scheggiandomi il dente. Non l'otturazione, proprio un dente che ha iniziato a graffiarmi la lingua. E più la graffiava, più mi veniva da passarcela sopra, con vigore crescente mentre camminavo veloce per non arrivare tardi. Il tizio piuttosto conosciuto con cui avevo appuntamento al bar è rimasto interdetto quando gli ho sfoderato il mio miglior sorriso insanguinato. Mi ha detto:
"Stai sanguinando."
"Ma no, dove?"
"Dalla bocca".
Così sono andata in bagno e ho visto il sangue che aveva cominciato a raggrumarsi ai lati delle labbra. Senza perdere un altro secondo ho telefonato alla dentista, confessando la faccenda dei cereali. Mi ha preso un appuntamento, cazziandomi di brutto. Poi mi sono sciacquata la bocca e sono ritornata dal tipo che intanto stava ordinando un caffè. Io il mio l'ho preso corretto a grappa, per disinfettare. Non ha battuto ciglio nonostante fossero le 11:30 del mattino.

Quelle librerie color porpora alle stazioni della metro di Londra


Mi piace un sacco questa catena di microlibrerie a Londra: We Love Books. Niente di che, vendono solo best seller e sono l'equivalente del reparto libri delle edicole nostrane. Però le trovo accoglienti, tutte col loro color porpora, e mi ci fermo sempre per dare un'occhiata alle ultime uscite.
Questa si trova nella stazione di Hammersmith, per esempio.
Mi è tornato in mente tutto ciò, dopo aver passato un quarto d'ora dal giornalaio più triste e buio del mondo, in cerca di un Urania recentissimo ma, a quanto pare, introvabile.


Il cero


Ogni tanto entro in chiesa, anche se non sono credente. Di solito lo faccio per curiosità, altre volte per accendere un cero.
Lo faceva sempre mia nonna e io l'accompagnavo.
Si entrava nella chiesa, la nonna accendeva la candela; il tempo di un pater nostro e un segno della croce che si era già fuori, con la nonna che mi raccontava vita, morte e miracoli della persona per cui aveva acceso il cero.
Parenti sconosciuti, per lo più.
Mi affascinava questo rituale che ho fatto mio da sempre, anche se tra me e le faccende religiose non c'è proprio alcuna affinità.
Così ogni tanto mi fermo in una chiesa a caso per accendere una candela.
Ma, a differenza di quelle mirate della nonna, la mia è collettiva.
Vale per un tot di persone - di solito cinque - che non ci sono più, e a cui volevo bene.
Anzi, non è esattamente così: vale per un tot di persone che non ci sono più, e che mi mancano.
Così stamani sono entrata nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, all'angolo di via de' Cerretani.
Mi sono diretta verso uno dei candelieri in fondo, quelli coi ceri a 50 centesimi.
Ottimo, prezzo giusto.
A volte sono esosi 'sti preti, e ti chiedono 1 euro per una candela.
Inaccettabile.
Anche se, quando trovo i ceri così cari, mi faccio lo sconto da sola.
Cinquanta centesimi, però, mi è parso onesto.
L'ho acceso e ho pensato a cinque persone care, nominandole mentalmente una per una.
Mia nonna ha un posto fisso nella cinquina.
Si sono avvicinati due giovani turisti.
Una coppia di Roma.
Si guardavano intorno, parlottando tra loro a voce bassa. A un tratto lei si è bloccata, a bocca aperta, di fronte alla teca con la statua del Cristo.
- Amò
-...
- Amòòò... AMÒÒÒ
-Eh!
-Er Cristo... la faccia...
-...
- Nun ce posso crede
- Nooo!
- Uguale, eh? Gli devo mannà a foto subbito...
E la ragazza ha fatto la foto al Cristo, cercando di non farsi vedere da nessuno. Che poi sarebbe cercando di non farsi vedere da me, visto che c'èro solo io. Poi sono usciti riguardando la foto sul display e li ho sentiti ridere di gusto sul marciapiede, mentre si allontanavano.
Però a me è sembrato un Cristo come tanti altri.

La caccona di Piazza della Signoria


Mi ricorda una pila di deiezioni canine. Penso che la precedente copertura con l'enorme sacco della spazzatura facesse già parte dell'installazione, o comunque era molto in tema. Di positivo ci sono il posto per sedere sul piedistallo e la consueta indignazione cittadina che mi diverte sempre molto.

Poi scopro che Big Clay #4, questo è il nome dell'enorme scultura di Urs Fisher, rappresenta quel momento "pre-artistico" in cui lo scultore prepara i pezzi di argilla da cui ricaverà l'opera. Questa enorme, inquietante scultura di acciaio e alluminio, è una gigantografia di quanto una volta c'era sul tavolo da lavoro di Urs, con tanto di impronte digitali.

Mi piace di più dopo averlo saputo? Non so. Certo che adesso la guardo con occhi incuriositi, sperando che il prossimo artista che ospiteremo in Piazza della Signoria sia un po' meglio.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...