Sapiens. Da animali a dèi: Breve storia dell'umanità di Yuval Noah Harari (Recensione)


Ho finito di leggere Sapiens. Da animali a dèi: Breve storia dell'umanità scritto da Yuval Noah Harari, edizione Bompiani.
A mio avviso è una lettura goduriosa e al contempo indispensabile. L'autore dipinge il quadro delle nostre origini in maniera magistrale, come non avevo mai letto. È un libro di intrattenimento, e fa il suo lavoro nel miglior modo, scrittura notevole e scorre che è un piacere, grazie alla traduzione di Giuseppe Bernardi.
Questa è la nuova edizione riveduta, probabilmente per sistemare alcuni punti controversi che avevano scatenato qualche polemica nella prima uscita.
Per quanto mi riguarda è stata una lettura piacevolissima che mi ha fatto venir voglia di approfondire certi argomenti. Come dice il sottotitolo, Harari fa una breve storia dell'umanità, partendo dalle tribù primitive di cacciatori e raccoglitori, seguendone migrazioni e sviluppi per il mondo, per arrivare all'essere umano attuale che grazie a tecnologia e conoscenza inizia a trascendere il proprio corpo fisico.
Bel libro, lo consiglio a chiunque, è avvincente e denso :-) Una lettura imprescindibile, almeno per me che ingnoravo un sacco di cose.
Voto cinque banane da dividere con i nostri cari antenati scimmie
🍌🍌🍌🍌🍌

Dimenticabile momento Zeitgeist: link per comprare Sapiens su Amazon sostenendo questo blog Sapiens. Da animali a dèi: Breve storia dell'umanità. Altrimenti compratelo dove preferite (io l'ho preso alla IBS di via Cerretani andandoci a piedi in una splendida passeggiata post-lockdown, per esempio).

Sul ritorno alla cosiddetta normalità: anatomia di un bar preferito qualsiasi

Com'è bella Firenze senza turisti. 
Siamo sull'orlo della catastrofe economica, certo, 
ma la città in questi giorni è una meraviglia.

Sono stata a prendere un caffè nel mio bar preferito, finalmente hanno riaperto.

Adesso il bar funziona così.

Si entra con lo sguardo basso perché si devono seguire i segni sul pavimento fatti col nastro adesivo e prendere confidenza con le nuove misure.
Il posto è lo stesso di sempre, tuttavia adesso è differente. In senso distopico, intendo.
Due corsie nel corridoio che era già stretto di suo, ma nessuno ci aveva mai fatto caso tranne, forse, nelle ore di punta, ma in fondo sticazzi.
Sticazzi nel mondo di prima.
Invece ora salta all'occhio subito quanto sia stretto quel corridoio: da una parte si entra, dall'altra si defluisce. Il tutto uno alla volta.

Per terra ci sono anche delle croci, sempre fatte con il nastro, che indicano dove si può sostare in piedi per consumare. Le croci segnano i pochi posti disponibili di fronte al bancone, mentre tutto il resto del locale non è agibile.
In compenso non ho notato plexiglass, forse solo un poco di fronte alla cassa.

Allora sono entrata, ho salutato sorridendo (tra mascherina e occhiali non so quanto si sia visto), mi sono avvicinata al bancone, ho chiesto un caffè, che ho consumato con la mascherina abbassata e gli occhi chiusi.
Il rumore nel bar non è lo stesso di sempre, non c'è verso di ingannare il cervello.

Ho messo giù la tazzina e fatto un passo laterale per posizionarmi coi piedi sulla X di nastro adesivo di fronte alla cassa.
Ho rivolto un'occhiata ai posti a sedere dove altro nastro adesivo, distribuito con abbondanza, ne segnalava l'indisponibilità.

"Ancora non siamo sicuri come dobbiamo comportarci," hanno detto quelli del bar tra l'intimorito e il malinconico.
E li capisco, le zone grigie sono quelle dove il Comune pascola.
Specialmente in questo periodo di crisi.
Ho pagato, ho salutato dicendo che ero contenta di vederli e poi sono uscita tenendo d'occhio lo scotch sul pavimento.
All'aria aperta, nonostante il bar fosse tutto aperto, ho respirato a pieni polmoni.

Mi sa che questa normalità ce la dobbiamo conquistare di nuovo, e non sarà così semplice e non sarà così uguale a prima.

Ma neanche tanto diversa (ma su questo punto ci scrivo un post a parte).

Cosa ci rimane addosso?

Cosa rimarrà addosso dopo la clausura?

Ci penso un secondo, la domanda è pertinente.
A ben guardare ci sono delle cose che già sono cambiate nella mia vita. Piccole cose, ma su cui vale la pena soffermarsi un attimo, solo per mettere i puntini sulle i.
Tipo la qualità, oltre alla quantità, del tempo che passo a casa. 
Prima del coronavirus a casa ci stavo per le cose strettamente necessarie: dormire, lavatrici, pochi pasti. Tutto qui. Per il resto via via via, fuori il più possibile.
Negli ultimi anni sempre peggio.
Non so perché.
Adesso in casa ci passo più tempo.
All'inizio per forza di cose, naturalmente.
Ora, invece, perché mi fa piacere.
Ho superato quella certa soglia che un tempo mi terrorizzava molto più del covid: lo stare da sola e stare bene per questo.
Il "bastarsi" l'ho sempre visto come un punto di non ritorno esistenziale.
Adesso lo vedo come una fase. Come società ora sappiamo che possiamo stare chiusi in casa per due mesi e piano piano ritornare alla normalità.
Qualunque sia la normalità d'ora innanzi.
Sarà interessante scoprirlo.
Quindi addio teoria del non ritorno esistenziale.

Prima del covid non sapevo rispondere alla domanda "come ti vedi tra cinque anni?".
Domanda fondamentale ai colloqui di lavoro, ma che ha anche senso porsi di tanto in tanto per conto proprio. Lo facciamo tra amiche, per esempio.
Ecco, io non riuscivo più a rispondere, rimanevo interdetta e di malumore.
Il motivo era perché misuravo la prospettiva del futuro basandomi sul passato.
Mi spiego meglio, è una cosa di cui mi sono resa conto da poco. Andando indietro nel tempo, cinque, dieci anni fa, mi rendevo conto quanto poco fosse cambiato nella mia vita e inferivo su quanto poco sarebbe cambiato.
Un determinismo pessimista, frutto del precariato e della crisi che la quarantena ha smontato in gran parte. Se mi fai la domanda adesso, infatti, i malumori non si sono dissipati del tutto, ma almeno so rispondere. Ho capito qual è la direzione che voglio prendere, niente di che, piccoli progetti che non erano all'orizzonte due mesi fa. Piccole cose che cercherò di realizzare piano piano, tenendo stretto quello che ho adesso, ché con la crisi che ci sta piombando tra capo e collo, non è il caso fare colpi di testa. Alla mia età, poi.

Se qualcuno passa di qui (ho sempre il dubbio dopo gli anni di abbandono), mi piacerebbe tanto ascoltare altre esperienze e punti di vista.


A proposito di niente, l'autobiografia di Woody Allen


Quando è iniziato il lockdown pensavo che sarebbe stato una passeggiata per noi amanti della lettura: lunghe giornate a disposizione, con l'obbligo di stare in casa. Il paradiso del lettore. Invece è stato un purgatorio, ho avuto difficoltà enormi per riuscire a vincere il senso di angoscia e di paura, e finalmente immergermi come si deve in un libro. L'avere per le mani il libro giusto ha aiutato molto: A proposito di niente, splendida autobiografia di Woody Allen pubblicato da La Nave di Teseo e tradotto da Alberto Pezzotta.


Woody segue il suo flusso di coscienza, mentre ti costruisce in testa il suo mondo. Racconta quello che gli va, in una narrazione sapiente che è pura goduria. Va avanti anticipandoti un dettaglio, ritorna indietro completando un quadro, e ti piazza l'aneddoto pazzesco al punto giusto. Forse bisogna essere appassionati dei film e dei libri di Mr. Allen per godere così tanto di questa lettura, non so. So solo che da subito ho iniziato a dosarmi le pagine per non finirlo troppo in fretta. E tra qualche mese ho intenzione di rileggerlo.

WA racconta la genesi dei suoi capolavori cionematografici con spirito critico e devi sforzarti di far mente locale per ricordarti che no, non stiamo parlando di filmetti qualunque, ma di pietre miliari della storia del cinema. (Non tutti, lo so).
Lui si schermisce, evidenzia i difetti, le storture, le cose strane, non è mai soddisfatto. Per certi versi mi ricorda la modestia trasmessa da Agassi in Open.
Mr. Allen ci parla con generosità dei personaggi con cui ha lavorato, stelle e leggende dello spettacolo, tantissimi. Poi ci sono gli altri personaggi: c'è l'attico su Central Park da cui vede il susseguirsi delle stagioni, i locali frequentati, l'amore per New York e tutto ciò che offre nato nei primi anni di fughe downtown. Scopro che le riprese dei fuochi d'artificio esaltate dalla Rapsodia in Blu di Gershwin all'inizio di Manhattan sono state fatte per caso, la troupe era al posto giusto nel momento giusto. E anche che è tutta la vita che mr. Allen usa la stessa macchina da scrivere.

C'è anche la vicenda dell'accusa di molestie alla figlia, riportata a mio avviso in modo più trasparente di quanto non abbia fatto Ronan Farrow (ho letto anche Predatori). Woody si scusa di toccare l'argomento, "devo parlare anche di questo", ed ecco la sua verità, corroborata anche dal fatto che non ci siano mai stati processi e che le accuse siano cadute. Ci sono i racconti dei figli adottivi di Mia Farrow, lei ne esce malissimo e capisco perché Ronan abbia voluto bloccare il libro dove si racconta una Mia psicopatica che maltratta i figli adottivi e plagia i due naturali inculcandogli una storia orribile e inventata di sana pianta. Il ripensamento sulla pubblicazione di Aprops of Nothing non fa molto onore alla Hachette.

Il libro è bellissimo.

Voto 5 fuochi d'artificio su Manhattan, durante una notte in bianco e nero
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La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

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