Attese viperine e foodblogger

Il sentimento di attesa è una costante venefica, mentre si propaga anestetizza. Tutto muore e rimuore. 

Mi alzo con questi pensieri, dopo una notte agitatissima e affollata di zanzare.

Decido di andare a godere delle ore di "fresco-per-modo-di-dire". 

Il programma della giornata offre due passi in centro, poi sprangata in casa nelle ore calde, come consigliano i tiggì.

La mia estate.

Sudo e m'idrato,
m'idrato e sudo.

C'è caldo a un livello non ancora letale, ma ci siamo quasi, meglio concentrare il programma. Caffè da Paszkowski, giro in libreria, capatina in San Lorenzo, sosta di Santa Maria Novella per breve lettura delle newsletter del sabato, la spesa al Conad del Ponte Vecchio.

Perché non ci sentiamo migliori come pensavamo? Se lo chiede l'autore di Zio in una riflessione post-covid con cui introduce la trap lucana, il tema della settimana. Sono molto simili ai paninari dei mitici Ottanta, questi trappers, concludo scorrendo le immagini di giovani col piumino monclair.
 
Perché non ci sentiamo migliori come pensavamo?

Anche per me è un po' un pensiero fisso – ne ho già parlato altre volte – quello di capitalizzare i due mesi di lockdown che ho trascorso da sola in casa. Vedo quel periodo come un patrimonio che in qualche modo occorre che valorizzi, sennò è stato solo tempo perso. E sento che non è così, però mi sfugge il modo di... eccetera.

In mancanza di riflessioni adeguate, la butto in vacca sullo scontato: piccoli passi, piccole cose.

Prima di tutto il mainstream.

Oggi mangio tofu alla pizzaiola, ma prima lo fotografo così questo spazio possa insidiare l'empireo del foodblogging.

Io il tofu lo faccio con i pomodorini, come suggerisce la ricetta sulla scatola. Forse questo non dovrei scriverlo, e invece inventarmi una ricetta con solida ascendenza e narrativa adeguata.

Lo facevo anche quando avevo il blog su Splinder, oltre la quindicina di anni fa. Inventavo ricette e ci chiosavo assurdità intorno. L'abbozzai quando qualcuno provò sul serio a cucinare ciò che avevo scritto e non rimase contentissimo ーpagherei non so che cosa per ricordarmi che roba fosse.
All'epoca non c'erano ancora le gogne sui social (non c'erano neanche i social), ma solo chiassosa vivacità nei commenti sul blog.

Non so perché mi sia venuto in mente tutto ciò, adesso.

Dicevo, prima di tutto il mainstream.

Hashtag e emoji.

#Foodblog 🍅🍉

Segue la foto del pasto.
L'immagine mi proietterà nell iperuranio dei food blogger. Anche se, a riguardarla adesso, mi fa già un po' schifo.


2 commenti:

  1. No, decisamente come foodie non mi risulti convincente. Sarà che aborro (mughianamente) il tofu, sarà che pure gli ormai onnipresenti e santificati pomodorini sono come la rucola negli anni '90 che te li ritrovi ovunque, sarà che...No, dai, la foto si può sempre migliorare ma è proprio la sostanza a non sostenerti come aspirante food blogger (sto solo cercando di evitarti un destino banale su IG, sia chiaro...)
    Però ti riconosco un merito: non hai schiaffato nell'intruglio di pomodorini (rossi) e tofu (bianco) anche l'avocado, la cui unica ragione d'esistenza pare essere il suo colore verde, che oltre a dare un bel contrasto patriottico viene pure bene in foto, e però la dice tutta su come ci siamo ridotti...
    (Sto leggendo una raccolta di Cèline, il quale sostiene, nel 1959, quindi ben lontano da gastrofighetti&co, che gli uomini - te la faccio breve ma il pensiero completo mi ha dato parecchio da pensare - "non sono altro che apparecchi digerenti")

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    1. Ammiro i foodblogger, io sono golosa, appena mi siedo a tavola mangio senza ritegno. Ora che mi ci fai pensare, non compro un avocado da un paio di estati. Se me lo ricordo la prossima volta che vado al supermercato ne prendo uno. Comunque non mi sarebbe mai venuto in mente di metterlo col tofu che lo so fare solo alla pizzaiola, la ricetta base sulla confezione. Cèline aveva ragione! :-)

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