Numeri e zombi.
Questo blog ha 132 post pubblicati. Anzi 133, comprendendo anche questo. Poi ha 534 commenti che non sono una gran quantità; io sono un po' assente, il network per funzionare va curato e purtroppo non ho il tempo che vorrei. Questo blog ha pure la bellezza di 84 bozze di post. Tutta roba che ho iniziato a scrivere e che non ho mai finito per i soliti motivi: mancanza di tempo, fine dell'ispirazione, telefonata inopportuna che distoglie, telefilm la mia droga, amnesia geriatrica, maledetti social network, oppure un classico dell'accumulo in bozza: il post andato a male. Perché è cosa risaputa: la maggior parte dei post nei blog son longevi come le mozzarelle di bufala fuori dal frigo, in una giornata d'estate. Adesso, per esempio ho scordato quel che volevo scrivere all'inizio, ma oggi non metto in bozza: pubblico e via; chi c'è, c'è. Vado di fretta ho gli ultimi 7 minuti di The Walking Dead s.3 ep.11 da vedere prima di uscire e gli zombi son creaturine simpatiche che mi mettono il buon umore addosso, soprattutto in una giornata uggiosa e piovosa come questa.
Letture: Mu di Tommaso Labranca
Qualche sera fa, uscendo dalla fiera di Rimini, mi sono trovata davanti le quattro torri illuminate di azzurro che si stagliavano, perfettamente ortogonali, sulla neve appena caduta e mi sono chiesta: chissà se Mu avrebbe apprezzato la geometrica semplicità dell'ingresso di Rimini Fiera sotto la neve?
Chi è Mu? Mu è il personaggio che dà il titolo all'ultimo romanzo di Tommaso Labranca. Mu è un ragazzo trentenne che vive con la madre e la sorella in un paesino dell'entroterra molisano. Mu è solo, quasi un alieno nel suo ambiente familiare e fa un lavoro squallido. Mu medita la fuga, vuole andare via per mettersi alla ricerca dell'Iperborea, luogo mitico dal sapore nordico che si è costruito in testa e che adesso vuole ritrovare anche nel mondo reale.
È il racconto di questo viaggio, dei luoghi e dei personaggi incontrati durante la ricerca di quel mondo dalla geometria perfetta in cui iniziare una nuova vita. Il viaggio di Mu ricalca il pellegrinaggio mistico e comincia con la decisione di bruciare la risaia per poi andare alla ricerca di quell'isola che non c'è e che invece si potrebbe nascondere dietro l'angolo. Mu non sa dove si trovi Iperborea e così inizia a cercarla con pazienza, liberandosi a poco a poco del caos cafone delle forme della contemporaneità che lo assillano e che sono l'ostacolo principale nella sua ricerca del vuoto e dell'ordine geometrici. Perché Mu aspira ad ambienti ed atmosfere essenziali, accoglienti, illuminati da luci calde e circondati da paesaggi nordici ghiacciati. Nel suo percorso incontra tanti personaggi più o meno coatti, guidati da dinamiche mainstream e televisive, come il tizio alternativo dei centri sociali, archetipo di un certo tipo di personaggio che ci sarà capitato a tutti noi di incontrare innumerevoli volte.
Ho trovato il racconto delicato e tanto spassoso. Mi ha ricordato un po' il Piccolo Isolazionista, anche se questa è una fiaba contemporanea molto tenera con punte di umorismo e con un retrogusto di leggero cinismo che ho gradito molto.
Le atmosfere nordiche a cui Mu anela e che alimenta grazie alle sporadiche letture e agli ascolti musicali secondo me rappresentano quel desiderio che abbiamo tutti di riuscire a trovare quel posto speciale che abbiamo in testa e che ci siamo costruiti con la fantasia (ce l'ho anche io ma non lo dico, sennò divago troppo).
Mu si trova in ebook su ultima books (credo anche altrove, io l'ho comprato lì). Sto aspettando l'uscita del cartaceo (a questo punto per puro feticismo e giammai che mi manchi un libro di Tommaso Labranca).
Rileggendo il tutto mi rendo conto di essere una frana a scrivere di libri (anche di telefilm, ogni tanto ci provo ma non è il caso). Invidio fino alla vergogna i ragazzi di serialmente.com che sono uno più bravo dell'altro. Io invece quando mi vien voglia di scrivere di qualcosa che ho apprezzato per condividerla ho sempre la sensazione di far più male che bene. Tuttavia sono recidiva e Mu è da leggere.
Chi è Mu? Mu è il personaggio che dà il titolo all'ultimo romanzo di Tommaso Labranca. Mu è un ragazzo trentenne che vive con la madre e la sorella in un paesino dell'entroterra molisano. Mu è solo, quasi un alieno nel suo ambiente familiare e fa un lavoro squallido. Mu medita la fuga, vuole andare via per mettersi alla ricerca dell'Iperborea, luogo mitico dal sapore nordico che si è costruito in testa e che adesso vuole ritrovare anche nel mondo reale.
È il racconto di questo viaggio, dei luoghi e dei personaggi incontrati durante la ricerca di quel mondo dalla geometria perfetta in cui iniziare una nuova vita. Il viaggio di Mu ricalca il pellegrinaggio mistico e comincia con la decisione di bruciare la risaia per poi andare alla ricerca di quell'isola che non c'è e che invece si potrebbe nascondere dietro l'angolo. Mu non sa dove si trovi Iperborea e così inizia a cercarla con pazienza, liberandosi a poco a poco del caos cafone delle forme della contemporaneità che lo assillano e che sono l'ostacolo principale nella sua ricerca del vuoto e dell'ordine geometrici. Perché Mu aspira ad ambienti ed atmosfere essenziali, accoglienti, illuminati da luci calde e circondati da paesaggi nordici ghiacciati. Nel suo percorso incontra tanti personaggi più o meno coatti, guidati da dinamiche mainstream e televisive, come il tizio alternativo dei centri sociali, archetipo di un certo tipo di personaggio che ci sarà capitato a tutti noi di incontrare innumerevoli volte.
Ho trovato il racconto delicato e tanto spassoso. Mi ha ricordato un po' il Piccolo Isolazionista, anche se questa è una fiaba contemporanea molto tenera con punte di umorismo e con un retrogusto di leggero cinismo che ho gradito molto.
Le atmosfere nordiche a cui Mu anela e che alimenta grazie alle sporadiche letture e agli ascolti musicali secondo me rappresentano quel desiderio che abbiamo tutti di riuscire a trovare quel posto speciale che abbiamo in testa e che ci siamo costruiti con la fantasia (ce l'ho anche io ma non lo dico, sennò divago troppo).
Mu si trova in ebook su ultima books (credo anche altrove, io l'ho comprato lì). Sto aspettando l'uscita del cartaceo (a questo punto per puro feticismo e giammai che mi manchi un libro di Tommaso Labranca).
Rileggendo il tutto mi rendo conto di essere una frana a scrivere di libri (anche di telefilm, ogni tanto ci provo ma non è il caso). Invidio fino alla vergogna i ragazzi di serialmente.com che sono uno più bravo dell'altro. Io invece quando mi vien voglia di scrivere di qualcosa che ho apprezzato per condividerla ho sempre la sensazione di far più male che bene. Tuttavia sono recidiva e Mu è da leggere.
Spleen del ritorno a casa
baite nella neve (*)
Sono stata via, in un luogo con la neve che può cadere quanto le pare: tanto non blocca la città. Esperienze nuove queste. Sono ritornata a Firenze e sono triste come tutte le volte che ritorno a casa. È una tristezza nervosa, la mia, una sorta di riflesso condizionato dall'accumulo ad libitum di caterve di rotture di scatole quotidiane, mi ha spiegato una voce professionale amica, durante un aperitivo piuttosto alcolico in cui chiedevo lumi sul mio perenne spleen del ritorno. Di solito accade il contrario, come quasi tutta la letteratura insegna... Mentre ero via ci sono state le elezioni con: l'avvento di Grillo, l'arrivo dei "grillini" a Roma, la giacca a vento di Grillo. Confesso che mi piaceva molto quella giacca perché tiene calda la faccia e ripara dal vento. Poi però ho scoperto che costa troppo per i miei standard e allora non me la posso permettere. Dovrei fondare un partito per migliorare la mia situazione finanziaria. Oppure potevo fare un podcast e candidarmi anche io: se ce l'ha fatta tal Paolo Bernini chiunque avrebbe avuto chance...
(*) ho scelto questa immagine per l'idea di calma che riesce a dare. In realtà non sono un'amante dei posti isolati e difficilmente accessibili. In un luogo del genere mi romperei le scatole e tenterei il ritorno alla civiltà dopo non più di mezz'ora...
Colazione con uno sguardo al futuro prossimo venturo
Quando mi chiedono di pensare a come sarà la mia tra cinque anni, un brivido freddo percorre tutta la mia schiena e devo distogliere la mente per non cadere in défaillance nervose imbarazzanti.
Fuga dalla scuola media* (riprendo il discorso #bullismo)
A grande richiesta di una lettrice lurker d'annata (un'email e un messaggio su Facebook per me sono una grande richiesta, nda) ripropongo un vecchio post del 2007 sul bullismo nella mia scuola media e di come l'ho vissuto e subito.
09/04/2007
[...] ma non volevo raccontare del pranzo pasquale in famiglia ma dell'incubo della scuola media. È bastato leggere questo post di Giuseppe Genna su Carmilla per farmi ritornare in mente degli episodi dei miei undici anni o giù di lì che mai mi scorderò.
In questo periodo va parecchio di moda parlare di bullismo a scuola e di professori fuori di testa finiti nel database di Youtube e pare che queste cose abbiano cominciato ad accadere solo da quando si sono diffusi i cellulari dotati di mini-videocamere in grado di documentare ciò che invece prima accadeva lo stesso, ma rimaneva confinato alle quattro mura dell'aula scolastica. E dalle reazioni che sento e che leggo in giro, sembra che nessuno sia mai andato a scuola. Tutti cadono dal pero. Eppure credo siano davvero in pochi quelli che non hanno subito soprusi durante gli anni della scuola.
Quando andavo alle medie c'erano due tipe nella mia classe, chiamiamole Vanessa e Maria, due nomi abbastanza simili a quelli veri. Queste due povere imbecilli al giorno d'oggi sarebbero considerate delle vere e proprie 'bulle da YouTube' e avrebbero già spopolato a Studio Aperto con qualche filmatino sgranato e coi volti criptati in cui si sarebbero viste vessare, in modo fantasioso, qualche povero compagno sfigato.
Insomma, queste due fave erano parecchio violente e si vantavano di fare uso di droga e, nota bene, erano gli anni Ottanta, periodo in cui aveva ancora un senso parlare di droga al singolare perché l'eroina era diffusissima e di aids ancora non se ne parlava. Ma queste due bischere non si bucavano mica: si vantavano solo di farlo perché probabilmente le faceva sentire più ganze.
A scuola erano l'incubo collettivo: minacciavano e picchiavano tutti. Una cosa terribile che non mi faceva dormire la notte. Non c'era merenda che non venisse assaggiata e in caso requisita dalle due deficienti; la colletta obbligatoria degli spiccioli scattava tutte le sante mattine e credo di avere mio malgrado finanziato la nascente tossicodipendenza di almeno una delle due. E poi rubavano tutto, anche le cose più inutili, così per il gusto di rompere i coglioni alla vittima di turno. Mi ricordo che una volta la Maria mi fregò gli scaldamuscoli rosa e poi quell'altra volta in cui mi prese una penna a quattro colori di metallo pesantissima a cui ero davvero affezionata e che non ho mai più ritrovato uguale.
Spesso, in classe, intervenivano i carabinieri del quartiere per calmare la situazione. Per loro era comodo: arrivavano a piedi perché la caserma era proprio dietro l'angolo.
Una volta la Vanessa venne portata in caserma perché aveva versato un barattolone di Vinavil™ in testa ad una ragazza di un'altra classe rea di non averla cagata con sufficiente deferenza. Mi ricordo, come se fosse adesso, il vecchio e pingue brigadiere che la teneva a braccetto cercando di abbozzare, senza successo, una paternale e lei che gli sbraitava contro: «non mi mettere le mani addosso, io t'ammazzo, capito? t'ammazzo...» ecc. ecc. Un'altra volta stessa situazione con un'unica variante: niente Vinavil™ ma accendino Bic™, i capelli della vittima di turno completamente bruciati e puzzo di zampa di pollo in tutta la scuola. Mi ricordo che ogni volta ho sperato che le incarcerassero entrambe almeno fino all'esame di terza media, invece se la sono sempre cavata con una ramanzina e qualche giorno di sospensione.
E te le ritrovavi in classe, più stronze di prima e di nuovo pronte a cagare il cazzo a tutti.
I professori facevano finta di nulla in un mutuo accordo di vivi e lascia vivere. Le due delinquentelle avevano minacciato quella di artistica e gli altri insegnanti non volevano noie e preferivano fregarsene. Come tutti anch'io gli stavo sul cazzo e ogni tanto mi minacciavano di aspettarmi fuori e di riempirmi di botte. Terrorizzata facevo parte della bassa manovalanza della Maria: dovevo copiarle i compiti, che ovviamente non faceva mai. Il suo quaderno di matematica conosceva solo la mia calligrafia e quell'imbecille di professoressa non ha mai detto nulla. D'altronde la Maria non aveva tempo di copiare: se ne doveva stare sempre nel cortile di fronte alla scuola seduta sul suo Ciao bordò - incredibile, me lo ricordo ancora! - a giobbare con la cricca dei pisquani ripetenti cronici. Io non avevo il motorino perché non avevo ancora l'età per guidarlo. Invece quelle due stronze erano segate innumerevoli volte e entro breve avrebbero potuto guidare anche la macchina.
Per anni si sono divertite a tormentare una povera ragazza con problemi di mobilità, buttando oggetti a terra e facendoglieli raccogliere perché vederla mentre faceva uno sforzo pazzesco per piegarsi le divertiva molto.
Quando volevano dare un avvertimento a qualcuno che in quel momento non gli garbava, aspettavano che fosse solo e poi si mettevano a girargli intorno con i motorini e gli urlavano in faccia di tutto, dagli insulti alle minacce. Un'esperienza terrorizzante a viverla.
All'ennesima bocciatura la Vanessa, con gran sollievo di tutti, si ritirò e non l'ho più vista ne ne ho più avuto sue notizie. Maria, invece, rimase ancora un po' e poi non mi ricordo bene, però mi pare che interruppe gli studi anche lei.
Dopo anni ho saputo che la Maria, da perfetta imbecille qual era, era entrata davvero in quel tunel di eroina di cui si vantava tanto di far parte. Ho avuto amici che l'hanno vista per strada in condizioni pietose a elemosinare qualche spicciolo o un passaggio. E pensare che mi sono odiata per anni di non averle mai spaccato la faccia o comunque di non aver tentato di farlo. Col senno di poi sono sicura che qualche ceffone dato bene sarei riuscita ad ammollarglielo. Ancora adesso, quando mi capita di pensarci mi pento di non aver mai reagito. Ma per dirla con Giuseppe Genna, non tornerei a quei tempi nemmeno morta.
*Il titolo del post è il titolo italiano del film del '95.
Domenica pomeriggio a #Firenze: passeggiata di depressione...
...nel parco in cui andavo a giocare da bambina, l'Albereta, zona Firenze Sud. Due passi veloci tanto per favorire la digestione in un luogo in cui ho passato un'infinità di pomeriggi in epoche remote. Santo cielo che depressione, oggi...
Deposito di materiali vari dell'Acquedotto di Firenze, adiacente al parco dell'Albereta. |
Deposito di materiali vari, più che altro tubi enormi (bellissimi da vedere) dell'Acquedotto di Firenze, adiacente al parco dell'Albereta. |
La sede della RAI a Firenze, da qui negli anni Ottanta trasmettevano una parte di Tandem (mi pare), poi il nulla (mi pare). |
Alberi tristi fotografati stando seduta su una ancor più triste panchina. #vecchiaia #solitudine #abbiocco |
Accidenti a #Facebook
L'incontro sgradito è un classico. Tutti l'abbiamo provato e lo proviamo, in continuazione.
La reazione spontanea è far finta di non vedere il tizio, ma lui ti chiama, si sbraccia, attraversa la strada a passo svelto e ti bacia tutto felice di averti ritrovata.
Ti interroga meticolosamente su tutti i conoscenti che avete in comune, per la maggior parte si tratta di gente di cui non sai più nulla da vent'anni. È interessato a qualsiasi notizia: chi tromba con chi, chi lavora dove, chi ha figliato e con chi, ecc. Ti dice che ti trova bene. Non è vero, ma cerchi di essere cortese, l'interrogatorio incalzante ti costringe a una concisione e capacità di sintesi mai sperimentate.
Comincia a venirti freddo ai piedi, voglia di fare la pipì e di andare il più lontano possibile da questo spettro del passato, portatore sano di depressione. Ma lui non molla: ti propone un caffè in un locale che conosce lui. Ringrazi, dici che ti rincresce ma non hai tempo di... Allora lui ti propone il bar lì vicino.
Rispondi ancora che hai da fare, ma lui insiste. E va bene allora solo un caffè. In memoria dei vecchi tempi, aggiunge lui con una battuta di spirito che fa ridere solo lui.
Davanti al bancone ti confessa che ha avuto "una cotta" per te per diversi anni. Non te ne frega nulla di acquisire questa informazione e vuoi solo che questa parentesi amarcord a senso unico si concluda al più presto.
Lui si apre subito e sprizza cliché da tutti i pori. Succo del discorso: il suo matrimonio è alla frutta, gli urge crearsi un nuovo giro di figa. Provarci con qualcuna che non si frequenta da vent'anni ha il suo porco fascino. Novità e vecchi tempi in un tutt'uno: malsano e morboso.
Sfanculare subito, tagliare corto. No, non voglio sapere che vita fai, nessuno ti ha ordinato di sposarti la fidanzatina del liceo, ora non ti lamentare. Non m'interessa.
Fingi un impegno, fai per pagare ma lui ti blocca. Con un gesto solenne, offre lui ci mancherebbe. Tira fuori un portamonete del nonno e ci mette minuti a contare gli spiccioli da dare alla cassiera. Ha una quantità incredibile di monete da uno e due centesimi da smaltire. Chiede alla cassiera di ricontarli perché pensa di averle dato di più. Mi allontano per non vedere la scena.
Appena ha lo scontrino in mano ribadisco l'impegno improvviso, saluto velocemente con convenevoli di circostanza: "alla prossima, è stato un piacere, non facciamo passare altri venti anni.". Lui cerca di trattenermi ma io sono decisa; mi viene la depressione solo a sentire quel tono di voce lagnoso che mi domanda a raffica di gente di cui non so più nulla da decenni.
Esco in strada e cammino veloce, mi allontano sollevata. Svolto a un angolo, poi ancora a quello successivo. Sola finalmente, maremma che appiccicume disperato.
Il cellulare vibra in tasca. Facebook mi avverte che ho una richiesta di amicizia. Accidenti a Facebook.
La reazione spontanea è far finta di non vedere il tizio, ma lui ti chiama, si sbraccia, attraversa la strada a passo svelto e ti bacia tutto felice di averti ritrovata.
Ti interroga meticolosamente su tutti i conoscenti che avete in comune, per la maggior parte si tratta di gente di cui non sai più nulla da vent'anni. È interessato a qualsiasi notizia: chi tromba con chi, chi lavora dove, chi ha figliato e con chi, ecc. Ti dice che ti trova bene. Non è vero, ma cerchi di essere cortese, l'interrogatorio incalzante ti costringe a una concisione e capacità di sintesi mai sperimentate.
Comincia a venirti freddo ai piedi, voglia di fare la pipì e di andare il più lontano possibile da questo spettro del passato, portatore sano di depressione. Ma lui non molla: ti propone un caffè in un locale che conosce lui. Ringrazi, dici che ti rincresce ma non hai tempo di... Allora lui ti propone il bar lì vicino.
Rispondi ancora che hai da fare, ma lui insiste. E va bene allora solo un caffè. In memoria dei vecchi tempi, aggiunge lui con una battuta di spirito che fa ridere solo lui.
Davanti al bancone ti confessa che ha avuto "una cotta" per te per diversi anni. Non te ne frega nulla di acquisire questa informazione e vuoi solo che questa parentesi amarcord a senso unico si concluda al più presto.
Lui si apre subito e sprizza cliché da tutti i pori. Succo del discorso: il suo matrimonio è alla frutta, gli urge crearsi un nuovo giro di figa. Provarci con qualcuna che non si frequenta da vent'anni ha il suo porco fascino. Novità e vecchi tempi in un tutt'uno: malsano e morboso.
Sfanculare subito, tagliare corto. No, non voglio sapere che vita fai, nessuno ti ha ordinato di sposarti la fidanzatina del liceo, ora non ti lamentare. Non m'interessa.
Fingi un impegno, fai per pagare ma lui ti blocca. Con un gesto solenne, offre lui ci mancherebbe. Tira fuori un portamonete del nonno e ci mette minuti a contare gli spiccioli da dare alla cassiera. Ha una quantità incredibile di monete da uno e due centesimi da smaltire. Chiede alla cassiera di ricontarli perché pensa di averle dato di più. Mi allontano per non vedere la scena.
Appena ha lo scontrino in mano ribadisco l'impegno improvviso, saluto velocemente con convenevoli di circostanza: "alla prossima, è stato un piacere, non facciamo passare altri venti anni.". Lui cerca di trattenermi ma io sono decisa; mi viene la depressione solo a sentire quel tono di voce lagnoso che mi domanda a raffica di gente di cui non so più nulla da decenni.
Esco in strada e cammino veloce, mi allontano sollevata. Svolto a un angolo, poi ancora a quello successivo. Sola finalmente, maremma che appiccicume disperato.
Il cellulare vibra in tasca. Facebook mi avverte che ho una richiesta di amicizia. Accidenti a Facebook.
3 oroscopi online da non perdere
In ordine di gradimento e compulsione alla lettura:
1) Quello di Internazionale
2) L'Oroscopo della Susi Brescia
3) L'oroscopo di Paolo Fox, si avevo detto che, ma dai ogni tanto un'occhiata gliela continuo a dare (e poi è giornaliero, addattissimo per chi è "addicted"...)
Altri oroscopi che leggo ogni tanto, ma che mi danno meno soddisfazione: Branko e Horus.
La signora Goljadkin
Tutti abbiamo un sosia, come ci ricorda questa galleria fotografica di Repubblicapuntoit, composta da coppie di perfetti sconosciuti, ma simili tra di loro. Il Doppelgänger è un tema affascinante, che può riempire una mezz'oretta di tempo in un pomeriggio grigio e smorto come quello odierno.
Anche io ho una sosia in città che non ho mai incontrato. Lo so perché sono anni che spesso mi dicono che in giro c'è sta tipa tale e quale a me.
Il mio meccanico una volta mi ha domandato se mi fossi divertita a una certa partita di calcio a cui non sono mai stata. Ed era sicuro che io lo stessi prendendo in giro perché quella che aveva visto ero senz'altro io.
Poi mi è capitato di andare a cena fuori in un posto nuovo e il gestore della trattoria mi ha chiesto se lavorassi ancora nel negozio tal dei tali. Manco a dirlo un luogo in cui non ho mai lavorato, né sono mai stata.
Ma non finisce qui. Ci sono alcuni conoscenti dell'Antella che giurano di avermi vista alla casa del popolo in diverse occasioni. Ora io non metto piede in quella casa del popolo da almeno dieci anni, forse più, perciò ne deduco che sia sempre la mia sosia che si aggira più o meno nelle mie stesse zone, senza che ci incontriamo mai. Inquietante, vero?
Chissà se la incontrassi... riusciremmo a cogliere la somiglianza tra noi, così come la colgono gli altri? Mi starebbe simpatica oppure no? Conoscendomi credo di no e poi questa sosia mi sa di persona perfettina, con un'esistenza più stabile e appagante della mia. Insopportabile.
Reprimo un moto di antipatia spontanea per una tipa che non conosco. Però non ho problemi ad ammetterlo: la mia sosia mi sta sulle scatole, quando la incontrerò glielo dirò in faccia chiaro e tondo.
Il troppo stroppia, intervista di inizio 2013
Gattasorniona, ti posso disturbare per qualche domanda di inizio anno?
«Ma certo, caro intervistatore fantasma, chiedi quel che vuoi.»
Bene, secondo te, quando la "misura è colma"?
«La misura è colma quando inizia a provare un certo fastidio alle richieste più elementari. Mi fai quello? Mi fai questo? E via il primo moto è di insofferenza. No, non ti faccio un cavolo è la prima risposta che ti viene dal profondo del cuore, ma non puoi dire di no, anche per semplici ragioni di urbanità. Allora dici sì, ma lo fai controvoglia, sempre cercando di non concedere nemmeno una virgola in più ché tanto non verrebbe apprezzata, attaccandoti alle parole dette/scritte per poterti affrancare al momento opportuno dagli ingrati compiti. Perché tanto non ti vengono pagati, il lavoro non si pesa in certi casi.
Ma dopo tanti anni di professione...
«Appunto, caro intervistatore, proprio dopo tanti anni di professione. Quando lo sbattimento supera il guadagno e attenzione: con guadagno - anime belle - intendo cash, soldi, euri, €€€, bonifici, la grana... insomma qualsiasi valore che possa spendere subito dove mi pare per comprarmi quel che mi pare. Tutto il resto non conta.»
Grazie Gattasorniona. Propositi per l'anno 2013?
«Ma ti pare. Il 2013 sarà l'anno dell'Ariete, quindi non ho bisogno di fare propositi, verrà tutto da sé... ;)»
Cronaca dell'acquisto di un ebook con i maledetti #DRM Adobe
Ho comprato un ebook protetto da DRM Adobe. Ho sbagliato e non lo farò mai più. Lo giuro solennemente. Ho cliccato con disinvoltura, troppa, ma pensavo davvero di aver acquistato un file di testo vero e proprio, per la discreta somma di quasi €10 (dieci euri).
Per un gruzzolo del genere ti devono dare il file e basta. Invece no, ecco i maledetti DRM Adobe. E io me ne sono accorta soltanto dopo averlo pagato, porca miseria.
Da fedele lettrice di blog come Baionette Librarie e Gamberi Fantasy avevo imparato a stare alla larga dai DRM e da schifarli di default, perché per me vale la regola che se reperire un libro deve creare rotture di scatole allora è meglio passare al successivo e cercare per altri canali, ma sempre con calma e convenienza quello "problematico". Non dico che libro fosse, non ha importanza ai fini del discorso.
Dunque, pago la bellezza di 10 euri e immediatamente ricevo la mail con il link per scaricare il file. Allora accedo alla mia area utente di Ultima Books e scopro che ho appena comprato un file protetto da DRM Adobe e non il libro vero e proprio. Potrò visualizzarlo su 6 "devices" in tutto: 3 fisse e tre mobili, poi rizzati. Ma come, è roba mia, io lo visualizzo dove mi pare, quando mi pare, stiamo scherzando? Possiedo due computer e due lettori di ebook, già son fuori dai giochi. Non esiste.
Comunque clicco sul download dell'epub e invece mi viene fuori un file .acsm. Ma che roba è? Non esiste caricarlo direttamente sul lettore, giammai, prima bisogna installare il programma gratuito (e vorrei anche vedere) Adobe Digital Editions, ma solo dopo esserci crearti un Adobe ID.
Di punto in bianco il mio mac impazzisce (o rinsavisce, dipende dai punti di vista) e non mi fa più collegare ai siti Adobe. Da Twitter apprendo che il problema è solo mio. Allora prendo il mio vecchio portatile con Windows XP (sì io ce l'ho ancora e funziona bene), creo l'ID richiesto, scarico e installo il software Adobe Digital Editions che mi crea una cartella dal nome "My Digital Editions" o giù di lì, dove ci piazza il file epub del libro. Ma è una situazione strana perché quella cartella è tipo un'enclave della Adobe sul mio hard disk. Il mio file epub pagato ben 10 euri non lo posso né copiare altrove, né aprire con Sigil per fare le modifiche al foglio di stile come piace a me.
Eppure la settimana scorsa sempre da Ultima Books ho comprato Mu, l'ultima fatica letteraria di Tommaso Labranca, un file epub, perfetto e semplice che ho aperto subito per sistemare i font come piace a me e infine ho archiviato in Calibre senza tante storie. Ma quello non aveva i maledetti DRM...
Dunque ritorniamo invece al presente con gli odiosi DRM. Quando mi sono resa conto che non potevo aprire il libro che avevo pagato €10 per sistemare i font come piace a me ho moccolato e ho avviato amule scaricando quel titolo in venti minuti scarsi. Non è pirateria, l'avevo già comprato e pagato. Ok?
Poi c'ho pensato e ho deciso di usare il mio file, non quello di altri, perché proprio l'averlo pagato mi dava la certezza che non contenesse errori e poi volevo andare fino in fondo a questa storia.
L'unico sistema però era craccarlo, per eliminare una volta per tutte i maledetti DRM. Un'operazione semplice, come ci ha insegnato a fare il Duca in un tutorial preziosissimo disponibile sul suo blog: Togliere i DRM dagli eBook: guida per principianti.
Ho seguito passo per passo la guida che è precisa e nemmeno tanto difficile. Basta seguire i vari step alla lettera, avere un po' di dimestichezza col computer, ma insomma, nemmeno poi tanta. In pochi minuti ho avuto il mio file epub sbloccato e utilizzabile su Calibre.
A quel punto l'ho aperto per sistemare finalmente i font come piace a me e ci ho trovato un codice caotico. Ho aperto anche il file che avevo scaricato piratato e ho constatato che a livello di codice e struttura fosse messo molto meglio dell'originale che - ripeto - ho pagato 10 Euro. Porca miseria.
Per un gruzzolo del genere ti devono dare il file e basta. Invece no, ecco i maledetti DRM Adobe. E io me ne sono accorta soltanto dopo averlo pagato, porca miseria.
Da fedele lettrice di blog come Baionette Librarie e Gamberi Fantasy avevo imparato a stare alla larga dai DRM e da schifarli di default, perché per me vale la regola che se reperire un libro deve creare rotture di scatole allora è meglio passare al successivo e cercare per altri canali, ma sempre con calma e convenienza quello "problematico". Non dico che libro fosse, non ha importanza ai fini del discorso.
Dunque, pago la bellezza di 10 euri e immediatamente ricevo la mail con il link per scaricare il file. Allora accedo alla mia area utente di Ultima Books e scopro che ho appena comprato un file protetto da DRM Adobe e non il libro vero e proprio. Potrò visualizzarlo su 6 "devices" in tutto: 3 fisse e tre mobili, poi rizzati. Ma come, è roba mia, io lo visualizzo dove mi pare, quando mi pare, stiamo scherzando? Possiedo due computer e due lettori di ebook, già son fuori dai giochi. Non esiste.
Comunque clicco sul download dell'epub e invece mi viene fuori un file .acsm. Ma che roba è? Non esiste caricarlo direttamente sul lettore, giammai, prima bisogna installare il programma gratuito (e vorrei anche vedere) Adobe Digital Editions, ma solo dopo esserci crearti un Adobe ID.
Di punto in bianco il mio mac impazzisce (o rinsavisce, dipende dai punti di vista) e non mi fa più collegare ai siti Adobe. Da Twitter apprendo che il problema è solo mio. Allora prendo il mio vecchio portatile con Windows XP (sì io ce l'ho ancora e funziona bene), creo l'ID richiesto, scarico e installo il software Adobe Digital Editions che mi crea una cartella dal nome "My Digital Editions" o giù di lì, dove ci piazza il file epub del libro. Ma è una situazione strana perché quella cartella è tipo un'enclave della Adobe sul mio hard disk. Il mio file epub pagato ben 10 euri non lo posso né copiare altrove, né aprire con Sigil per fare le modifiche al foglio di stile come piace a me.
Eppure la settimana scorsa sempre da Ultima Books ho comprato Mu, l'ultima fatica letteraria di Tommaso Labranca, un file epub, perfetto e semplice che ho aperto subito per sistemare i font come piace a me e infine ho archiviato in Calibre senza tante storie. Ma quello non aveva i maledetti DRM...
Dunque ritorniamo invece al presente con gli odiosi DRM. Quando mi sono resa conto che non potevo aprire il libro che avevo pagato €10 per sistemare i font come piace a me ho moccolato e ho avviato amule scaricando quel titolo in venti minuti scarsi. Non è pirateria, l'avevo già comprato e pagato. Ok?
Poi c'ho pensato e ho deciso di usare il mio file, non quello di altri, perché proprio l'averlo pagato mi dava la certezza che non contenesse errori e poi volevo andare fino in fondo a questa storia.
L'unico sistema però era craccarlo, per eliminare una volta per tutte i maledetti DRM. Un'operazione semplice, come ci ha insegnato a fare il Duca in un tutorial preziosissimo disponibile sul suo blog: Togliere i DRM dagli eBook: guida per principianti.
Ho seguito passo per passo la guida che è precisa e nemmeno tanto difficile. Basta seguire i vari step alla lettera, avere un po' di dimestichezza col computer, ma insomma, nemmeno poi tanta. In pochi minuti ho avuto il mio file epub sbloccato e utilizzabile su Calibre.
A quel punto l'ho aperto per sistemare finalmente i font come piace a me e ci ho trovato un codice caotico. Ho aperto anche il file che avevo scaricato piratato e ho constatato che a livello di codice e struttura fosse messo molto meglio dell'originale che - ripeto - ho pagato 10 Euro. Porca miseria.
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