Post periodico sull'essenza del (mio) blog

Tanto tempo fa - quando ancora c'era Splinder, per intendersi - tra noi "blogger incalliti" si usava dire che "ogni cambio di template è un passo verso l'abbandono del blog". Ora, non ricordo se l'espressione fosse proprio questa, però era la sostanza del ragionamento. Figuriamoci allora che cosa avrebbe potuto scatenare il cambio di piattaforma: un salto nell'abisso. E poi in fondo gli si voleva anche bene all'inesorabile:



E allora si rimaneva tutti su Splinder, perché migrare altrove avrebbe portato a delle conseguenze terribili, fino al rifiuto dell'amata creatura su cui, almeno io, scrivevo tutti i santi giorni. Ho talmente assimilato questo modo di ragionare che il mio blog è rimasto praticamente uguale nel tempo.
Tutta questa premessa - prolissa e nostalgica, secondo lo stile della casa - per dire che adesso mi sono un po' rotta le scatole e sto valutando altre piattaforme, per capire meglio. Piattaforme blog che siano al di fuori dei social network, dove - sarà la vecchiaia, chissà - amo stare ogni giorno di meno e rimango su Facebook solo perché col tempo ho costruito una rete minuscola di contatti gradevoli, iper selezionati, che mi piace leggere e commentare. C'è da dire che buona parte di questi sono ex-splinderiani della prima ora, come lo sono io.
Comunque "faccio cose e mi muovo", nello specifico cerco alternative, scrivo, cancello, provo, apro e chiudo, collego, leggo recensioni, valuto altri nick, altri colori (bianco, voglio un blog bianco, perdio).

Tentativo di truffa porta a porta: Bartolini & co. per conto di Eni

Suonano il campanello in due, un ragazzo e una ragazza.

Lui è alto, lei ha i capelli scuri, lunghi e lisci.

- Chi è? - Chiedo affacciandomi alla finestra.
- Prego, venga ad aprire, siamo qui per l'adeguamento del contratto - dice la tipa perentoria, come se avesse poco tempo da perdere e fosse lì per farmi un piacere.

Sono le 14:30 e mi trovo da sola in casa dei miei genitori in zona Firenze Sud.

Non so di cosa si tratti, né chi siano questi due. Ma non sono a casa mia, dunque vado ad aprire la porta per capire meglio.

La tizia si presenta, solo il nome naturalmente, mi dà la mano. La ignoro mentre leggo la targhetta stampata ad aghi: Bartolini & Co., in un angolo il simbolo dell'Eni.
Lei si ripresenta, sempre e solo il nome.

- Bartolini? - chiedo fissando quella targhetta di riconoscimento che mi puzza di finto lontano un chilometro.
- Bartolini è l'agenzia, siamo Eni - risponde lei risoluta, un po' scocciata.

Guardo ancora la targhetta stampata in casa: Bartolini & Co., mi ricorda qualcosa. Boh.

- Bartolini, l'agenzia di viale Giannotti - aggiunge lei, irritata che non la conosca.

Viale Giannotti è qui vicino, forse conosco davvero quell'agenzia.

Ma no, ci stavo per cascare come una bischera.

- Siamo qui per l'aumento del suo contratto. Il 5% dal primo gennaio. Le è arrivata la comunicazione per lettera, vero? - dice lei.

- Guardi, non mi interessa. - dico.

- Che cosa non le interessa? - incalza lei sempre più scocciata.

- Quello che ha da propormi. - rispondo pronta e attenta a non usare il verbo "vendere" sennò comincia la solfa su fatto che non ti vogliono vendere niente, ecc. ecc.

- Io non le propongo niente, sono qui per il suo contratto, le è arrivata la comunicazione in bolletta da Eni, per l'aumento del 5% - dice lei decisa, tirando fuori un tablet.

- Ho detto che non mi interessa - ripeto.

- Se non lo facciamo adesso poi dovrà venire in viale Giannotti - dice lei, quasi stizzita.

- Ho detto che non mi interessa, buongiorno. - E chiudo la porta in faccia ai due.

Cerco su Google: naturalmente di Bartolini & Co. concessionari Eni in viale Giannotti a Firenze non c'è traccia.

Mi preoccupo un bel po' perché non so quanto anziani come i miei genitori riescano a respingere questi truffatori, che sono sempre più aggressivi e facce di culo.

Quarantamila Euro



«Quarantamila Euro. Capite? Quarantamila.»
«No, non capiamo, raccontaci tutto» disse Carlotta. Sorrise e le mise una mano sulla spalla. Era entrata in modalità “assistenza caso umano”. Lucilla avrebbe vuotato il sacco senza neanche accorgersene, Carlotta era una professionista in “aperture e confidenze”. Ma non ci fu bisogno di insistere.
«Quella testa di cazzo, ha debiti con noi per quarantamila Euro. Tra prestiti e le altre cosucce. Tutto un blaterare... ve li rendo, c'ho il business nascente, il Made in Italy di classe, c'ho la SEO che spacca... la manager con i controcoglioni... Sì, tesore, vu sareste proprio voi due. La ditta è una miniera d'oro... Cazzate.»
Carlotta ed io ci scambiammo uno sguardo attonito.
«E allora io gli ho detto al mi' omo: e vediamola questa miniera d'oro. Tocchiamola con mano, la miniera d'oro. Se c'è ciccia si aspetterà a prendere provvedimenti. Quel testa di cazzo si conosce da tanto, gli si vuole anche bene.»
«Ma non c'è ciccia, vero?»
«Sie, ma dove? Figliole carissime, io ve lo dico col cuore in mano: andate via finché siete in tempo. Quello non ha più nemmeno gli occhi per piangere.»
«Diciamo che l'avevamo intuito» disse Carlotta.
«Allora gli s'è detto: basta soldi, basta cazzate. Capite cosa intendo? E lo sapete che ha fatto quel testa di cazzo? Eh, lo sapete?»
Carlotta ed io facemmo di no con la testa.
Lucilla si accese un'altra sigaretta. Una pausa ad effetto. Aveva le unghie decorate con motivi floreali e cuoricini. Si accorse che le osservavo.
«Belline, vero? Mi fanno pendant con il tatuaggio. Dopo ti do l'indirizzo della mia manicure: è un'artista» disse avvicinandosi la mano alla pancia abbronzatissima, scoperta dal jeans a vita bassa, dove sbucava un pezzo di tatuaggio che sembrava una macedonia caduta a terra di: cuori, stelline, segni zodiacali, il simboli della pace... Diede una lunga boccata finché ritornò furiosa.
«Quel testa di cazzo. Dico, quel testa di cazzo, mi ha licenziata.»
«Non lo sapevo» disse Carlotta sorpresa.
«Perché?» domandai.
«Perché? Tu mi chiedi perché?» si agitò Lucilla, guardandomi storta.
«Sì, come mai? Se vuoi dirmelo, naturalmente.»
A volte mi sembrava di parlare con il Pedrella.
«Perché io non gliel'ho mai data. Mai. Ecco il perché» disse lei, togliendosi gli occhiali e fissandomi con gli occhi sgranati.
Quegli occhiali erano davvero enormi.
«Dolce & Gabbana, 280 Euro, praticamente tirati dietro. Ai saldi dei “Gigli”» aggiunse mettendoli via.
«Cosa?»
«Il Pedrella ci ha provato?»
«Certo figliole, che credete? Tutte le volte che poteva, quel maiale. Pensava che fossi venuta qui per farmi l'amante. Capite? Ma chi se lo caca, quello. Figuriamoci.»
Aveva le pupille dilatate e i capillari del viso rotti.

Tratto da L'Alba dei Farabutti.

Il nazista decontestualizzato




Un'unica volta, perciò non mi ricordo il nome. L'ho dimenticato all’istante, durante le presentazioni.

Succede.

Era un ragazzo sulla trentina, magro, trasandato, pareva un ex punk degli Anni Ottanta teletrasportato in un lampo alla fine dei Novanta.
Barba?
Baffi?
Gobbo?
Boh, ricordo poco di lui, tranne quella svastica nera che all’improvviso sbucò da sotto la manica.

Ci rimasi malissimo. E come ci dovevo rimanere? Una svastica del cazzo.

Erano tempi meno ambigui di quelli che viviamo oggi. I fascisti stavano nelle fogne, figuriamoci i nazisti.

In quel frangente, però, non feci alcun ragionamento politico. Rimasi attonita, un po’ affascinata, vergognandomi subito. Dalla mia posso dire che non avevo mai visto una cosa del genere. Un tatuaggio a forma di svastica sull’avambraccio era oltre qualsiasi manifestazione di ignoranza possibile. Non mi capacitavo.

L’emblema del Male! Con la emme maiuscola.

Senza scomodare la Hannah Arendt, ricordo che mi fece tutt’altra impressione. Mi sembrò più che altro emblema del disagio e dell’auto-emarginazione a tutti i costi. ‘Na tafaziata di somma demenza, per dire.

Il tizio sembrava tranquillo. Anche questo mi spiazzava. I nazisti li sapevo molesti. Che c’entrava questo tipo silenzioso?

Iniziai a guardarmi intorno, perché c’era un neonazista in quell’occasione? Ce n’erano altri?

No, era da solo, ci misi un po’ a capirlo e ne fui sollevata.

L’occasione era una cena per un’amica ritornata da Londra per trascorrere le ferie a Firenze. Era una reunion di persone che non si conoscevano tra loro, che erano lì solo per festeggiare un’amica comune. Che tra l’altro è stata la prima tra i miei amici a trasferirsi all’estero, forever.

Il nazista era finito nella compagnia chissà per quale strano giro perverso di conoscenze. Perverso perché chi può avere tra le proprie conoscenze un tizio con una svastica tatuata sull’avambraccio?

Ricordo che alla cena l’interesse per il tizio con la svastica si affievolì subito, collettivamente. Il tizio era sottotono e fece tappezzeria per tutta le sera, forse fu per questo che nessuno si interessò alla sua presenza più di tanto.

Di solito, infatti, questi soggetti stanno sempre in branco, si muovono tra di loro nei loro circuiti di marginalità e disagio, non si mischiano con la gente normale e quando lo fanno è solo per rompere i coglioni al prossimo. Mi si perdoni il francesismo, ma qui ci sta tutto.

Ricordo che quel tipo non disse una parola o quasi per tutta la sera, però fu tranquillo.

Nessuno degli invitati gli disse nulla sulla svastica tatuata, anche se la notarono tutti.

In effetti non c’era nulla da dire: che gli vuoi dire?

Sono passati tanti anni da quella sera e, dio solo sa perché, oggi ho ripensato a quella cena estiva e surreale tra i tetti di Firenze, col nazista decontestualizzato.
Chissà se il tizio ha ancora la svastica tatuata sul braccio, chissà se ha cambiato idea, chissà se non si sente un po’ stronzo.

Pronto Nabucodonosor?



Pronto Nabucodonosor?
...
Oh, finalmente. È una vita che aspetto, stronzi.


Click.














Matrix è ovunque, è il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per non farti vedere la realtà.

Sì, lo so cos'è Matrix. Lo sanno tutti: pillola blu, pillola rossa.

Ehm, questo è il mondo reale, le macchine hanno preso il sopravvento, gli esseri umani vengono coltivati come le piante...

Benissimo, guarda. Molto meglio del casino dei weekend prenatalizi a Firenze...

Dicevo, gli esseri umani vengono allevati come piante...

...Con la pioggia, i turisti e i lavori della tramvia, non so se mi spiego... l'inferno.

Stiamo organizzando la resistenza, ci riprenderemo il nostro mondo.

Scusa, ma perché disturbarsi? Qui si sta una crema.

Possiamo allenarti per tornare indietro a combattere a colpi di jujitsu.

Guardi signor... Signor?

Morpheus.

Ecco, guardi signor Morpheus, la ringrazio ma non le faccio perdere altro tempo. Datemi solo un po' di pappina proteica e un salva schermo coi caratteri kanji a caso. Poi andate dove vi pare, e auguri col parcheggio.

Ah, allora ok.

Signor Morpheus?

Sì?

Fichi codesti occhiali.

Grazie.

Studio traiettorie thailandesi, visualizzando colori caldi e sole a palate, mentre il gelo che sale dal basso mi dà la sgradevole sensazione di avere il calzino bagnato


Pausa pranzo, voglia di diario.
Come ai vecchi tempi, quelli in cui tutto era due punto zero.
Pesto con forza i tasti neri di una tastiera estranea.
Ho appena ordinato su 20090.eu Agosto Oscuro, raccolta di poesie di Tommaso Labranca. Ma ne parlerò in modo più esteso quando avrò letto il volume che è uscito oggi, acquistatelo e regalatelo per Natale o quando vi pare.
Prima di comprare il libro ho dato un'occhiata a un certo gruppo Facebook che bazzico con smaccata autoindulgenza, Naufraghi di Splinder, formato da ex splinderiani nostalgici. Perché com'era bello il momento Splinder che se non c'eri, non puoi capire.
E mentre ripensavo a quei tempi lì, mi è caduto l'occhio sul libro de La Pizia, Mondo blog, testo di riferimento per comprendere il mondo dei primi blog.
E anche lì: come si stava bene al tempo dei primi blog, quando eravamo pochi e ci si conosceva tutti. E in effetti in Mondo blog La Pizia va letteralmente a casa dei blogger, uno per uno, gli suona il campanello per intervistarli vis a vis.
Impensabile adesso, fa senso anche solo raccontarlo.
E probabilmente anche allora c'era qualcuno che rimpiangeva il tempo in cui questi siti strani, dal nome antipatico - blog - fatti solo di una pagina a scorrere, ancora non erano così diffusi e se si aveva qualcosa da dire lo si poteva fare benissimo con un sito web costruito con Front Page e pubblicato su Supereva o un servizio del genere.
E via discorrendo, si potrebbe andare a ritroso fino ai piccioni viaggiatori e alla caccia col falcone. È un gioco divertente, e anche facile.
Invece il contrario è difficilissimo.
Faccio fatica, infatti, a immaginarmi il futuro.
In effetti è un attività un attimo più complessa.
Sicuramente in un futuro prossimo diremo che era bello stare in massa su Facebook a discutere di quisquilie e indignarsi con sconosciuti invece di... ecco chissà come sarà tra una decina d'anni la nostra vita online.
Forse registreremo tutti podcast, come le chat vocali di Whatsapp, oppure comunicheremo con un linguaggio pittografico, fatto di emoticon e disegnini.
Pausa pranzo finita.
Un tempo, duravano di più.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...