Auguri e una riflessione sul calo delle visite sul blog

Collage di immagini dalla prima versione del blog.

Dopo aver letto il post di fine anno di Leonardo, incentrato sulla diminuzione inesorabile dei suoi visitatori, anche io ho fatto mente locale su quello che accade in questi luoghi.

Come tanti altri, anche questo vecchio blog non ha più le visite di una volta. Diciamo pure che non ha manco la metà dei visitatori dei vecchi tempi, i cosiddetti tempi d'oro dei blog, quando esistevano le blogstar e c'era tutto un fermento per questa novità.

Il potere isolante dei libri



Nota veloce che ho freddo e poco tempo per scrivere. Ho un desiderio piuttosto forte: vorrei passare questi giorni chiusa in una biblioteca antica, una di quelle di famiglia blasonata, possibilmente in un castello suggestivo. Una stanza grande, con le comode poltrone di pelle, tanti punti luce, caminetto acceso, legno dappertutto, tappeti persiani e un ottimo angolo bar con i migliori whisky.
Vorrei chiudermi in un posto del genere fino alla Befana compresa. Ma non per l'amore per i libri, e nemmeno per l'odore della carta. Piuttosto per il sottovalutato, ma per me fondamentale, potere isolante della carta.

Ma Matteo: proprio con i più sfigati te la dovevi prendere? Il Santo Natale si vede dalle piccole cose quotidiane...


La tipa dietro la scrivania è immersa in un libretto Sellerio tutto sbertucciato, con il bollino della biblioteca di quartiere.
Da dove mi trovo non vedo il titolo, riesco a leggere solo: Camilleri.

La tipa legge senza curarsi del resto, non ha risposto nemmeno al mio "buongiorno".
La osservo rapita, ha una faccia arcigna che in giro se ne vedono poche di così antipatiche.
Di tanto in tanto, appoggia il libro sul tavolo e sottolinea qualche frase a matita.

Conversazioni della pausa pranzo: Twitter, Renzi ed altre cose


- Ma come, tu fiorentina d.o.c. non segui il Renzi su Twitter... E come mai, per curiosità?
- Guarda, Twitter è il meno: io il Renzi non l'ho nemmeno votato per sindaco, figuriamoci se...
- Ma icché c'entra codesto? Su Twitter tu lo potresti anche seguire. L'è sempre il presidente del Consiglio.
- In effetti, ma poi...
- Via, anche solo per informarsi; insomma ora come ora non è mica tanto trascurabile come personaggio...
- Ho capito. E hai ragione, lo so. Ok, seguiamo il Renzi.

E se la felicità più duratura stesse nelle piccole cose?

Riflettevo su un post che ho scritto giorni fa. Secondo alcune ricerche risulta più veloce superare i grandi traumi rispetto a quelli più piccoli. Per le batoste più leggere non partono le difese naturali che si attivano automaticamente nel caso dei colpi grossi, e allora lasciarsi alle spalle la brutta cosa diventa più gravoso.

Ma tutto ciò vale anche al contrario?

Come aumentare i propri follower e rafforzare la presenza su Twitter. Considerazioni dopo aver consultato numerosi blog del settore. CHE COSA È SUCCESSO A BROOKE?

Non sono molto portata per Twitter e me ne curo il giusto. Addirittura c'era un tempo in cui cancellavo settimanalmente i follower. Li testavo e li cancellavo, pensavo che una decina, massimo venti fossero più che sufficienti.
"Pochi ma buoni", ché il casino ipersociale era su Splinder e su Facebook.
Poi tutto è cambiato e Twitter ha iniziato a darmi più soddisfazioni di Facebook. A dire il vero non è proprio così, io vado a periodi, un po' Twitter un po' FB come preferito del cuore. Ora sono nella fase Twitter.

Lui dice di essere conte, ma invece sta in un seminterrato alla giapponese



Sono una persona fortunata.

Professionalmente, intendo.

Sono costantemente, quotidianamente circondata da persone che frullano, fibrillano. Good vibe a iosa. Progetti, idee, start up, visioni, ecumenismo tecnologico tout court.
Persone di spessore che sono consapevoli di aver tanto da dare e da trasmettere al mondo. Il mondo, ok? Niente paesello o cittadina: benvenuta globalizzazione delle idee e delle energie creative.
Sinergie. Io sono un visionario, tra quattro anni questo modello sarà la norma. Investimento è la parola d'ordine. Vision, mission.
Stiamo vendendo a Tokyo, siamo stati presenti alla Fiera più importante del Giappone, a fianco dei colossi. Siamo una realtà dinamica, non ci fermiamo perché questo paese ha bisogno di una spinta vera, di un impegno reale.
Noi stiamo qui, abbiamo scelto di stare qui. Lo vogliamo. La nostra parola d'ordine è sostenibilità, chilometro zero, non ci interessa il profitto: la priorità sono le persone. Qualità. La qualità sempre. Made in Italy. Piccolo è bello. L'attenzione ai dettagli.


In tutto ciò c'è qualcosa, qualcosa di molto familiare.

Ma non mi viene in mente. Mi scervello.

Santo cielo, ora lo so.

Illuminazione e fastidio.

Riprova: cogli i segnali, le sfumature. Guarda nelle pieghe, analizza le smagliature. Dai, sveglia.

È il momento di essere incisiva.

Mi schiarisco la voce, entrando in "modalità 5 ottobre 1966".
È facile, siamo nell'era di Instagram, sappiamo che la realtà è solo una questione di filtri colorati intercambiabili. Tu me la racconti come ti pare, io cambio le lenti e la vedo in un altro modo.

La vedo com'è, appunto.

Perché io ho una guida fidata: la teoria del semiterrato alla giapponese.

Eccola:
  • DIARIO: Firenze 5 ottobre 1966. Oggi 5 ottobre ho traslocato a casa di un amico del babbo.
  • Conte Mascetti: Che è?
  • Luciano: Il diario che la signora maestra ci fa tenere alla fine di ogni giornata.
  • Conte Mascetti: Brava, intelligente codesta maestrina.
  • DIARIO: Lui dice di essere conte, ma invece sta in un seminterrato alla giapponese, tutto ghiaccio e umido, senza telefono, senza acqua calda, col cesso coi piedoni e un fornelletto dove la moglie c'ha cucinato una frittatina di due uova, che abbiamo mangiato in tre più un rinforzino, come lo chiama lui, di nove olive di numero, mezz'etto di stracchino e un quarto di vino sfuso. Tutto, vitto e alloggio, per 150.000 lire che mi pare proprio una rapina anche se lui, per fare il conte, chiama castello un aggeggio di tre locali. 
  • Luciano: Loculi. 
  • DIARIO: Di tre loculi. Dove mi toccherà dormire assieme alla moglie una donnetta secca e rifinita come il suo nome: Alice. E la figlia, Mela, che per fortuna non dà noia, perché è una handicappata, incapace di parlare e camminare alla sua età. Io dico che codesto conte o è un gran bugiardo, o si è ridotto proprio come un disperato.
  • Conte Mascetti: 10 e lode...

Parliamo del pagamento? Chiedo con nonchalance.

Sa la crisi, non c'è trippa per gatti, purtroppo le cose vanno come vanno.
Non abbiamo credito, facciamo a 90 giorni?
Con o senza fattura?
Sì, lo so, sono poche centinaia di euro, ma le assicuro che non possiamo fare altrimenti. Purtroppo, lei lo sa, di questi tempi... Abbiamo grattato il fondo del barile.
Pensiamo di emigrare come ha fatto l'Azienda Tal del Tali, [abbassando la voce, quasi sussurrando] sa sono in Svizzera adesso... Abbiamo ridimensionato, purtroppo. Downgrading.
Le attrezzature? No, non possiamo investire. Le banche non ci danno tregua...


Eccolo il monolocale alla giapponese.


In alcune occasioni occorre essere Lucianino.

Fenomenologia dell'odio per l'apericena nelle cronache di vita vissuta


Da quella sera non ci siamo più visti... ma come mai? Che fine avete fatto, ragazzi? Non siete mai liberi... allora ditevelo che ve la tirate! Eh eh eh. Dai allora la prossima settimana si fa l'apericena.


Brividi.
Ma almeno questa volta l'intenzione è manifesta.
Ho tutto il tempo di farmi venire la bronchite.
O il classico dei classici per smarcarsi dalle situazioni sgradevoli: il disturbo intestinale.
L'altra volta mi, anzi ci avevano colti alla sprovvista.

Non è detto che la cosa peggiore che ci possa capitare sia quella che alla fine ci procurerà i danni più duraturi



Ieri, facendo la spesa alla Coop, non ho trovato il mio shampoo preferito. Non ci volevo credere: sono rimasta imbambolata per non so quanti minuti di fronte allo scaffale, ripercorrendo con lo sguardo attonito tutti i flaconi colorati, uno per uno, senza scorgere quello che cercavo.

Mi sono guardata intorno per protestare, ma in quel momento non c'erano commessi a raccogliere la mia accorata lamentela passivo-aggressiva.

Ombretta e la crisi

Ombretta dà SEMPRE buca al primo appuntamento. Devi fissarci almeno due volte se la vuoi beccare.
Ombretta millanta sempre emergenze incredibili.
- Allora ci vediamo dopo?
- Ahhhh, giàààà.... nooo.... oddìo oddio oddìo.
- Che è successo? (Ci casco ogni volta)
E giù tragedie stocastiche a scopo perculatorio.
Sua figlia va dal medico d'ugenza almeno una volta ogni due mesi.
- Purtroppo dobbiamo rimandare l'appuntamento, lo so è l'ultimo minuto, ma alla bambina hanno trovato... oddìo, non ce la faccio nemmeno a pensarci... la porto dal medico e ti richiamo... ciao ciao ciao.

Si chiama "tecnica Mascetti", la conosciamo tutti.:

Fenomenologia dei pensieri negativi che mi (ci) accompagnano passo passo, giorno per giorno



Sto cercando di occuparmi il più possibile del mio benessere. Dopo una certa età queste cose diventano molto importanti. Adesso per me è tutto un fare attenzione alle energie, alle negatività, alle persone troppo "needy", come dicono gli americani che in quanto all'esaltazione delle prospettive individuali sono maestri indiscussi.

Godetevi anche questi 60 euri e ciao

Oggi il babbo mi ha accolta al consueto pranzo domenicale annunciandomi gongolante che dovrò pagare il canone RAI anche se non ho la tv.
«Non è giusto, babbo.»
«Saranno una sessantina di euro all'anno e li prenderanno dalla bolletta dell'Enel. Dalla bolletta di tutti, capisci?»
«Ho capito, babbo, ma non è giusto. Io non ho la tv, vado a vedere Real Time dagli amici, lo sai. E poi i programmi della RAI non mi piacciono. Sono identici a quelli di Mediaset, pubblicità compresa. Perché dovrei avere il desiderio di guardare quella roba?»
«Chi se ne frega di quello che fai te. Piuttosto pensa a tutti gli evasori che se dio vuole d'ora in poi dovranno pagare.»
Poi mio padre ha fatto un elenco -in effetti piuttosto lungo - di persone che conosce che non pagano il canone, ma che hanno la tele a casa. Da adesso, volenti o nolenti, glielo prenderanno dalla bolletta della luce e lui pagherà di meno proprio perché pagheranno tutti.
Io invece sborserò dei soldi per qualcosa che non possiedo e non ho mai usato in casa mia (almeno negli ultimi dieci anni) e perciò che non mi dà alcun beneficio.
Non ho aggiunto altro; a quel punto avevo negli occhi un caleidoscopio sbrilluccicante con le facce frollate di: Giletti, Pippo Baudo, la Parietti, Amadeus... tutti che ridevano puntadomi il dito contro.
Solo un piatto di tortellini in brodo avrebbe potuto guarirmi da quelle allucinazioni perverse. E così è stato.
Abbiamo pranzato a televisione spenta.
Adesso, prima della sonnolenza postprandiale (a cui purtroppo non posso dare soddisfazione perché tra poco vado a lavorare), do un'occhiata veloce a quello che offre hic et nunc il palensesto RAI.
E ci trovo: sul primo canale una gara di automobili. Sul due invece c'è l'inspiegabilmente longevo Quelli che il calcio. È un programma dalla tristezza suprema, sempre condotto da un presentatore con la voce insopportabile (la Simo, la Cabello, questo di adesso di cui non ricordo il nome), che ha per protagonista il campionato di serie A. In realtà il programma consiste nel parlare il meno possibile delle partite di calcio in atto, senza mai far vedere agli spettatori nemmeno un secondo di gioco*. Nel contorno i commenti allucinati e continui di una mandria di gente proveniente dal più infimo sottobosco periferico dello spettacolo, gente che sbarca il lunario in questo modo. E d'ora in poi pagati anche da me. Infine su la rossa** RAI 3 una televendita di prodotti sanitari.
Beh, vado a lavorare.

* per questo ci sono i canali a pagamento:cacare il lesso e vedere le partite di calcio senza altre bischerate da pezzenti.
** magari.

Il drone che volava sulla campagna toscana per eludere i recensori di Trip Advisor

Guardo un'altra volta le immagini della facciata secolare, screziata dal sole d'estate.
L'inquadratura sale in un crescendo di velocità, finché la villa scompare e al suo posto spuntano le colline.
Cipressi, ulivi, ville, un campanile in lontananza.
Il campo di ripresa percorre filari di viti, campi morbidi, cavalli che galoppano su un prato.
Poi una zona industriale: capannoni, furgoni, un parcheggio.
«Questo lo tagliamo» dice con disappunto.

La p.o. della Provincia di Solcazzo

Cerco di essere criptica a questo giro.
Ma c'ho la necessità dello sfogo.
Perché i miei post come questo qui sotto, sono davvero tanto più blandi rispetto alla cruda realtà delle cose.
Ieri, per esempio, mi sono trovata nel mezzo di una fiera affollata e afosa all'inverosimile, col mio referente dalla Provincia di Solcazzo (inutile dire quale, non è il punto del post) che mi ha comunicato l'orario sbagliato e ha dimenticato di lasciare spazio per il tema da affrontare.

Nobili e dipendenti pubblici: praticamente la stessa cosa

Giornate con livelli di stress che si possono tagliare a fette e poi usarle per farcire un panino: "sandwich allo stress e sanguinaccio, con una spruzzatina di succo di bile". Rende l'idea perfettamente.
Si avvicinano l'autunno e lo spleen depressivo.
Le giornate silenziose, i contrasti di luce dell'estate rimangono un ricordo languido. Ora è tempo di foschia e ansia diffusa: più stress per tutti.

Tu chiamale se vuoi, emozioni

Son tre giorni che scartabello casa moccolando con passione e fantasia.  Ho perso un oggetto a cui tenevo molto. Non so quando né come. Ogni tanto mi succede, non ci posso fare nulla.

Mia nonna diceva: la casa non ruba ma nasconde.

Casa mia pare che si diverta un mondo ad eclissare cose a caso ma sempre quando servono, così, tanto per farmi impazzire.

Ma in questo momento ho un problema ben più grosso per le mani.

Un problema di emozioni.

Diario dell'estate oscura: in agosto a Firenze con Real Time e Dmax



Ho speso questa estate in giro in bicicletta ed a curare con amore piante di basilico e di limoni. Le verdi creature, con estrema riconoscenza, mi hanno ripagata con abbondanti foglie profumate per la pomarola e fette fresche per il tè freddo.

È stata un'estate affollata, non sono mai mancati gli amici che, complice la crisi, sono rimasti quasi tutti in zona. Pochi soldi, poca voglia di spendere, perché chissà in autunno come si metterà col lavoro. Dal 2008 ogni anno va sempre peggio e l'antifona è stata colta abbondantemente.

La percezione dei propri momenti di crisi attraverso gli occhi degli altri può scatenare un giustificabilissimo e irrefrenabile istinto omicida


 Frammenti dal passato

«Finalmente avrai del tempo libero da dedicare a te stessa!» aveva detto una pseudo voce amica qualche sera prima, cercando di aiutarmi ad estrarre frammenti positivi da quella che per me era una tragedia senza precedenti.

«Con tanto tempo libero puoi fare cose che non hai mai potuto fare» aveva aggiunto un'altra voce.

Letture estive: Skagboys di Irvine Welsh


La sensazione è profondamente goduriosa, un po' come trangugiare frittatona di cipolle e Peroni gelata durante una partita dell'Italia ai mondiali*. Ecco, quando attacco un romanzo di Irvine Welsh ho lo stesso stato di coscienza: benessere dissoluto allo stato puro.

Così, finalmente ho letto Skagboys. Lo conservavo da mesi, senza decidermi a toccarlo, aspettavo il momento più giusto, quell'atmosfera che mi piace un casino: le sere d'estate, lo zampirone tra i piedi e la birretta fresca.

Antoinette, pazza per la spesa. Contenta lei.


Antoinette ha 29 anni e vive nella periferia di Chicago. Chicago è una delle dieci città più care degli Stati Uniti. È dura approvvigionarsi per una madre che non lavora, come Antoinette. Lei è disoccupata, tuttavia non si considera così: il suo lavoro è far la spesa al supermercato coi buoni sconto.

E ne va fiera.

Il deserto dei tartari sotto casa

Mi aggiro di notte nel mio appartamento, scalza e in mutande a vita alta, come piacciono a me. Solo un giro di controllo prima di rimettermi a dormire. Il condominio sembra un altro, non ci sono i rumori di sempre.

Non so in quanti sono rimasti a casa, però sono sicura che almeno quelli di sopra siano approdati in altri lidi: son diversi giorni che non sento cadaveri spostati ad ore improbabili e le consuete gare di biglie di acciaio lungo il corridoio.

Kill the algorithm: i micidiali call center estivi



Sempre più spesso le telefonate dai call center mi riempiono di livore*. Specialmente quelle estive. Specialmente quando rispondo da casa dei miei genitori perché, ogni volta, mi imbatto in operatori squallidi, arroganti, che pensano di parlare con persone anziane, impressionabili e raggirabili a loro piacimento. Alcune di queste telefonate hanno tutta l'aria di essere delle truffe belle e buone (purtroppo ho una certa esperienza in merito).
Tuttavia mi scoccia che non ci sia modo di segnalare questa gente alle autorità (magari facendo un numero apposito, subito dopo aver ricevuto la telefonata molesta)**.

Scena del Crimine*


Ho passato una nottata insonne. C'era qualcuno là fuori che mi spiava. Sentivo continuamente rumori strani, ramoscelli spezzati, un frusciare sinistro di foglie secche, e ho avuto paura paura tutte le volte che sono andata in bagno.
Mi sono svegliata più volte nel buio, col cuore in gola impazzito come quello di un criceto sulla ruota.

Alla fine un rumore più forte degli altri mi ha fatta sobbalzare. Ho acceso la luce anche se era già giorno.

Note per scrittori principianti: conversioni e recupero istantaneo dell'ispirazione perduta



Mi aggiravo per uno SMAU microscopico (un padiglione solo alla Fortezza da Basso), stand minuscoli tipo cabina telefonica, molte novità e workshop interessanti e anche una bella quantità di fuffa tecnologica che mi piace molto. Insomma, mi aggiravo tra gli stand in attesa del workshop successivo, guardandomi intorno malinconica e riflettendo, seriosa, su quanto si faccia sentire il coma farmacologico di DADA nell'IT cittadino.

A un tratto una voce alterata emerge dal brusio naturale della fiera, gridando: "...inutile sparar cazzate, bisogna andare al sodo: CONVERSIONI. Mi segui? CON-VER-SIO-NI."

La nemesi della palla del Verrocchio e l'ennesima sfumatura di editoria fai da te (sulla crisi economica e di mezza età: alternative al venditore africano di libri)

-...sa, sono claustrofobica. Che dice, secondo lei è il caso salire fin lassù? Come le ho detto, io ci tengo molto...

Mi squadra dalla testa ai piedi. Indossa un completo blu col distintivo dell'Opera del Duomo. Sono sicura che stia valutando con terrore l'ipotesi di trascinare la mia mole importante (svenuta o in pieno attacco di panico) giù per il cunicolo di scale affollato di turisti sudati. In fondo gli ho appena detto che non voglio morire senza essere mai salita sulla cupola della mia città. Mi pare un desiderio legittimo.

Lezioni di stile: "Progetto Elvira" di Tommaso Labranca


Ieri sera, mentre la bomba d'acqua* si abbatteva su Firenze, lasciando casa mia al buio, non me ne sono curata più di tanto; munita di torcia elettrica, ho divorato* per l'ennesima volta Progetto Elvira, dissezionando Il Vedovo.

Il pretesto per questo saggio monografico di Tommaso Labranca è stato un remake cinematografico de Il Vedovo che ha fornito all'autore lo spunto per l'analisi, anzi la dissezione accuratissima della pellicola originale del 1959, diretta da Dino Risi e interpretata da Alberto Sordi nella parte di Alberto Nardi.

Crocifissi a tutti i costi che fanno rimpiangere i bei vecchi tempi delle nozze celtiche del Pota


A Padova il sindaco leghista, Massimo Bitonci, impone il crocifisso negli uffici pubblici e dichiara perentorio: "ora in tutti gli edifici e scuole un bel crocifisso obbligatorio regalato dal Comune. E guai a chi lo tocca".

Finalmente in questo paese disastrato, c'è qualcuno che ha in testa delle priorià chiare, deciso ad arginare con piglio pragmatico l'ondata saracena.

Che spettacolo! Diario di una festa cittadina.


Camminiamo veloce, non vogliamo perdere lo spettacolo.
Ci hanno detto che canterà Bocelli, in riva all'Arno.
O forse proprio sull'Arno, su una di quelle strane piattaforme che sono già in acqua, non abbiamo capito. E in fondo non è che ci freghi un granché di Bocelli, ma lo spettacolo non ce lo vogliamo perdere. Trattasi dell'illuminazione del Ponte Vecchio, nuova di zecca. Una cosa spaziale, a quanto dicono, anche iper-ecologica, frutto di un mecenatismo per nulla ostentato, da signori veri*.
Le spallette dell'Arno sono tutte gremite. La gente si accalca per vedere, nessuno sa in che cose consisterà lo spettacolo. Leggende urbane prendono vita e si estinguono come lacrime nella pioggia. Delle ragazze ci chiedono se davvero ci sia Piero Pelù che si esibisce. Non ne ho idea, anche se spero di no. La mia amica spiega con entusiasmo che sa solo che ci sarà Giancarlo Giannini tra gli ospiti vip. Le ragazze non hanno idea di chi sia Giancarlo Giannini e ci guardano strane.

Il candidato



Luciano si guarda intorno spaesato. Sembra che non sappia dove si trova.

È casa sua.

Sua moglie Antonella ci fa accomodare in salotto. Lui la segue con lo sguardo a terra.
C'è una tv ultrapiatta.
Quarantotto pollici, dice lei.
Luciano è quasi in trance. Si riprende un po' solo quando inizia a supercazzolare di hd, pixel antani, risoluzioni, digitale e dolby surround.

Siamo stati convocati con urgenza ansiogena dai due. Non sappiamo perché. Sono stati misteriosissimi al punto che ho sentito puzza di Amway.
Però adesso li vediamo proprio male: stressati, tirati, gonfi. Lui ha uno sfogo sulla tempia. Ho paura che gli sia successo qualcosa di brutto. L'altro ospite pensa la stessa cosa. Siamo a disagio, entrambi li conosciamo da tanto, ma in fondo non sono così intimi.

La mia Combray

L'odore del preparato per risotto agli asparagi Coop - senza glutammato aggiunto, giammai! - che ho sul fuoco mi ricorda il cibo che mangiavo durante le "vacanze studio" in Inghilterra, quando ero giovane, davvero molto giovane.
Inspiro a pieni polmoni i vapori del riso liofilizzato che bollendo s'idrata e mi ritrovo in un parco soleggiato, con scoiattoli in libertà, grosse bici nere appoggiate sull'erba curatissima e una montagna di zaini Invicta tutti uguali tra loro.
Controvoglia ritorno al presente, mi affaccio alla finestra, guardando il traffico di Novoli impazzito per due gocce di pioggia, e sospiro.
E perdo ancora la nozione del tempo, aiutata dal profumo del risotto che continua a bollire, struggendomi nelle immagini di una vita remota e, col senno di poi, meravigliosa.
All'improvviso la realtà: con sollievo mi rendo conto di che grande invenzione sia il politetrafluoroetilene o, per gli amici, teflon antiaderente e con gioia stappo una birra per celebrare.

La piscina delinquente

Entro camminando piano, mi aspetto di venir bloccata da un momento all'altro. Sono un po' intimorita, l'ambiente è elegante, un tempo le stelle erano addirittura cinque. Fa fresco, mi viene la pelle d'oca. Un silenzio irreale; il rumore di ogni passo rimbomba che sembra quasi un eco; camerieri in livrea dappertutto.
Mi viene incontro. Felpa slabbrata e jeans sdruciti. Unica concessione al lusso e alla femminilità: sandali a tacco alto che costano un mucchio di soldi. Anche se li ha comprati ai saldi, sono stati un salasso. Prima dell'acquisto, a casa mia c'è stato un simposio dal tema attualissimo e universale: con questa crisi che ci sconquassa, sarà mica un attimino indecente comprare dei sandali da centosessanta euri?

Oh, guarda: c'è anche il lampredotto! La svolta del cibo, pardon, del food di lusso a #Firenze


Chiedo opinioni in giro, perché vorrei dare un po' di nuova linfa vitale al blog. Mi è stato suggerito di raccontare qualcosa di attuale, di modaiolo su Firenze, magari sulla vita notturna. Suggerimento ironico perché, tra gli amici, io sono nota per frequentare sempre gli stessi posti e andare a letto presto. Tuttavia negli ultimi mesi in città c'è stata un'ondata di aperture di luoghi del cibo fighetto che mi ha sorpresa per quantità di proposte e mi ha spinta ad avventurarmi verso nuove frontiere sociali. Con lo spirito di una Calamity Jane d'Oltrarno sono andata a visitare il primo piano del Mercato Centrale in San Lorenzo, riaperto giusto da poche settimane. Dopo anni di chiusura, è diventato un centro commerciale gastronomico di lusso. Ma solo al primo piano; al pian terreno è rimasto tutto com'era una volta, per il popolo.

All'entrata della sezione vip un buttafuori con auricolare e cravatta, dà la buonasera ai visitatori. Al primo piano, ci si para di fronte lo spaccio di Eataly che ho trovato un po' claustrofobico e labirintico*, della serie: "cerchiamo di sfruttare fino all'ultimo millimetro gli spazi, ché stare qui costa parecchio caro". L'ho visitato velocemente, è pieno zeppo di prodotti normali ma spacciati come figate ultragalattiche. Per interessarsi anche un minimo, occorre una bella dose di sospensione di incredulità che personalmente preferisco dedicare a prodotti di tutt'altro genere.
Passato questo primo reparto lo scenario si apre, si può godere della vista dell'interno-tetto, una struttura ottocentesca molto bella dove tutto l'ambaradan del mercato trova una sua uniformità di colori e stili. Dal soffitto pendono dei cestoni-lampadari che mi sono piaciuti molto, così come le tante piante di decorazione.
Le bancarelle elegantissime ripropongono quello che si trova anche al piano di sotto, solo che qui è più caro e perciò per gente più figa (con la "g", anche se siamo a Firenze). E le persone affollano l'ambiente e vagano ammirando merce che si trova più o meno tale e quale anche al supermercato sotto casa. Ma con una piccola differenza: i prodotti del supermercato normale sono sfigati, proprio perché non hanno avuto la fortuna di ricevere l'imprimatur del mida del carboidrato Farinetti o di qualche altro riccone della proteina blasonata.
Io sono contenta perché il Mercato Centrale così "infighettito" è un'attrazione per i turisti coi soldi e questo non fa altro che bene alla città.
Il panino al lampredotto però consiglio di prenderlo al pian terreno, dall'inossidabile Nerbone, che fa anche tante altre cose buone della cucina fiorentina**. Occhio che all'ora di pranzo da Nerbone ci sono sempre delle file bulgare. La sera è chiuso, potete andare di sopra. Ma non si mangia il panino al lampredotto la sera, dai.

Un altro posto "food-friendly" è il RED (Read Eat Dream) in piazza della Repubblica, la gastronomia targata Feltrinelli che nasce dalle ceneri chiacchieratissime della libreria Edison. La prima volta ci sono entrata per caso, non mi ricordavo che avesse riaperto e mi sono ritrovata spaesata in quel luogo un po' troppo ibrido per i miei gusti. Entrando assale la tristezza: i libri in mostra all'ingresso sono pochissimi e i titoli si limitano alle ultime uscite di grido, mentre lo spazio in fondo alla sala è dedicato alla vetrina del pizzicagnolo ed ai tavoli per mangiare. Non so quali fossero le intenzioni degli architetti, però a me ha fatto subito venire in mente questo:
Invece il primo piano è carino, c'è lo spazio per sedersi al tavolo oppure in poltrona, con tanti giornali e anche un bancone con le prese per i computer (ma forse questo c'era anche prima, non mi ricordo). Direi che ho apprezzato molto di più il primo piano.

OLGA: Ti dispiace se mi siedo?
FANTOZZI: c'è stato indubbiamente un... contatto e...
OLGA: Ti dispiace se viene una mia amica?
FANTOZZI: Ah, buongiorno si...
FILINI: Ah, bene. Ah, gli scotchs!
OLGA: Ti dispiace se ordino champagne?
CALBONI: Ma sicuro. Cameriere, porta via questa porcheria! Via! Via! Via! Garçon? Champagne!


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*fonti autorevoli in fatto di frequentazioni di alimentari di lusso mi hanno confermato che è un tratto distintivo della casa.
**quando ero più giovane ci andavo una volta a settimana a mangiare il minestrone, tanto per citare sia un'epoca in cui ero magra, sia un cibo che in teoria potrebbe essere anche vegano! Tuttavia anche la porchetta del Nerbone è da urlo, si rasenta il capolavoro in tutte le discipline: bollite, arrostite, dell'orto o della stalla, basta vedere le centinaia di recensioni entusiaste su TripAdvisor.

Compagno turista attento

Quieti e impacciati al punto che, in confronto a loro, anche i disciplinati tedeschi sembrano dei "casinisti". 
Così venivano presentati i turisti russi nei primi Anni Ottanta; presenze rare e discrete che muovevano i primi passi vacanzieri nei paesi capitalisti.

Tempo fa ho ritrovato su un vecchio quotidiano del 1983 una copia del vademecum di comportamento (stampato a Leningrado!) a uso dei cittadini sovietici in procinto di viaggiare all'estero. Si trattava di un documento riservato, addirittura riportante la dicitura: "non soggetto a divulgazione".
Nel 1983 c'era ancora la Guerra Fredda. Wikipedia ci racconta che in quell'anno Arpanet aggiornò il proprio protocollo dando il via a Internet; fu l'anno del rapimento di Emanuela Orlandi; dell'arresto di Enzo Tortora; della rielezione della Thatcher; dell'arresto di Buscetta e Tano Badalamenti; i Duran Duran pubblicarono il loro terzo album; l'anno in cui Microsoft rilasciò la prima versione di Word per DOS. Ronald Reagan era a capo degli USA, mentre in Italia avevamo il governo Fanfani e il mitico Sandro Pertini era presidente della Repubblica.

E per il food come facciamo?

READY
  1. E per il food come facciamo?
  2. Il food?
  3. Sì, come facciamo per il food?
  4. Il rinfresco, dici?
  5. Conosci qualcuno?
  6. In che senso? 
  7. Uno spacciatore di fiducia [fa le virgolette con le dita].

Il George Clooney fiorentino dell'arte*

Il nuovo film di e con George Clooney, "Monuments Men", mi ha fatto tornare in mente un post che scrissi nel lontano 2006 su un luogo a Firenze che amo particolarmente: la casa-museo di Rodolfo Siviero, al pian terreno del villino del Poggi, sul Lungarno Serristori (a cinquanta metri dalla Porta San Niccolò** e di fronte alla spiaggetta delle pantegane, per intendersi) e tenuto aperto grazie al volontariato degli Amici dei musei, che gentilmente e gratuitamente sono a disposizione dei visitatori***. Rodolfo Siviero è stato un personaggio interessantissimo, di quelli che pensi subito: ma perché non ci avranno ancora fatto un film? 

Fenomenologia dell'amico artistoide

L'amico artistoide è molto impegnato, ha un'opinione articolatissima su qualsiasi argomento, specialmente quelli su cui è poco ferrato. L'amico artistoide ha superato la cinquantina, ma si comporta come se fosse ancora nei vent'anni e la maggior parte dei suoi amici sono ancora studenti. L'amico artistoide infatti frequenta il collettivo degli studenti e partecipa ad alcune iniziative, anche se poi li critica perché, secondo lui, sono poco incisivi. Invece ai suoi tempi...
L'amico artistoide, come se nulla fosse, chiama sei volte di seguito sul cellulare in orario di lavoro (il tuo). Quando lo richiami preoccupata che sia successo qualcosa di grave, lui dice scocciato: "no, no, niente volevo solo he tu mi girassi quell'email, quella con la foto di Tizio che ti mandai l'anno scorso... bla bla bla". Poi si inacidisce se non ti ricordi di che sta parlando e gli dici che sicuramente hai cancellato l'email a suo tempo.
L'amico artistoide ha vissuto due anni a Londra, ormai quasi trent'anni fa. Tuttavia continua a parlare usando una quantità spropositata di parole in inglese, confondendosi continuamente con la sintassi italiana.
L'amico artistoide non ha mai lavorato in vita sua. Vive di rendita: cinque o sei appartamenti affittati in città, però non ha mai un soldo in tasca e ha un braccino corto leggendario. Si lamenta sempre di come sia tutto troppo caro, ché quando c'erano ancora le lire...
L'amico artistoide è indignato perché in Italia il "lavoro intellettuale" non è rispettato (in effetti ciò è vero per TUTTI i lavoratori), ma poi storce la bocca e s'offende se l'amico avvocato gli manda una parcella onesta per una bega con un affittuario che gli ha risolto in quattro e quattr'otto.
L'amico artistoide non chiede mai "quanto costa?" ma poi ha crisi di panico isterico al momento del conto: di qualsiasi conto, anche una spremuta di arance al bar.
L'amico artistoide ha litigato a morte per motivi oscuri con l'amico frikkettone*: se c'è uno non c'è l'altro e questo ci fa piacere.
L'amico artistoide una volta ha confessato di essersi pentito dei tatuaggi che ha addosso, specialmente di quella specia di corona maori intorno al bicipite che adesso ha perso tutto il tono muscolare.
Spero che l'amico artistoide non sia tra i lurker che conosco e che leggono questo blog (mi scappa da ridere)**. Credo di no perché odia la tecnologia che reputa inutile e alienante: il computer, internet e i social media li usa solo per auto-promozione (=spam).
L'amico artistoide compra il Manifesto e vota il Movimento Cinque Stelle. L'amico artistoide segue la dieta Dukan dicendo che si tratta di un metodo americano e glissando se gli si fanno domande specifiche. L'amico artistoide espone sempre gli stessi quadri in vari locali in città e si offende a morte se salti un'esibizione dicendo che tanto hai già visto i suoi lavori. L'amico artistoide fa anche delle performance di danza orientale che si autoriprende e pubblica su youtube, contando in modo spasmodico gli accessi e inviando email che annunciano ogni nuovo video: "strano solo dodici visualizzazioni, eppure ho mandato l'email a più di centoquaranta persone..."




* L'amico frikkettone era una presenza costante del vecchio blog, adesso ne rimangono tracce solo nell'ebook: "Gattasorniona The Anthology" (scaricabile gratis).
** Col tempo i lettori che mi conoscono sono aumentati; tutti lurker che poi mi scrivono in privato e che, lo ammetto, troppo spesso limitano gli argomenti di cui ho voglia di parlare qui. Forse dovrei cominciare a fregarmene di più.

Ovaie sfrangiate

Il bestemmiatore lapidato (da wikip.)
Sono incartata su un paio di post che ho cominciato a non riesco a finire. Argomento: libri che ho letto e che mi sono piaciuti. Consigli di lettura, ecco. Ho un paio di cosette che mi hanno fatta godere e che ci terrei a segnalare. Piano piano sto mettendo insieme un paio di post.
Purtroppo - è uno dei miei tantissimi limiti - ho difficoltà a raccontare le cose che mi sono piaciute. Mi sento più a mio agio a scrivere di esperienze negative, specialmente se hanno dei risvolti paradossali o grotteschi, non so perché. Ci fosse uno psichiatra all'ascolto e avrebbe voglia di spendere due parole, beh, è il momento giusto. Tra l'altro scambiando opinioni tra blogger mi sono resa conto di essere in buona compagnia, quindi sarebbe anche un servizio collettivo.
Così il post di oggi è sul nulla, però mi serve a stemperare un po' di depressione "da ritorno" che mi sta affliggendo. Infatti sono stata all'estero per pochi giorni e adesso mi trovo nella fase immediata del post-rientro col cuore in quella città del nord Europa dove tutto sembra funzionare meglio e dove la vita è senza dubbio più tranquilla e stimolante che da queste parti. Giornate belle di cui non racconterò quasi niente per i motivi di cui sopra.
Mentre ero a visitare luoghi in cui non ero mai stata, mi ha telefonato la commercialista per informarmi che ho un debito con i miei datori di lavoro di 20 euro (non direttamente con loro, ma la faccio breve). Si sono lamentati? No, il problema non sono loro, è lo Stato italiano, se non risolvi la faccenda, ha detto. Altrimenti l'anno prossimo ti ritroverai alle prese con una grana burocratica di quelle rognose, che potrebbe evolversi in chissà che, non vale la pena per soli 20 euro. Allora ho distolto lo sguardo da tutta quell'Art déco che mi riempiva la vista ed ho moccolato con la solita fantasia toscana, ché in questi casi è l'unica cosa che mi fa stare meglio. Poi ho chiamato il lavoro e, naturalmente, mi hanno detto chi se ne frega, la prossima volta metti in conto 20 euro in più e via... Lo so, ma per correttezza, vi devo avvertire. Poi ho moccolato ancora e ho ritelefonato alla commercialista che ha detto ok ma è meglio che tu passi in settimana da qui, tanto ritorni a Firenze a breve, vero? Vero, ho risposto moccolando ancora, ma questa volta sommessamente.

Defenestrare il manigoldo: incontro con la marchesa Daniela del Secco d'Aragona


Ci sono dei momenti in cui penso di aver sbagliato tutto nella vita.
Sono attimi brevi per fortuna, che concludo sempre pensando che forse mi ci vorrebbe un mentore per imparare a vivere come si deve.
Credo di averlo trovato. Pardon, trovata.

Ennesima partita Fiorentina Juventus, la città si spopola come in Fantozzi.
È l'occasione giusta per uscire, Firenze diventa improvvisamente tranquilla e vivibile, il momento propizio per andare a cercare gli eventi più interessanti.

E la città non delude (alla faccia di chi dice che Firenze stia morendo): infatti alla libreria IBS di via Cerretani la marchesa Daniela del Secco d'Aragona, diventata famosa per aver partecipato al reality on the road "Pechino Express" in coppia col suo maggiordomo, presenta il suo libro "Come diventare Marchesa ed esserlo in tutte le situazioni della vita".

Già il titolo promette bene, dà l'idea della nobiltà acquisita in seconda battuta e furbescamente ci include tutti nel magnifico mondo del sangue blu. Poco importa che nel nostro paese la nobiltà non sia più riconosciuta dal '48, ma in fondo chi se ne frega.

La sala della libreria è piuttosto affollata, davanti a tutti quanti c'è la marchesa, seduta in mezzo a due tizi.

Quello più azzimato che la introduce, ci spiega di essere un esperto in alberi genealogici, attività con cui campa, anche se non ci vuole annoiare con tediose spiegazioni su casati e discendenze blasonate.

L'altro, più giovane, tiene in grembo un volume pieno di segnalibri: l'opera della marchesa, postillatissima. Il libro strabuzza di post it colorati, sembra uno dei miei diari di quando andavo a scuola. Capisco che spera di leggerci qualche brano a sua scelta, evidentemente si è preparato con cura.

La marchesa, con elegante crudeltà ce lo presenta come avvocato che abita in un condominio.

Sembra stupita che ci sia gente così al mondo. Gente che abita in un condominio qualsiasi.

Addirittura, i condomini dell'avvocato, sapendo che averebbe partecipato alla presentazione con lei in carne ed ossa, hanno preparato delle domande da rivolgerle.

Lei è felice, è democratica e dalla parte del popolo, una marchesa che lavora sodo. Tuttavia esprime un leggero disappunto perché spesso noi "persone normali" [aka bifolchi] non sappiamo che "marchese" occupa una posizione più in alto di "conte" nella scala nobiliare. Infatti io non lo sapevo, adesso lo so e ho anche imparato che i baroni sono piuttosto sfigati in questo gioco.

La marchesa è l'ottavo re di Roma, come ha dichiarato Bruno Vespa durante una serata salottiera, definizione di cui a dire il vero si fregiano in molti, ma che a lei calza a pennello. Comincio a divertirmi. 

Viene presentato il libro, c'è lei in copertina a figura intera con un abito lungo. Mi pare una foto un po' datata, il vestito è un po' demodé, ma poi penso che io di moda e di ricevimenti non ci capisco un cavolo e sospendo il giudizio (poi ho scoperto che tanto torto non lo avevo e che non sono l'unica a pensarlo: il vestito è proprio vecchio).
Comunque si tratta di un abito "a sirena", ci spiega, chiamandoci "adorati".

Dal pubblico arrivano domande su moda e vestiti. Gli accessori sono fondamentali, "adorati", ci illumina la marchesa.



Io e la mia amica rimaniamo conquistate dalla fauna presente, personaggi pittoreschi dal look elaborato: un concentrato di doppi cognomi e mise costose, ma che a ben guardare, emanano decisamente un'aura frollata. Tuttavia la marchesa spicca anche sulla massa dei suoi simili, ha una vitalità sorniona che eclissa tutti gli altri messi insieme.

Inizia l'anedottica, si parla delle sue feste iper-mondane, specialmente di una nel feudo, a cui tutto il popolo ha partecipato. Perché la marchesa non si stanca di ripetere quanto sia democratica e in quell'occasione ha invitato tutti, ma proprio tutti, compresa la tabaccaia e il cassiere della Despar, dove lei personalmente fa la spesa e anche la raccolta punti. "Amo il popolo, basta che non mi taglino la testa".

Applausi e ammirazione sconfinata dalla platea.

Ci racconta della figlia che sta per sposarsi, è felice, il futuro genero è come un figlio per lei. La marchesa si è sposata per ben tre volte, tutte cerimonie sobrie: al primo matrimonio erano cinquanta invitati, al secondo dodici e al terzo tre.

Il discorso ritorna sulla moda, la marchesa è un personaggio troppo ghiotto per non chiederle consigli sul look.

Ascolto incantata.

Perché un capo di Prada può essere facilmente confuso con uno di Zara e allora approfittatene "adorate"; è inutile spendere tanti soldi quando si può essere eleganti spendendo meno. Mica come le sue domestiche che facevano i debiti per comprarsi vestiti firmati. E poi il vestito è l'ultima cosa, un tubino nero va benissimo, l'importante sono gli accessori.

Perché la marchesa è una donna pragmatica nonché democratica, non gliene frega nulla di giocare a burraco nei palazzi (cit. Fellini e Sorrentino in un colpo solo, tanto per gradire). No, lei vuole uscire, parlare con la gente. È una che si immerge nella vita, va in metropolitana da sola, mica bruscolini.

Quando va in metropolitana a Roma, si sente come papa Francesco nei suoi bagni di folla ma pieni di umiltà. Tutti la riconoscono ed esclamano: la marchesa di Uno Mattina! La marchesa di Pechino Express!

Si è divertita tantissimo. Ci racconta che durante il reality in Oriente, ha preso a ombrellate la guardia del Re a Zon deng (nome inventato, ho dimenticato l'originale).
Lancia stilettate ai compagni di viaggio, specialmente al maggiordomo Gregory. Le do ragione col pensiero: infatti guardando il programma, anche a me era sembrato un tipo viscidino.
Racconta di quando è caduta nell'acqua della Baia vietnamita di Ha Long, ma è riemersa assolutamente perfetta, con un filo di perle australiane al collo ancora intatto.



Il discorso vira inevitabilmente su "La Grande Bellezza", in cui la marchesa si sarebbe vista bene con una parte da co-protagonista accanto a Servillo. "Quel Gep", come lo chiama lei.

Comunque le feste del film non sono le feste a cui va di solito. Certo, non nega che ci siano, ma per lei quelle sono il genere di feste da parvenu, gente arricchita. Lei non ha mai visto spogliarelli, cose strane, sostanze strane. 


Ci ha congedati con una perla di saggezza che trascrivo a futura memoria: La vita non è una passeggiata. La vita è una lotta, va presa col sorriso ed ogni giorno deve essere quel giorno che abbiamo atteso per tutta la vita. Solo così saremo vincenti sempre. 

Grazie marchesa.

PS. Dedico questo post alla mia amica L. che ha avuto l'idea geniale di andare a vedere la marchesa di Pechino Express dal vivo.

Petites tortues


La voce si avvicina. Esternalizzare, dice. Espandersi verso nuovi mercati, ribadisce. Lo riconosco subito. Adesso però è niente di più di un rappresentante.
Ci salutiamo, è da noi per lavoro, cerca di piazzare una fornitura di non so che cosa, deve parlarne con il geometra che infatti lo sta aspettando.
L'ultima volta che ci siamo visti è stato anni fa, nel parcheggio della ditta in dismissione. Aveva raccontato, lagnoso, che era stato costretto a chiudere tutto, se fosse stato per lui invece... Era nella merda, che non potevo nemmeno immaginare quanto; aveva perso il sonno e la salute. Io sono il più precario di tutti qui dentro, aveva trovato il coraggio di dire. Poi con uno scatto chimico era salito sulla BMW sportiva provvista di ogni optional possibile, ed era sgommato verso le colline.
Invece io avevo caricato il mio sacchetto di effetti personali sullo scooter ed ero andata via dalla parte opposta.
Adesso non ce l'ho con lui, è passato tanto tempo e poi la scrittura mi ha aiutata a razionalizzare e sfanculare. Il blog ha una sua utilità terapeutica, lo dico sempre. E dopo ho incontrato di peggio, ma questa è un'altra storia (già scritta altrove, per l'appunto). Tuttavia non ho dimenticato: so perfettamente chi ho di fronte. In fondo è anche simpatico, a guardarlo bene mi ricorda una tartaruga o una lucertola. Un rettile innocuo, ecco.
Aspetta che il geometra finisca una telefonata, è deferente, ascolta tutti, finge di essere interessato. Il geometra propone un sopralluogo nello scantinato. Lui lo segue, è contento di vedere lo stabile, dice. Ritornano dopo un po', il geometra lo precede veloce, lui parla e propone. No, no, lo stoppa il geometra, si farà così e cosà conclude. È un osso duro il geometra, non lo infinocchi facilmente, mi piace.
Mi saluta con affetto improvviso, è stato contento di vedermi. Non so perché ma gli credo. Esce sorridendo. Ci rimettiamo a lavorare in silenzio.
"Cazzo, il tuo amico mi ha fregato la penna" esclama il geometra dopo un po'.
"Sei fortunato che ti abbia fregato solo quella" rispondo.
Tutti ridono.
Caffè.

Il boss degli psicopatici

Alto, leggermente gobbo, capelli grigi, prossimo alla vecchiaia. Nel complesso floscio. È teso, parla velocemente, butta gli occhi al cielo, sbuffa in silenzio, dice sì sì senza aver ascoltato. Risponde con sufficienza al saluto, mentre mi accomodo in attesa del mio turno. Lui va alla scrivania, parla al telefono, ancora sbuffi esagerati e sguardi al cielo. Ci conosciamo da tanti anni anche se non siamo mai stati amici. Cerca di chiudere la telefonata, ma non è cosa facile. Sento all'altro capo un vocione che grida ma io, ma io. Lui sbuffa silenzioso, spara qualche supercazzola, si arrampica sugli specchi ma alla fine capitola sotto quella cascata di ma io, ma io. Promette che si prenderà cura di una certa cosa. Sì, sì, immediatamente.
Il telefono squilla ancora. Puoi entrare, dice. Mi accomodo nella stanza del boss: mi scusi dottoressa, a quanto pare succedono tutte ora, dice il grande capo mettendo giù la cornetta. Ok dottore, faccia con calma, dico io pescando il cellulare dalla borsa. #faiunadomandaalpapa, l'hashtag del momento. Possibile? Lo era anche l'ultima volta che ho controllato, un paio di giorni fa. Boh, noi italiani siamo statici anche sugli argomenti di discussione. Non ho niente da chiedere al Papa. A quanto pare però tutti gli utenti di twitter a cui sono collegata sì. Leggo domande e considerazioni deliranti, il tempo passa. Alzo gli occhi e lui è lì, accanto al boss, che mi guarda storto da dietro le lenti spesse. Ma quando è entrato? Non me ne sono accorta. Gli sorrido, in fondo che mi frega? Lui risponde con un sorrisetto tirato. Ok, non me ne frega, ma mi viene lo stesso voglia di spaccargli la faccia. Questa persona è insopportabile, chiami lei dottore, dice lagnoso. Il boss lo guarda spaesato. Mi scusi dottoressa, le chiedo un'altra po' di pazienza. Si figuri, ma le pare, guardi vado qui fuori, vi lascio in pace. Al telefono il boss è in difficoltà, sento chiaramente i ma io, ma io fin dal corridoio. Non capisco il problema.
Lui esce inacidito all'ennesima potenza, lo sguardo furioso, la camminata isterica a chiappe strette. Incrocia una collega e le dice col tono più acido dell'universo: vedi di rispondere al telefono, stamani le ho prese tutte io. La collega non gli dà spago, dice sì sì e passa oltre. Lui nota che l'osservo. Sì ti osservo, ti giudico e scriverò un post su di te, non gli dico. Rientro dal boss, lui mi segue passando davanti per dirgli che la collega tal dei tali non risponde al telefono come dovrebbe. Il boss gli dà ragione e dice che non vuole riparlare mai più col tizio dei ma io, ma io. Allora dottoressa, come va? Bene, e lei? All'uscita mi affaccio a salutare l'ufficio. Mi attardo un minuto sulla porta a fare mente locale, lo faccio sempre. Ho preso tutto? Ho dimenticato qualcosa? Lui è sempre più nervoso, alza gli occhi dalla scrivania e scatta: allora? Cos'hai dimenticato? No, nulla. Controllavo e basta, mi pare di no. L'altra collega, nota nell'ambiente come psicopatica bipolare, mi sorride con comprensione. Rispondo al sorriso. Allora arrivederci, dice lui. Ciao a tutti.
A pranzo racconto la mattinata. Sono stata... ho fatto... Tutto ok? Sì, tutto ok, solo c'era il ragioniere... sì proprio lui, l'ho visto malissimo. Invecchiato e teso. Isterico all'ennesima potenza. Pure incafonito, ha fatto una partaccia a una collega con me lì di fronte.
Lo so, lo so, è colpa della russa.
La russa?
Sì la tizia con cui sta.
Gli sta puppando i soldi?
No, tutt'altro. Gli ha dato l'ultimatum.
Che ultimatum?
A cinquantasette anni basta vivere con la mamma, la russa non ne può più di fare la fidanzatina. E lui è andato in crisi.
Come fai a saperlo?
Me l'ha detto il boss al telefono. Si lamentava di avere tutto personale psicopatico, dice che a volte ha quasi paura a stare in studio...

Rigurgiti di memoria


Il riciclo, ma porca miseria: il riciclo!
Cosa? Il ciclo?
Il ri-ci-clo! Non hai separato un cazzo.
Sì, ho separato. Il vetro, la plastica, l'indifferenziato, vedi?

Gara di demenza


Titolo e commenti a questo post sono una gara a chi è più demente. L'ultimo scrive "grazie a Dio". No, dico: "grazie a Dio". Ma come si fa?



Per la cronaca, la stessa cosa che dicevo sui ristoranti tipici a conduzione familiare la penso anche dei bar...

Vietato l'ingresso agli utenti Trip Advisor


C'è questa trattoria di Firenze, piuttosto nota, dove si mangia bene ma la bistecca è troppo cara, la cui "gestora" (mia conoscente) è di una cafoneria insostenibile. Alcuni clienti l'hanno scritto su TripAdvisor. Mi pare sacrosanto. Se lavori al pubblico nel 2014, fa parte del gioco. E ne vale la pena. Per i ristoratori intendo. Se lavori bene TripAdvisor ti premia e infatti di solito se ne lamenta chi lavora maluccio o non viene considerato abbastanza. Poi ci sono i ristoratori più vecchi che non ci sono abituati, ma cavoli loro, il mondo va avanti e Trip Advisor è uno strumento utile, sennò non avrebbe questo successo. Personalmente lo considero anche abbastanza accurato, ho fatto tante volte la riprova su locali che conosco e non ho mai trovato grandi sorprese. Tra le recensioni al locale della mia conoscente di cui scrivevo poco sopra, non mi sono stupita di averne trovate alcune dove si elogiava la qualità della cucina, ed altre dove si lamentava la maleducazione della tipa in questione e il prezzo quasi da ladrocinio della fiorentina (in quanto bistecca). Tutte cose che avevo notato anche io ed i miei amici.
Tuttavia il problema delle false recensioni esiste, ma basta un occhio allenato per sgamarle. Se sono particolarmente acide, vado a vedere che cosa scrive di solito quell'utente e qual è il tono delle recensioni che ha lasciato in giro.
Per quanto riguarda il ristoratore che ha messo quel cartello... beh, secondo me ha furbescamente trovato un altro ultilizzo di Trip advisor per farsi della pubblicità gratuita. Quel cartello non ha senso, se non attirare l'attenzione, specialmente dei famigerati recensori Trip Advisor, nonché dei blogger che abboccano all'amo facilmente. Beh, chapeau.

La città più bella del mondo


Oggi Firenze è bellissima, ecco una foto del panorama dal Piazzale Michelangelo. Si vede tutto il pacchetto completo che ci rende unici: il Duomo, il Campanile di Giotto, Palazzo Vecchio, il Ponte Vecchio e in lontananza... la colonna di fumo proveniente dall'ultima fabbrica di cinesi in fiamme all'Osmannoro.

[Qui la puntata precedente, btw.]

Romina Power... Solo Performance

In questi giorni c'è stata una reunion televisiva di Albano e Romina di cui tutti hanno parlato: un concertone che ha avuto un sacco di successo. Non cerco info, tanto se ne parla dappertutto. Però mi è ritornata in mente quella volta che Romina fece la mostra dei suoi quadri a Firenze. Erano i primi anni duemila, il 2003 per l'esattezza. All'epoca il Renzi non c'era, ancora non era nemmeno approdato in Provincia che invece era ancora guidata dal sobrio (e pure lui democristiano) Michele Gesualdi. Il sindaco di Firenze era tal Leonardo Domenici, personaggio anonimo dalla pettinatura cotonata, travet dell'amministrazione che ha svolto i suoi mandati senza lasciare tracce. Il Renzi da questo punto di vista ci dà più soddisfazione; vuoi mettere tutte le gag, il Fonzie, ecc. Ma non voglio divagare, ritorniamo a Romina Power. In quel periodo lei era spesso sulle riviste che legge la mia nonna a raccontare di quanto fosse diventata fricchettona e globetrotter dopo la separazione da "ugola di uranio Carrisi"; aveva abbandonato il paesello e viaggiava in India, si vestiva con lunghi camicioni simil etnici e cose così.
Il comune le concesse l'uso del Palagio di Parte Guelfa, un paio di stanzone enormi in via Pellicceria, in pieno centro storico per la sua mostra di pittura dal titolo: The Power of Color. si noti il gioco di parole, please. E lei venne in carne ed ossa a presentare i suoi lavori, accompagnata dal figlio Jari. Me lo ricordo perfettamente perché io ci tenevo davvero tanto a incontrarla, volevo stringerle la mano e vederla dal vivo. Impulso che nella mia vita ho avuto con pochissimi personaggi famosi (perché sono una fiorentina snob, ecco). Romina Power, la Rita Pavone, e pochi altri che adesso non mi vengono in mente, ma vado di fretta, come al solito perché sono in pausa e ho i minuti contati. Un giorno scriverò un post sui blogger che hanno i minuti contati per bloggare le loro cose fondamentali. Ma non divaghiamo. Insomma per farla breve, Romina Power venne insieme al figlio a presentare la mostra, ma lo fece in un giorno di lavoro e a me si spezzò il cuore a non poter essere lì. Mi pare che scrissi un'email di protesta al Comune ed anche un post sul vecchio blog per lamentarmi della cosa che ancora adesso un po' mi brucia.
Nei giorni successivi andai a visitare la mostra per conto mio: volevo vedere le tele che lei aveva dipinto durante gli anni trascorsi in Puglia. Me ne ricordo uno in particolare: un paesaggio del sud, in primo piano due giovani in motorino ripresi da dietro. Lui tozzo, col collo taurino e lei con i lunghi capelli scuri. Se solo ritrovassi la foto.

Suv come buzzword raccatta simpatia (politica)




C'è questo imprenditore, Andrea Zucchi, anche se credo sia più un bottegaio/imprenditore; ma sono sono differenze trascurabili al giorno d'oggi, nel tempo del: “non si dice aprire ditta, si dice creare una start up”, che segue a ruota il tempo del: "non si dice aprire partita IVA ma diventare imprenditore di sé stesso”, perciò non sottilizziamo. Dunque, questo imprenditore mi piace perché in primo luogo è sornione, si vede dallo sguardo, caratteristica che apprezzo sempre molto. Il siparietto è preparato, ok, ma l'antipatico presentatore che tira in ballo la parola suv*, ripresa prontamente dal sottosegretario Polillo per attirarsi delle facili simpatie, mi ha dato fastidio. I suv, le macchinone antiecologiche e care asserpentate che spesso possono essere immatricolate come furgoni e che evocano nell'immaginario collettivo un bouquet di: ignoranza, ostentazione, buzzurrità, antipatia, lusso cafone, tracotanza, evasione fiscale, ingombro, parassitismo... Basta pronunciare questa parola contro qualcuno ed è fatta.
"Cose da suv", dice il sottosegretario ridacchiando tra i denti, mentre esamina il mazzo di chiavi che lo Zucchi gli ha mollato lì in segno di protesta. Mi ha ricordato un personaggio della Caterina Guzzanti: Vichi di Casa Pound, la fascistella in confusione mentale, quando esclama: "e le Foibe?".
Il tempo dei tarallucci e vino è finito. Le risatine e le battutine non sono più accettabili.


(*) con tutta l'antipatia che io possa avere per il mezzo in questione e per il suo proprietario-tipo. Ne approfitto per fare un [momento automarchetta]: il mio prossimo ebook parlerà di imprenditori delinquenti, solo debiti e suv [fine momento marchetta].

Il Nemico

Sono triste e ho lo scoramento. Il motivo è presto detto: lo Stato italiano mi deve all'incirca novecento euro. Vogliono che mi rechi negli uffici appositi per iniziare la procedura di rimborso. Dovrei essere contenta, invece no.  Sono avvilita da quando mi sono resa conto del perché questa per me non sia affatto una bella notizia.
Ma andiamo per ordine. Tempo fa l'Inps mi ha mandato una lettera a casa dove mi dice che ho questi soldi da recuperare, roba pagata in più negli anni passati, mentre chiudevo la mia vecchia attività perché non ce la facevo più ad andare avanti.
Sono tanti soldi, un piccolo "tesoretto", anzi, a penasarci bene mica tanto piccolo, specialmente adesso che c'è la crisi, si lavora meno e si deve rinunciare a quasi tutto perché non c'è più trippa per gatti, signoramia.
Dopo qualche giorno però mi sono resa conto di non avere il coraggio di andare a ritirarli. Paura dell'effetto vaso di Pandora, di scatenare l'Inps e di entrare in meccanismi kafkiani che mi fanno venire il magone solo a scriverne, adesso, in questa pausa caffè anonima.
Ne ho parlato con alcuni amici, e tutti mi hanno dato ragione e mi hanno detto di lasciar perdere i soldi, anzi: di far finta che quella lettera non sia mai arrivata.  Perché non è possibile che mi restituiscano quei soldi indietro e ormai non conto più le storie di persone che, in una situazione simile, si sono ritrovate con la somma quintuplicata - ma da pagare loro allo Stato - per "sciocchezzuole" di cui non sapevano nulla e labirinti infernali di ricorsi.
In attesa di prendere una decisione avevo attaccato la lettera al frigorifero, interrogando chiunque mettesse piede in casa mia. E tutti a dirmi di lasciar perdere.  Infine l'epilogo: ieri ho preso la lettera e l'ho stracciata in piccoli pezzi e adesso sta nella pattumiera della carta. Domani se mi ricordo la porto al cassonetto. Cos'è successo ieri? Semplice, ho letto Avviso ai migranti su KeinPfusch e poi ho letto anche il thread nel forum sempre sull'argomento dei finti rimborsi. Tutte esperienze (un po' diverse, parlano alcuni residenti all'estero, ma tant'è) di persone che con la scusa di ottenere rimborsi dallo Stato italiano si sono trovate invischiate in meccanismi kafkiani o fantozziani che dir si voglia. E la riflessione è amara. Mi sono resa conto di percepire come un nemico lo Stato in cui sono nata, che dovrebbe tutelarmi, di cui mi dovrei fidare e a cui - in un mondo ideale - dovrei essere contenta di dare i miei soldi sotto forma di tasse per quello che fa per i cittadini. Un meccanismo di sfiducia naturale, innescato dall'esperienza. Un nemico poco nobile, di quelli che nei film fanno i furbastri e di cui non ti puoi fidare mai, ma proprio mai, il personaggio che "mancia spaghetti e suona mandolino, dice cosa e poi fa altra", tanto per fare una citazione colta. Quindi tenetevi i miei novecento, grazie.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...